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sabato 3 ottobre 2015

A tree on your doorstep, a forest in your mind (Ann Van Herzele)

In esplorazione (New Forest, UK)
Immaginiamo di uscire di casa e incamminarci per la strada. Se incontriamo una persona, può darsi che le rivolgiamo un saluto. Altrimenti è probabile che ci limitiamo a guardarla negli occhi, oppure nemmeno quello, e proseguiamo. Immaginiamo adesso di trovarci in un ascensore su cui sale, insieme con noi, un’altra persona. Molto probabilmente non la guarderemo negli occhi, e con altrettanta probabilità ci limiteremo, nel rivolgerle la parola, ad un semplice saluto imbarazzato.
Immaginiamo di incamminarci, invece che su di una strada, su un sentiero di un parco o in un bosco. Se incontriamo una persona nel nostro cammino, quale sarà in questo caso il nostro atteggiamento? Quasi sicuramente le rivolgeremo il saluto, e così farà l’altra persona. È possibile anche che ci si soffermi, che si faccia un breve dialogo, o che il breve dialogo si evolva in una conversazione, magari in un’amicizia.
La gente ama i boschi. La gente ama gli alberi. In tutta Europa i boschi sono tra i luoghi preferiti e più popolari per passare il proprio tempo libero, per svolgere attività ricreative, sportive e turistiche all’aria aperta, per rilassarsi. Gli alberi, i boschi sono energia e maestosità, simbolo di vita e catalizzatori di emozioni e di comunicazioni.
In parallelo, gli spazi verdi in città, dal piccolo giardino in fondo alla strada alla foresta nei margini urbani, sono ambiti in cui tante persone esprimono interessi personali o di gruppo, a volte condivisi, altre volte conflittuali. I boschi e gli spