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sabato 16 ottobre 2010

Ca' Foscari è diventata la lavatrice della reputazione per chi deve rifarsi un nome

La facciata dell'Università Ca' Foscari Venezia sul Canal Grande, con due cartelloni inseriti digitalmente dal sottoscritto e che mai vedrete nella realtà, perchè le baronie universitarie non possono permettersi di autoflagellarsi, autorizzando una comunicazione efficace come questa che possa dar modo di pensare alla società civile che qualcosa stia cambiando nelle Università italiane.
Venerdì 22 ottobre, alle ore 11, l’Università Ca’ Foscari inaugura in Auditorium Santa Margherita l’anno accademico 2010/2011. Sul palco ovviamente ci mancava un personaggio come Paolo Scaroni, Amministratore Delegato di Eni SpA che ha patteggiato 1 anno e 4 mesi perché, quand’era alla Techint, pagava mazzette al Psi in cambio di appalti dall’Enel. Berlusconi lo promosse presidente dell’Enel e poi dell’ Eni.
Prima dell'arrivo della tenda di Gheddafi a Ca' Foscari, Paolo Scaroni può essere un ottimo biglietto da visita secondo l'attuale Rettore, l'importante pare è tenere lontana Margherita Hack e tutti quelli come lei che non drenano denaro ma idee. La ricercatrice Francesca Coin ultimamente ha drenato idee, scrivendo alla Gelmini una lettera aperta ripresa da Repubblica appellandosi anche ad una orizzontalità nei rapporti sconosciuta in Italia e parlando del fatto che in questo paese l' autonomia di pensiero viene a volte considerata non tanto come una conquista sublime ma come un segno di arroganza precoce. La ricercatrice ha sapientemente parlato del fatto che nelle università italiane si trama (esiste il "tradimento") invece di valorizzare quei giovani che non hanno un nome, non hanno capitale, non hanno reti di conoscenza già intessute, non hanno potere politico. La ricercatrice illuminata ha così concluso: "Siamo preoccupati perché ci sembra che vi interessi di più il bene di pochi che il bene di tutti, e che Confindustria abbia più diritto ad entrare nella governance dell' Università di quanto quei giovani "capaci, meritevoli ed anche privi di mezzi" di cui parla la Costituzione abbiano diritto di studiarvi. Siamo preoccupati perché crediamo che in questo quadro fosco fatto di crisi economica, di precarietà e di crisi di governo non abbia senso dare prove di forza o perseguire un voto politico. Crediamo che il diritto all' istruzione in Italia sia in pericolo, e che sia nostro dovere proteggerlo oggi domani e sempre, sino a quando riusciremo a creare un' università aperta, orizzontale e di tutti."
L'articolo firmato Marco Travaglio comparso sull'Unità il 12 gennaio 2007
A Ca' Foscari ormai vengono tutti, le colazioni offerte non si contano più a tutti quei personaggi ambigui che devono riabilitarsi agli occhi della società e quindi hanno bisogno di usare quel poco di purezza che ancora emana quel magico tempio chiamato "Università" per poter ripartire ed accreditarsi come attori credibili. Magnifici cambiamenti climatici a Ca' Foscari , così ho chiamato quel periodo che resterà negli annali per le assidue frequentazioni indecenti che vedono bussare alle porte di Ca' Foscari i capitani d'industria e della finanza più spregiudicati: i successori di Giuseppe Volpi, conte di Misurata per intenderci. Una volta prima di aprire le porte si controllava la caratura etica e morale di chi bussava. Già perchè Ca' Foscari è diventata la lavatrice della coscienza e della reputazione per chi deve rifarsi un nome e ripresentarsi "candido" ("candidato") alla società civile come attore credibile; storie simili a quelle di Giancarlo Zacchello, portate alla luce da un articolo del Corriere della Sera firmato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. 
Giochino di società di Marco Travaglio (27 Ottobre 2004). Confrontare questi tre lanci di agenzia, uno del 1996, l'altro del 2002, il terzo del 2004, e trovare l'eventuale errore.
  1. Il primo - un'Ansa da Milano del 22 febbraio 1996 - dice così: «Il vicepresidente della Techint, Paolo Scaroni, ha patteggiato la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione per le tangenti pagate per gli appalti nelle centrali Enel. La sentenza è stata emessa dai giudici della sesta sezione penale del Tribunale di Milano. Scaroni era accusato di corruzione dal Pm Paolo Ielo per una serie di tangenti versate al Psi quando era amministratore delegato della Techint».
  2. Seconda agenzia Ansa, datata Roma 24 maggio 2002: «L'assemblea dell'Enel ha approvato le liste dei nomi proposti dall'azionista di maggioranza e da quelli di minoranza per il rinnovo del cda del gruppo, nominando alla presidenza - su proposta del Tesoro - Piero Gnudi. Nel pomeriggio è prevista la nomina di Paolo Scaroni ad amministratore delegato».
  3. Terza agenzia, stavolta dell'Adnkronos, datata 21 ottobre 2004: «Ecco l'elenco dei Cavalieri del Lavoro, nominati dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, su proposta del ministro delle Attività produttive Antonio Marzano, di concerto col ministro per le Politiche agricole Gianni Alemanno, con l'indicazione del settore economico e della regione di attività: (...) Paolo Scaroni (elettrica, Lombardia)».
Niente paura, non c'è nessun errore. Non ci sono casi di omonimia: il Paolo Scaroni promosso dal governo amministratore delegato dell'Enel e nominato Cavaliere del Lavoro su proposta dello stesso governo Berlusconi è lo stesso Paolo Scaroni che, quand'era vicepresidente della Techint, pagava le tangenti al Psi di Bettino Craxi e patteggiò la relativa pena di un anno e 4 mesi di reclusione davanti al tribunale di Milano. E non ci sono nemmeno errori di valutazione: in Italia un condannato (sia pure col patteggiamento) per tangenti non è ritenuto incompatibile con incarichi in un'azienda pubblica o semipubblica. Anzi. Prima di pagare le mazzette Scaroni ne dirigeva una privata: fu promosso a quella pubblica solo dopo che fu preso con le mani nel sacco e patteggiò la pena. Forse per dargli un'altra chance. Ora è arrivata la decorazione finale: il cavalierato del Lavoro dalle mani del capo dello Stato (ovviamente ignaro del suo pedigree). Una sorta di risarcimento all'incontrario, riservato al colpevole anziché alle vittime.

Appello per la trasmissione Anno Zero ed il giornalista Michele Santoro


Ho ascoltato l'appello del giornalista Michele Santoro ed ho fatto la mia parte. Il giornalista Michele Santoro, che piaccia o meno è stato reintegrato in RAI dal giudice del lavoro, dopo l'editto Bulgaro di Silvio Berlusconi, proprietario dell'azienda concorrente, che aveva tolto schifosamente all'azienda pubblica un'altra grande firma Enzo Biagi. Questo tira e molla è il segnale che nel paese la democrazia è diventata una coperta tirata da tutte le parti, un segnale molto preoccupante.
Michele Santoro, che piaccia o meno (le trasmissioni di Santoro hanno avuto un largo share televisivo in RAI e rappresentano dati alla mano il programma di attualità più visto in televisione, valorizzando così anche le entrate pubblicitarie dell'azienda pubblica) è l'ultimo giornalista rimasto a dare voce con forza al paese reale e a mettere in luce molti aspetti torbidi del paese, facendo parlare le voci emergenti e minoritarie. I disoccupati e i precari, le persone sofferenti, vedono in lui, la rivincita di tanti appelli inascoltati. Michele Santoro riesce a bucare quel velo di ipocrisia e di gomma, quella cortina fumogena innalzata tra il paese reale e quello raccontato attraverso i mass media tradizionali e dai politici. Michele Santoro ha detto "vaffanbicchiere"; l'attuale premier canzonando una donna dell'opposizione ha alluso ad una bestemmia.  Preferisco Michele Santoro. I giovani si stanno svegliando.

Cari amici, vi ringrazio per le adesioni al mio appello che sono già migliaia, ma dobbiamo ottenere il massimo del risultato. Quindi vi chiedo di raccogliere anche le firme di chi non usa internet inviandole contemporaneamente a questi indirizzi:

Il primo indirizzo è molto importante per avere il quadro completo delle adesioni raccolte. Potete utilizzare la formula seguente o un'altra con le stesse caratteristiche:
"Gentile presidente Paolo Garimberti, i sottoscritti abbonati Rai chiedono di non essere puniti al posto di Santoro e che Annozero continui ad andare in onda regolarmente."
Vi prego di seguire queste semplici raccomandazioni e di far girare la nostra sottoscrizione usando la rete perché è l'unica opportunità che possiamo gestire con le nostre forze. Un abbraccio
Michele Santoro

sabato 9 ottobre 2010

Federico Aldrovandi ha vinto la sua battaglia grazie all'amore ed alla tenacia dei suoi genitori

Il 29 febbraio del 2008 mi ero unito anch'io convintamente alle migliaia di appelli alla Giustizia per Federico Aldrovandi chiedendo con forza un rinnovamento nelle polizia di stato italiana che ancora si deve affrancare del tutto dalla cultura arbitraria del manganello sfasciateste. Lo Stato ha riconosciuto, in un accordo tra le parti raggiunto all'inizio di Ottobre 2010, alla famiglia di Federico Aldrovandi, ragazzo ucciso a Ferrara durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005, quasi due milioni di euro, ammettendo sostanzialmente la propria responsabilità, nelle persone di Paolo Forlani, Luca Pollastri, Enzo Pontani e Monica Segatto per aver ecceduto nel loro intervento, infierendo sul giovane in una colluttazione imprudente usando i manganelli che poi si sono rotti, ammanettandolo a pancia in giù con le mani dietro la schiena, posizione che avrebbe causato un'asfissia posturale.
Di questa storia rimarrà il ricordo per una giovane vita spezzata ed il coraggio e la grinta di due genitori che non hanno creduto alla versione fornita inizialmente dalla polizia ed hanno quindi cominciato a raccogliere prove e testimonianze arrivando a pubblicare in un blog su Kataweb le foto del figlio massacrato pur di rendere evidente l'ingiustizia.

I tre ramoscelli verdi

Crocifissione è un dipinto di Andrea Mantegna, datato 1457-1459 e conservato nel Musée du Louvre di Parigi Il dipinto a mio parere può rappresentare il concetto schizzofrenico della pena di morte nella Storia.

C'era una volta un eremita che viveva in un bosco ai piedi di un monte e trascorreva il suo tempo in preghiera e opere pie; e ogni sera portava ancora due secchi d'acqua su per il monte, per amor di Dio. Quell'acqua dissetava molti animali e ristorava molte piante, perché‚ sulle cime soffia sempre un vento forte che prosciuga l'aria e la terra; e gli uccelli selvatici, che temono gli uomini, roteano su in alto nel cielo, cercando un po' d'acqua con l'occhio acuto. E poiché‚ l'eremita era tanto pio, un angelo del Signore, visibile al suo sguardo, lo accompagnava su per il monte, contava i suoi passi e gli portava da mangiare, quando egli aveva finito il suo lavoro; come quel profeta che per volere di Dio era nutrito dai corvi. Quando l'eremita, nella sua santità, era già arrivato a un'età venerabile, gli accadde un giorno di vedere da lontano un malfattore condotto alla forca. E disse fra sé: "Ha quel che si merita!". La sera, quando portò l'acqua sul monte, l'angelo, che solitamente lo accompagnava, non apparve, non gli portò da mangiare. Allora egli si spaventò, interrogò il suo cuore, pensando a quale colpa potesse avere commesso, dato che Dio era in collera; ma non lo sapeva. Non mangiò né‚ bevve, si gettò a terra e pregò giorno e notte. E una volta che piangeva amaramente nel bosco, udì il canto soave di un uccellino; allora si afflisse ancora di più ed esclamò: "Come canti felice! Il Signore non è in collera con te. Ah, se tu potessi dirmi come l'ho offeso, perché‚ ne faccia ammenda, e il mio cuore si rassereni!". Allora l'uccellino si mise a parlare e disse: "Hai avuto torto nel condannare un povero peccatore condotto alla forca; per questo Iddio è in collera con te. A lui solo spetta il giudizio. Ma se vuoi fare ammenda e pentirti del tuo peccato, egli ti perdonerà". Ed ecco gli apparve l'angelo con in mano un ramo secco e gli disse: "Devi portare questo ramo secco fino a quando ne spunteranno tre verdi ramoscelli; e di notte, quando vuoi dormire, lo metterai sotto il tuo capo. Mendicherai il tuo pane di porta in porta e non passerai due notti sotto lo stesso tetto. Questa è la penitenza che ti impone il Signore. Allora l'eremita prese il pezzo di legno e tornò nel mondo, che non vedeva da tanto tempo. Non bevve e non mangiò nulla all'infuori di quello che gli davano di porta in porta. Ma molte preghiere non erano ascoltate e molte porte rimanevano chiuse, sicché‚ spesso per interi giorni egli non riceveva neanche una crosta di pane. Una volta era andato di porta in porta da mattino alla sera, nessuno gli aveva dato nulla, nessuno voleva accoglierlo per la notte; allora egli andò in un bosco e trovò finalmente un grotta da cui era stata ricavata una casa; e dentro c'era una vecchia. Egli disse: "Buona donna, ospitatemi in casa vostra per questa notte!". Ma ella rispose: "No, non posso, anche se lo volessi. Ho tre figli che sono cattivi e crudeli: se tornano dalla loro scorreria e vi trovano, ci ammazzano tutt'e due". L'eremita disse: "Lasciatemi restare! Non faranno nulla ne a voi ne a me". E siccome la donna era caritatevole, si lasciò convincere. Così l'eremita si coricò sotto la scala e mise il pezzo di legno sotto il suo capo. A quella vista, la vecchia gliene domandò la ragione ed egli le raccontò che lo portava sempre con sé‚ per penitenza e di notte lo usava come cuscino. Aveva offeso il Signore perché‚ vedendo un povero peccatore che andava al supplizio, aveva detto che se lo meritava. Allora la donna si mise a piangere e gridò: "Ah, se il Signore punisce solo per una parola, che sarà mai dei miei figli, quando compariranno a giudizio davanti a Lui?". A mezzanotte tornarono a casa i briganti con strepito e fracasso. Accesero un fuoco, e quando le fiamme illuminarono la grotta, ed essi videro un uomo coricato sotto la scala, andarono su tutte le furie e gridarono alla madre: "Chi è quell'uomo? Non ti abbiamo forse ordinato di non accogliere nessuno?". La madre disse: "Lasciatelo stare, è un povero peccatore che fa penitenza". I briganti domandarono che cosa avesse fatto, e gridarono: "Vecchio, raccontaci i tuoi peccati!". Il vecchio si alzò e narrò come, con un'unica parola, avesse tanto peccato che Dio si era adirato con lui, e ora egli doveva espiare questa colpa. I briganti furono così colpiti dal suo racconto, che ebbero orrore della loro vita passata, si ricredettero e, sinceramente pentiti, incominciarono a scontare la loro colpa. Dopo aver convertito i tre peccatori, l'eremita tornò a coricarsi sotto la scala. Ma al mattino lo trovarono morto; e dal legno secco, sul quale posava il capo, erano cresciuti tre ramoscelli verdi. Il Signore lo aveva di nuovo accolto nella sua grazia.

L'educazione alla vita, passa attraverso il racconto di fiabe, come quella riportata, in quel periodo delicato della nostra vita che si chiama infanzia.
Gli autori di questa fiaba sono due fratelli che inseparabili fin da bambini, vissero e studiarono e scrissero insieme per tutta la loro vita. Il maggiore dei fratelli Grimm, Jacob (1785-1863) era il più ostinato e severo; il secondo, Wilhelm (1786-1859) il più gaio e il più poeta. Ma le fiabe che i Grimm scrivevano erano quelle che le mamme  e le nonne tedesche raccontano ai bambini, e che esse hanno imparato a loro volta dalle loro mamme e nonne.

venerdì 8 ottobre 2010

Chiedono la pena di morte, perchè sono più bestie della BESTIA?

La pena di morte non è una pena. Si contesta l'omicidio per commetterne un altro, egualmente arbitrario. Illogico. Ti uccido perchè tu hai ucciso.

L'esecuzione capitale è un atto intrisecamente delittuoso: l'ordinamento che lo prevede non rispetta la condizione della propria validità. Per fortuna l'articolo 27 della Costituzione italiana comma 4: "Non è ammessa la pena di morte". Nessuno tocchi Caino, insomma. A questo punto, posto che ignorantia legis non excusat, chiedono la pena di morte violando la Costituzione italiana, perchè sono più bestie della BESTIA?

Medioevo \ Barbarie

martedì 5 ottobre 2010

Pungoleresti un leone con un punteruolo in ferro per un pubblico pagante? La natura è indomabile.


Due leoni, dopo chissà quali angherie e una vita triste sostanzialmente innaturale lontana dalla loro savana,  hanno attaccato un domatore durante uno spettacolo circense a Lviv in Ucraina. Il domatore Oleksie Pinko, per quanto zoppicante con una gamba insanguinata, forse impossibilitato a battere in ritirata e cercando di riprendere il controllo dell'arena con la violenza colpisce con un punteruolo in ferro un leone, scatenando l'aggressività naturale del felino che trova sostegno in un compagno. I leoni ce l'avevano unicamente con il domatore, ignorando gli addetti del circo che si adoperano per fermare i leoni con getti d'acqua e bastonate in attimi scioccanti, mentre i felini attaccano il domatore. Il domatore, che ha rischiato di essere lettaralmente sbranato, è stato azzannato più volte alle braccia. Pinko è stato portato in ospedale dove è stato operato d'urgenza. Ora è in condizioni giudicate stabili. Ora ha conosciuto un vero leone.


Questo è l'attacco naturale di un leone. Lo pungoleresti con un punteruolo in ferro per far divertire un pubblico pagante?

lunedì 4 ottobre 2010

L'art.21 della Costituzione non vale per un libraio che sostiene di amare Milingo

Se passasse Francesco Totti e scrivessessimo "I love Milito" (attaccante Inter) succederebbe qualcosa?

Ma come, in questi giorni in tutta la rete non si fa che parlare della bestemmia del premier Silvio Berlusconi e la censura dello Stato cosa fa, si materializza con forza con un povero libraio borbottino, Salvatore Rizzuto Adelfio, che rivendicando il ruolo del libraio come operatore culturale, aveva esposto nella propria libreria "AltroQuando" uno striscione ironico con scritto I love Milingo, in concomitanta con la visita del Papa a Palermo ed il relativo adiacente passaggio.  La Costituzione vigente, così all'art. 21 Art. 21 co.1: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. L’opera censoria delle forze dell’ordine pare lesiva della libertà democratica di espressione del pensiero e per questo la rete è insorta parlandone, anche con riferimento alla contemporanea bestemmia del premier.


"Pazzesco. Ho visto il video della Digos che fa una irruzione stile rogo nazista dei libri del '33. Non so se aver più timore di rapinatori o se della Polizia. Il fine settimana a scodinzolare dietro dietro il papa... La settimana scorsa a manganellare studentini (detto con affetto... ho 50 anni) di 16/18/20 anni a Torino. Dopo che li avevano già bastonati in altre città. Bastoni per chi a Napoli protesta per evitare l'ennesima discarica a 300 mt da casa, dato che ha già 3 malati di cancro in casa...Bastoni per chi protesta per la chiusura degli stabilimenti. Bastoni... bastoni... bastoni...Brutti segnali" Tratto dal Blog di Beppe Grillo.

sabato 2 ottobre 2010

Magnifici cambiamenti climatici all'Università Ca' Foscari Venezia. La questione morale

30/09/2010 L'entrata principale di una Ca' Foscari irriconoscibile è sbarrata fisicamente da decine di poliziotti in assetto antisommossa, chiamati a tutelare l'ordine pubblico rispetto alle sacrosante proteste dei 39 lavoratori dell'Università reintegrati dal giudice. Scudi e manganelli fuori luogo alimentano nientemeno che la tensione ed il nosense nel tempio delle idee, del dialogo e della conciliazione. Lo Stato non è più in grado di tutelare il diritto al lavoro, se non per mano di una magistratura sempre più intasata e pertanto astutamente criminalizzata. L'unico pericolo concreto è rappresentato dall'incapacità manifesta di un rettore, Prof. Carlo Carraro, esperto di cambiamenti climatici, di ricevere dignitosamente i propri lavoratori in quella che più volte i giudici hanno sancito essere la loro sede naturale di lavoro. I lavoratori sono stati ricevuti nel cortile in una atmosfera surreale, indegna di una Università. La temperatura del clima a Ca' Foscari sta aumentando e tende a surriscaldarsi e questa incapacità saccente ed imbarazzante non contribuisce a rasserenare il clima.


Nella serata del 30 Settembre 2010, il Prof.re Carlo Carraro, circondato da decine di poliziotti in assetto antisommossa, chiamati irrazionalmente da Bologna a contenere un “pericolosissimo” manipolo di lavoratori disperati ed esasperati che da troppi maledetti mesi chiedono il rispetto delle ordinanze dei giudici, ha, tra le tante cifre richiamate in un freddo cortile ed in una atmosfera surreale, parlato della necessità di reperire 700.000 euro per sbloccare l’ennesima impasse in una vicenda vergognosa anche per l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che molto probabilmente si ritroverà a rispondere in solido con l’appaltatore di retribuzioni, contributi previdenziali, effettuazione e versamento delle ritenute fiscali sui redditi di tutti i lavoratori coinvolti nella vicenda. Si pensi che perfino gli antichi veneziani nel loro glorioso Arsenale evitavano gli appalti nella costruzione degli scafi perché pur favorendo la produttività, non davano sufficienti garanzie di qualità. Per questo motivo, dopo essere stato adottato in vari casi per la costruzione di tutta la galera, venne limitato esclusivamente alle opere morte e alle attrezzature, cioè alle parti in cui la lavorazione affrettata non pregiudicava la sicurezza dello scafo. A Ca’ Foscari, come ovunque, il servizio di portineria è parte dello scafo, è il biglietto da visita che rappresenta in prima linea l’immagine dell’Università con i propri clienti e più in generale con gli utenti tutti. Quando lo studente percepisce un disservizio da parte del servizio erogato dalla portineria, lo imputa a Ca’ Foscari e non alla cooperativa che si è aggiudicata l’appalto.
Purtroppo Ca' Foscari è sempre più imbevuta di ipocrisia; tanto più si solleva palpabile una questione morale all'Università tanto più evapora timidamente il coraggio di denunciarla da parte dei suoi protagonisti.  Un malloppo val bene una laurea, scriveva sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella in una vicenda poco chiara che riguardava l'Università Ca' Foscari. A nessuno sembra importare che la società civile guardi sempre più all'Università esattamente come nel medioevo un contadino guardava il castello baronale del proprio Signore di turno. Il nodo cruciale è come sempre il conflitto d'interesse tra il ruolo pubblico che si ricopre e  i meri interessi privati. Qui si solleva la questione morale, a Ca' Foscari come altrove. La questione più spinosa è anche quella paradossalmente meno dibattuta anche purtroppo in una Università.

Nelle aule universitarie si affronta nella teoria il Total Quality Management, un modello di qualità che prevederebbe, tra i tanti aspetti anche la possibilità di mettere in discussione i metodi di lavoro da parte dei lavoratori, eppure questi lavoratori delle portinerie nella pratica vengono trattati come dei paria e si vedono negare oltre al diritto al lavoro anche il diritto di parola sul blog del Rettore nella vicenda incresciosa  che li riguarda. L'Università è indifferente rispetto alla politica illegale dell'attuale cooperativa che ha vinto l'appalto e si limita a contare, come ha fatto il Rettore nella serata richiamata, i lavoratori come se fossero figurine da eliminare una ad una prima di arrivare ad una soluzione fisiologica. L'istituzione pubblica non è insorta neanche quando sui 28 lavoratori assunti inizialmente dalla nuova cooperativa al posto dei 39 reintegrati, ben 18 circa sono stati portati alle dimissioni a suon di turni massacranti in violazione della normativa giuslavorista, con irreali ambulanze davanti alle sedi universitarie e funzionari della Direzione Provinciale del Laovoro - Servizio Ispezione del Lavoro chiamati a mettere luce sulla vicenda.

Dicevo che lo studente non sa distinguere, tra Università e cooperativa. Sinceramente non so più neanche io distinguere i volti dell'attuale classe dirigente e della gerontocrazia. Nella fretta potrei scambiare il Prof.re Carlo Carraro con Alessandro Profumo o Cesare Geronzi e tanti altri. Guardateli i volti di chi si occupa di finanza a discapito dell'economia reale; sono tutti uguali, patinati di ipocrisia e pronti a risolvere con compromessi e transazioni economiche i nodi morali della vita, costruendo un modello di società impregnata di ingiustizia. L'esame di etica economica l'hanno superato velocemente come se fosse un pesante carretto trainato da uno stupido mulo. Sembrano costruiti nel laboratorio della saccenza e della presunzione con lo stampino. Sono quasi tutti dei premi nobel mancati, che alterano la realtà vendendo fumo, così come si vende una “gondoeta” in plastica ad un turista in Lista di Spagna spacciandola per oro zecchino; credono fermamente di dire verità sacrosante mentre pronunciano le menzogne più artefatte. Visto ed appurato che sono un ideologo provocatore, incapace di cogliere la sublime magnificenza di chi come l'attuale Rettore Carlo Carraro, probabilmente è stato il protagonista indiscusso ed incompreso della mostra Russie sul totalitarismo e sulla mistificazione, cercando di togliere in un episodio poco chiaro le mailing list alle RSU di Ca’ Foscari in violazione di legge (art. 28 Legge 20 maggio 1970 n.300), ho trovato  i 700.000 euro. È stato facile trovare i 700.000 euro. Cosa vuoi che siano 700.000 euro al giorno d'oggi.




Contemporaneamente alla nomina nell’ Aprile 2010 del Prof.re C. Carraro nel Cda delle Assicurazioni Generali presieduto da Cesare Geronzi in barba al principio fumoso del cumulo di incarichi rispetto al suo attuale mandato di Rettore, è emerso da uno studio-pilota dal titolo "Finanza e armamenti: le connessioni di un mercato globale" realizzato dall’Osservatorio sul Commercio di Armi (Os.C.Ar) di IRES Toscana – Istituto di ricerche Economiche e Sociali – vincitore del bando di finanziamento della Fondazione Culturale Responsabilità Etica onlus per il 2009, che le Assicurazioni Generali hanno acquistato, come tante altre banche bisogna dirlo, quote di aziende che producono: armi nucleari (210 mila euro), bombe a grappolo (160 mila), ed altre tipologie di armi controverse (370 mila) (Valori, n.78, Aprile 2010). Ora, se il Prof.re Carlo Carraro riuscisse a convincere il suo amico Cesare Geronzi ad investire questi 740.000 nella pacifica istruzione universitaria togliendoli dalle disponibilità dei fabbricanti di morte, il problema sarebbe risolto. Peccato che la mia sembri soltanto ideologia. In fondo questa storia, se la raccontassimo ad un semplice malgaro dell'Altopiano di Asiago non la capirebbe. Beato lui.
Cesare Geronzi, che presiede il Consiglio di Amministrazione delle Assicurazioni Generali, è imputato per il reato di bancarotta in due processi di competenza del Tribunale di Roma. Uno riguarda il crack Cirio, mentre l'altro il crack Parmalat ed Eurolat, accaduti tra il 2002 e il 2003. All'epoca dei reati contestati, Geronzi era dirigente del gruppo bancario Capitalia e assisteva finanziariamente il gruppo Cirio e il gruppo Parmalat. A Marzo 2010 i processi devono ancora avere inizio (Il Sole 24 Ore, Svolta al processo Eurolat Cesare Geronzi prosciolto dall'accusa di estorsione, 23 Marzo 2010).
Cesare Geronzi secondo Marco Travaglio

Il lavoro è essenziale per il benessere di tutti: oltre ad assicurare un reddito, apre la strada al progresso sociale ed economico dando più potere agli individui e alle loro famiglie e comunità. Per realizzare questo progresso però il lavoro deve essere dignitoso. Dignitoso significa che garantisce una posizione produttiva e sufficientemente retribuita, sicurezza sul lavoro e protezione sociale per sé e per le proprie famiglie. Lavoro dignitoso significa migliori prospettive per lo sviluppo personale e per l'integrazione sociale, libertà di manifestare le proprie opinioni, di organizzarsi e di partecipare alle decisioni riguardanti la propria vita, e dà pari opportunità di trattamento a tutte le donne e gli uomini. "Il lavoro non è una merce" si disse in una Conferenza generale dellOrganizzazione internazionale del Lavoro, riunita a Filadelphia nel 1944. Nel 2010 possiamo dire che questa vicenda semplicemente non è dignitosa.

domenica 19 settembre 2010

Kibera, baraccopoli di Nairobi, 1 milione di persone, l'85% malate di AIDS

Il testo che segue è tratto dal libro "Africa on the road" del giovanissimo esperto Vagabonding Fabio Miggiano, ideatore e autore del progetto di viaggio, ricerca e sensibilizzazione nel sud del mondo, di cui è testimonianza il portale web  http://www.africaontheroad.it/

Il sole in Africa sorge come un palla di fuoco lanciata in alto nel cielo. In un istante il buio della notte scompare e tutto si riempie di una luminosità accecante. È sempre emozionante osservare come la notte se ne vada in pochi minuti e le stradine di Riruta si risveglino. Un attimo prima la Kabira road è deserta e ancora coperta dal cielo stellato e da un silenzio irreale. Subito dopo appare il sole, la gente sbuca da ogni angolo del quartiere e in un battito di ciglia le strade si ripopolano: bimbi in divisa vanno a scuola, gente in giacca e cravatta va a lavorare negli uffici del centro, donne con taniche gialle corrono al pozzo a prende l’acqua o dietro un banchetto a mettere in fila pomodori, banane e manghi, giovani spingono carretti già carichi di merce da trasportare dall’altra parte del compound. A volte mi chiedo dove fossero tutti fino a qualche minuti prima. Dopo una colazione veloce lascio Kivuli. Qualche chilometro a piedi fino alla stazione dei bus. Strada di fango rosso, bancarelle piene di frutta, pesce secco e vestiti, gente che svolge le attività più disparate per tirare avanti, la musica che già dalle prime ore della giornata pervade le strade. Prendo un matatu diretto verso il centro. I matatu sono minibus che fungono da taxi, colmi all’inverosimile, con disegni accattivanti sulla carrozzeria e musica reggae o rap a tutto volume. Ci si ritrova schiacciati tra una ventina di persone, sballottati dalle buche profonde della strada che gli autisti percorrono a folle velocità.
Kibera, la baraccopoli.
 Scendo ad Adam’s , poche centinaia di metri da Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi e una delle più estese al mondo. A Kibera vivono circa 800 mila persone (ma molti dicono che si sia superato il milione) in baracche di fango e lamiera. Ci sono fogne a cielo aperto e nessun servizio sanitario e sociale. È una distesa impressionante di lamiere arrugginite, fino ai grattacieli del centro che s’intravedono tra la foschia e lo smog di questa città infinita. Nella bidonville il tasso di AIDS è elevatissimo, si pensa sia intorno all’85%, ed entrare nello slum di Kibera è come entrare in un tunnel senza uscita. Solo più tardi riuscirò a capire che l’uscita esiste.



Una delle prime persone che ho visto è Mama Esther, una donna sui 35/40 anni, anche se probabilmente la malattia la invecchia. Per arrivare alla sua baracca si cammina lungo una delle strade più larghe di Kibera e poi si svolta sulla destra. Non ci sono vie, non ci sono nomi, non ci sono numeri civici, non c'è nulla di nulla. Ad un certo punto ritrovo una serie di cortiletti uniti da piccoli viali, ed in mezzo le solite pareti di fango e lamiera delle case. Una tenda bianca nasconde l'interno buio della piccola stanza in cui Esther trascorre tutta la giornata. Entriamo, io ed Henry Mutuku, un ragazzo poco, più che ventenne che ho conosciuto questa mattina nei pressi della mia pensione. Lui sarà, la mia guida a Kibera ed è la prima volta che anche lui si spinge fin qua. Esther è li, e sussurra qualcosa da dietro la tenda a righe che ripara il letto. Nella camera ci sono: una vecchia poltroncina, una piccola lampada a cherosene e un fornelletto, qualche stoviglia buttata in una bacinella sotto il letto, un mucchio di lenzuola e alcuni vestiti di fianco al letto. La parete alle mie spalle è ricoperta da sacchi di plastica neri, due taniche vuote sono dietro Ia porta e una piccola finestra sula parete di fronte fa passare la poca luce che illumina l'ambiente. Il pavimento è di terra rossa e una borsa completamente impolverata è appesa a un muro. Ogni cosa sembra essere lì da tempo. La polvere ha ricoperto quasi tutto. In una caraffa sul comodino c'è un po' di porridge. Lo scaldiamo. Appena acceso, il fornelletto a cherosene riempie la stanza di un odore insopportabile, petrolio bruciato. L'aria si fa irrespirabile e i vapori della fiamma coprono tutti gli altri odori. Apro la porta per far correre un po' d'aria. Henry mi dice che vuole andare a riempire una tanica d'acqua. Avverte Esther e io resto a farle compagnia. Ha la voce esile, la vedo solo dal petto in su: il resto del corpo è nascosto dalla tenda. Non vuole toglierla perché dice che dietro è sporco. Rimane sdraiata, lo sguardo fisso nel vuoto, mi punta gli occhi solo un paio di volte per poi distoglierli immediatamente quando si accorge che anche io la guardo. I suoi occhi sono davvero tristi. Ha occhiaie profonde , un polso magrissimo e la pelle ruvida e secca. Mi sento un po’ a disagio. Provo ad usare le poche parole in swahili che conosco e cerco di percepire quello che mi vuole dire. Mi chiede come mi chiamo, mi dice che viene da Kakamega. Dopo qualche tentativo di parlare d’altro, rimaniamo entrambi in silenzio. Io la osservo. Lei, piano piano, chiude gli occhi. Mi guardo attorno. Mi stupisce uno dei calendari che c’è sul muro. È del 1999. C’è una foto di due giraffe con il Kilimnjaro sullo sfondo. Pensare che l’Africa sia anche quello, mentre mi trovo a Kibera, mi travolge. La bellezza e l’orrore dell’Africa stanno in quella baracca, in una foto e in una donna malata di AIDS sdraiata sul letto. Penso che abbia tenuto il calendario per sognare ogni tanto il posto da cui lei viene: Kakamega, la savana, gli animali, il suo villaggio.


Rientra Henry con la tanica piena d’acqua. Il porridge è ormai caldo, lo verso in una tazza mentre Henry lava i piatti. Le passo la tazza, lei ne prende un sorso e la posa velocemente sul comodino. Chiude gli occhi e si immobilizza. Rimango in silenzio. Quando Henry finisce di lavare i piatti decidiamo di andare via. Prima porgiamo una preghiera in swahili. Capisco solo quando incominciano a recitare il Padre Nostro e li seguo in italiano. Un Padre Nostro particolare, come sempre capita da queste parti. Mentre sono lì, penso a come possa esistere un Dio che permetta tutto ciò. Lei mi stringe la mano e sento la forza che solo la preghiera riesce ancora a darle, lezione che ricevo ogni giorno. Poi la saluto, le tendo la mano e la ringrazio, promettendole che tornerò. Henry mi spiega che da tempo cercano di convincerla a tornare al suo villaggio per due motivi. Il primo, perché avrebbe qualcuno vicino a lei (qui infatti non ha neanche un parente); e il secondo, perché i costi di sepoltura sarebbero nettamente inferiori. Perché ormai non c’è più nulla da fare. Al villaggio però non vuole tornare, non vuole che la sua gente la veda così. In campagna, soprattutto quando uno è malato di AIDS, le gente pensa che sia vittima di uno “Jin”, uno spirito cattivo, mandato da qualcuno. Ed è una disgrazia quando uno della propria famiglia è vittima di questi spiriti. Esther quindi preferisce morire, qua, sola, nella preghiera.
Fabio Miggiano a 21 anni ha attraversato tutta l'Africa. L'avventura è stata poi inscatolata in un portale web  http://www.africaontheroad.it/
 Il sole caldo che batte sulla lamiera dei tetti trasforma queste piccole camere in fornaci. L’odore forte di fango, residui di cibo, a volte d’urina rende il respiro affannoso, ma dopo un po’ ci si abitua. Il calore che continua a bruciare è quello delle persone come Esther, gente dallo stomaco di ferro, ma con un cuore d’oro. Gente che è capace di sorridere nonostante storie terribili alle spalle e le condizioni disumane in cui vive. Gente che ringrazia per il nulla materiale che possiede e per le fatiche che è costretta a sopportare. Gente che vive l’oggi senza pensare al domani e che, nonostante tutto, continua a sperare. Gente che ascolta musica rap e mangia hamburger, ma che è ancora molto legata alle proprie tradizioni. Joseph è un ragazzo burundese di diciotto anni, fuggito dal suo paese dopo aver visto uccidere il padre da un gruppo di guerriglieri e arruolatosi in seguito nell’esercito. Dopo qualche mese di dura vita militare nell’esercito tutsi, Joseph ha deciso di rifugiarsi in Kenya. A Nairobi è riuscito a trovare uno sponsor per una scuola e sta cercando di crearsi un futuro da rifugiato, con la consapevolezza di non poter più tornare nel suo paese. Maria (mi racconta una sua amica) era una donna congolese. Scappata dal suo villaggio perché credeva di essere vittima di un sortilegio inflittole da qualcuno geloso della sua bellezza, si è nascosta a Nairobi dove è morta tre settimane fa in una squallida baracca di Kibera, dopo aver accettato di essere malata di AIDS e non vittima di una maledizione. Caroline è una donna con la pelle scura come il carbone e un fisico robusto, nascosto sotto i coloratissimi tessuti a fiori. È madre di cinque figli e deve mantenerne altri tre, orfani di suo fratello. Sopravvive lavando gli indumenti per i vicini e facendo qualche lavoretto per loro. Suo marito l’ha abbandonata qualche anno fa, dopo che lei è rimasta incinta per la quinta volta. Nonostante tutto, è una persona piena di gioia e vitalità, ed è una delle donne più impegnate della parrocchia di Riruta. Ogni domenica va all’altare durante la Messa per ringraziare il Signore della vita che le ha donato.

Moses è un giovane masai: lobo dell’orecchio forato, come tradizione vuole, occhio con taglio orientale e pelle di un nero così profondo da ci si può perdere. È venuto a lavorare qui a Nairobi come guardiano notturno. Moses è innamorato di J., una ragazza attraente del suo villaggio, di cui porta sempre in tasca una foto ingiallita. Dice che rimarrà qui ancora per due o tre mesi, giusto il tempo per comprare le quattro mucche che gli servono per poter riscattare J. dai suoi genitori.


Victor è un ex bimbo di strada. Magro. Dimostra metà degli anni che ha, capelli rossicci carenti di melanina, sintomo della scarsa alimentazione che poteva permettersi con l’elemosina e qualche piccolo furto. Ora vive in una struttura di riabilitazione. Ha smesso di fare uso di colla. Va a scuola e ha da mangiare ogni giorno. Non parla volentieri dell’anno e mezzo che ha vissuto per strada. Adesso è felice. Sta imparando a scrivere e a leggere, anche se fa più fatica dei suoi compagni di classe.


Kibera, la baraccopoli.
Maryanne è una ragazza diciannovenne di Korogocho, una delle baraccopoli più violente di Nairobi. È bellissima, ha lineamenti raffinati, tipici dell’etnia nilotica, un fisico filiforme e il portamento elegante che si addice a una principessa. Lavora in centro. Per mantenere suo figlio vende “amore” ai clienti ricchi degli hotel della città. Orami è quasi un anno. Non ha mai terminato la scuola primaria perché è rimasta incinta a 14 anni. Non le piace il lavoro che fa. Vorrebbe un giorno trovare un buon impiego per mantenere dignitosamente lei e il suo piccolo. È ancora una bambina, ma i suoi occhi dimostrano il suo difficile e doloroso passato. Il mese prossimo dovrà sostenere un colloquio per un corso di taglio e cucito in una parrocchia della zona in cui vive. Dice che fra poco la sua vita cambierà.



Lazarus è volontario presso un’associazione che si occupa di assistenza ai malati di AIDS a Kibera. Non ha un altro lavoro e dedica tutto il tempo ai suoi pazienti. Una notte di metà gennaio, un incendio ha bruciato la sua baracca. Le uniche cose che è riuscito a salvare sono state il pigiama che aveva addosso e un paio di ciabatte infradito. Ha iniziato piano piano a ricomprarsi qualche vestito grazie all’aiuto di alcuni amici, senza mai smettere il suo lavoro a Kibera.

Di fronte alle storie di queste persone, la nostra fortuna è una evidente certezza, ma spesso non ce ne rendiamo conto. Ogni sera mi addormento con un po’ di tristezza, pensando a tutte quelle vite appese a un filo, al dramma che si respira fra i più deboli, fra gli emarginati, degli emarginati, fra i poveri del Terzo Mondo. Ma nonostante tutto, riesco a superare i momenti tristi con la condivisione della sofferenza che incontro ogni giorno fra le strade di questo continente, e alla quale sto imparando a rispondere con le armi più potenti e sottili che l’uomo possieda, l’amore e il silenzio.

venerdì 17 settembre 2010

Annozero sarà in onda il 23 settembre, passate la voce.


«Cari amici - scrive Santoro - sono di nuovo costretto a chiedere il vostro aiuto. Giovedì 23 settembre alle ore 21.00 è prevista la partenza di Annozero ma la redazione è tornata al lavoro da poche ore e con grande ritardo, i contratti di Travaglio e Vauro non sono ancora stati firmati e lo spot che abbiamo preparato è fermo sul tavolo del direttore generale». «Tuttavia, se non ci sarà impedito di farlo, noi saremo comunque in onda giovedì prossimo - sottolinea il conduttore di Annozero - e con me ci saranno come sempre Marco e Vauro. Vi prego, come avete fatto con «Rai per una Notte», di far circolare tra i vostri amici e tra le persone con cui siete in contatto questo mio messaggio avvertendoli della data d'inizio del programma. Nelle prossime ore vi terrò puntualmente informati di quanto avviene»

mercoledì 15 settembre 2010

Il bagliore di uno sguardo


Proteggiamo sempre più il nostro sguardo prezioso o venduto che sia, con occhiali impenetrabili. Uno sguardo, una occhiata può essere fatale e cambiare il destino della nostra vita. Un colpo di carabina. Punto debole. Lo sguardo può essere accecante o nauseante. Mi attrae il bagliore di uno sguardo, perchè può illuminare facendo luce. Lo sguardo può leggere nell'anima di una persona. Uno squarcio nelle tenebre. Io ho la presunzione di riuscirci. Con uno sguardo nella maggior parte dei casi ho già capito chi ha venduto la propria anima e chi ancora insegue verità e virtù. Non mollo mai lo sguardo, se ne vale la pena. Quanti occhi spenti. Quanti occhi senza energia. Ma il mio habitat naturale è il bosco, la città mi indebolisce. Nel bosco io divento un guerriero della luce e vedo finalmente la meraviglia della vita, dimenticando gli occhi corrotti e corrosi dai compromessi. La mia dimensione è il bosco, dove picchio sempre forte. Un picchio. Questa è la libertà. L'antitesi di un popolo delle libertà.

Per stasera basta. Ho provato a scrivere, per una volta tutto quello che mi passava per la testa.

Ci sono giuramenti ed intese che non si possono svelare. Esse nascono nel bosco, sono indecifrabili e fanno parte di quel mistero che è la vita.

sabato 11 settembre 2010

Fari allo xenon ti accecano? è la macchina del capo che ha sempre gli abbaglianti accesi



Sensazione di un SUV dietro che ti brucia la retina degli occhi ed incendia lo specchietto retrovisore con i fari allo xenon; è la macchina del capo descritta in questra traccia audio che descrive in ogni sua forma, l'accidia della società moderna. Il capo è un mostro, un titano invincibile e ai suoi piedi il popolo addormentato e spiritualmente ritardato, un sonno barbaro dove il futuro è nero elegante. L'artista è una sorta di pseudodemone, si muove in fredde sonorità e svela concetti tristemente realistici di una società plastificata.

Sotto il guanto di velluto di un umanitarismo efficacemente supportato da manipolazione genetica, impiego di sostanze psicoattive, ipnopedia e divertimenti ipertecnologici, l'umanità è finalmente riuscita a sconfiggere le malattie, l'aggressività, la guerra, l'ansia, la sofferenza, il senso di colpa, l'invidia e il dolore. Ma il prezzo di tale vittoria ha un nome: omogeneizzazione, mediocrità, divertimenti banali, affetti superficiali, gusti triviali, falso appagamento, incapacità di provare amore e desiderio.

giovedì 9 settembre 2010

Immune alla deludente sensatezza. Non aprite quella porta.


Inutile nasconderlo. L'adolescenza e la giovinezza sono il periodo della nostra vita in cui l'esperienza la si conquista a morsi. Con il passare degli anni, più ci si allontana dall'adolescenza elettrica, più bussa alla nostra porta una rischiosa "deludente sensatezza". Eppure il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura e per le nuove esperienze. Chi vuole restare vivo e non morire prima di tutto di noia e di luoghi comuni, deve misurarsi spesso la temperatura della propria vita e se necessario apportare un radicale cambiamento al proprio stile di vita.

martedì 10 agosto 2010

Il popolo dei Po po po po po po: si dorme, si mangia, si xxxx, si guarda la TV sognando uno yacht a Portocervo.

C'era un tempo in cui una folla di cittadini e forestieri si riuniva morbosamente nei pressi di San Marco per assistere all'arrivo o alla partenza di un carcerato, vista la vicinanza delle prigioni. Eredi forse delle folle che da sempre si accalcano pateticamente allo "spettacolo" delle "ghigliottine giacobine" che la Storia ha sempre regalato, perchè la morte o l'altrui annientamento può creare un brivido di vitalità a chi rimane in vita.


Ora il popolo, composto di persone spiritualmente ritardate e alimentato da omogeneizzazione, mediocrità, divertimenti banali, affetti superficiali, gusti triviali, falso appagamento, incapacità di provare vero amore ha il proprio inno: Po po po po po po. Stavolta si celebra la morte della cultura. Il popolo dei Po po po po po po, spesso alticcio in modo animalesco, vomita curiosità riempiendo di attenzioni morbose  proprio coloro che sottraggono e accumulano illecitamente altrui risorse, garantendo la loro morte culturale. 

La Pierelli dorme, il fidanzato bacia un'altra. Dalla Carfagna a Noemi, pazze per il bijoux a farfalla... Questa copertina è l'emblema dell'odierna incapacità di provare vero amore, perchè ora tutto è banalizzato, proprio tutto ha un prezzo e ci si vende.

domenica 18 luglio 2010

La Strada del Ponale. Pedalate sfidanti nel vento in un deciso sfidare il momento.


Interrompo un istante la pausa estiva, per inserire un video che non è altro che la continuazione di un post precedente "Garda Style".
Le emozioni si possono accumulare e stratificare nel crescendo di un sentiero che corre parallelamente lungo una emozione chiamata Lago di Garda, la strada del Ponale: una visione sezionale di una emozione. Da questa strada si può letteralmente mordere il paesaggio di tutto il lago di Garda, gustandosi panorami mozzafiato e alimentando correttamente l'animo ed il cuore con un pompaggio naturale e felice.

martedì 18 maggio 2010

Jack London è Re

Video spot del blog "In esplorazione oltre lo stagno di rane"

Alberto Sciretti. Aprile 2010
"L'ultimo bagliore del tramonto si spegneva sulle deserte solitudini gelate e, contro l'indistinto colore del cielo, più viva spiccava la massa scura degli abeti che premevano e incalzavano il corso gelato del fiume.
Il vento che sino allora aveva impazzato, strappando dagli alberi la veste gelata che li aveva ricoperti, ora aveva tregua.
Nessun rumore, nessuna voce d'uomo rompeva quel silenzio, e la natura, sempre uguale da che è nato il mondo, dominava incontrastata." (Incipit di Zanna Bianca di Jack London)
Alberto Sciretti. Aprile 2010
"La mente... solo la mente sopravvive. La materia fluisce, si solidifica, fluisce di nuovo, le forme che essa assume sono sempre nuove. Poi si disintegrano in quel nulla eterno donde non vi è ritorno. La forma è un'apparizione, [...], ma il ricordo permane, rimarrà fino a quando lo spirito resiste, e lo spirito è indistruttibile." ("Il Vagabondo delle Stelle" di Jack London cap. XVI)
Ci sono delle traccie nella vita che portano a scoperte che mai avresti pensato di fare. Ho voluto intitolare questo post "Jack London è Re"  per citare Chris McCandless. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura.
Alberto Sciretti. Aprile 2010
È la vita a costituire l'unica realtà e il vero mistero. La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia. Lo so. Io sono la vita. Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi. Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato. ("Il Vagabondo delle Stelle" di Jack London cap. XII)

domenica 16 maggio 2010

Walden: andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità


Copertina del libro "Walden": è possibile leggere il libro a questo link

Il libro che mi accingo a leggere con entusiasmo, Walden, è ritenuto uno dei primi romanzi ecologici ed ha influenzato il pensiero ecologico contemporaneo. Fu scritto quasi interamente durante il soggiorno di H. D. Thoreau in una capanna, costruita in gran parte da solo, sulle sponde del lago Walden che si trova vicino alla cittadina di Concord (Massachusetts), USA.

Walden, ovvero La vita nei boschi, è il resoconto dell'avventura dell'autore, Henry David Thoreau, che dedicò ben due anni (1845-1847) della propria vita nel cercare un rapporto intimo con la natura e insieme ritrovare sé stesso in una società che non rappresentava ai suoi occhi i veri valori da seguire, ma solo l'utile mercantile.

La cappanna ricostruita.
Il suo è stato un esperimento, il suo obiettivo era quello di voler cercare la conciliazione dell'artista nel mondo naturale grazie all'ottimismo del vedere l'uomo come artefice del proprio destino e come essere dipendente da sensazioni ed emozioni. Il bosco diventa, luogo dell’anima e della contemplazione.
La sua è stata una prova di sopravvivenza ed insieme una testimonianza all'umanità: l'uomo riesce a vivere anche in condizioni di povertà materiale, e anzi, da queste può trarre una maggior felicità imparando ad apprezzare maggiormente le piccole cose.

"Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto." (Henry David Thoreau, Walden)

sabato 15 maggio 2010

Dedicato a chi riesce ancora a volare ed a sognare

L'"assetto Peter Pan" è uno stato di grazia, una pace sublime dei sensi e dell'anima,  raggiunta la quale nella vita sei in grado di volare anche quando gli anni passano e non riesci più semplicemente dalla tua cameretta a conquistare il mondo; volare è quel dono, che ti offre la possibilità di staccarti dalle banalità superficiali, riusciendo a cogliere quelle sfumature intense che sono il sale della vita, le vere emozioni.
Non si tratta di un volo ipocrita, che mira solo ad evitare il fango delle esperienze empiriche più varie che giammai possono sporcare le ali di un'aquila reale. Si tratta di librare puri, liberi, genuini, incontaminati,
sinceri, leali, forti, indomiti, onesti,
integri, veri, schietti, buoni,
autentici.
E' possibile volare.

   

L'essere umano nasce come un contenitore vuoto, una botte vuota che potrà riempirsi di vino buono sempre che riceva una educazione al suon di buoni esempi nel periodo importantissimo dell'infanzia e che poi attraverso le sue scelte ricerchi sempre conoscenza e virtù.
Le pressioni ambientali che riceverai, tenderanno sempre a trascinarti nella pozzanghera fangosa del compromesso e del tradimentoomogeneizzazione, mediocrità, divertimenti banali, affetti superficiali, gusti triviali, falso appagamento, incapacità di provare amore e desiderio. In quel momento, proprio in quel frangente, decidi in sostanza se restare una Aquila o diventare un verme costretto a scrisciare per vivere.  L'angelo caduto, con le ali spezzate conoscerà rimpianti e rimorsi.
Ognuno di noi è ciò che decide di essere, in base alle scelte adottate tutti i giorni. Per questo con questo blog, ho sempre alluso all'importanza di circordarci di persone a noi simili e che amandoci ci aiutino a volare ed a frequentare luoghi materiali e spirituali al di là dello stagno di rane. Cam-Caminì Cam-Caminì Spazza camin allegro e felice pensieri non ho. Uno dei tantissimi luoghi da visitare con l'assetto Peter Pan è sicuramente il Castello di Neuschwanstein , Il Castello della Nuova Pietra del Cigno, soprannominato il castello della Disney, il monumento più visitato della Germania e il castello più fotografato d'Europa.
Castello di Neuschwanstein costruito nel 1869.
La posizione del castello è sommamente scenografica: ai piedi di una montagna, poco distante da un lago, sul ciglio di una gola vertiginosa e in vista di un altro castello, immerso nella foresta. Il castello può essere considerato un monumento dedicato al compositore Richard Wagner, amico e idolo del Re Ludovico II di Baviera, che considerava l'opera di Wagner quasi alla stregua di una religione, al punto da scrivergli in una lettera "Il luogo è uno dei più belli che si possano trovare, sacro e inavvicinabile, un tempio degno di Voi, divino amico, che faceste fiorire l'unica salvezza e la vera benedizione del mondo"
Ha ispirato i castelli delle favole della Walt Disney, che lo prese a modello per alcuni tra i suoi più celebri film d'animazione: "Biancaneve e i sette nani", "Cenerentola", "La bella addormentata nel bosco". Nel castello sono stati ambientati innumerevoli film ed è il soggetto di numerosi puzzle e poster.

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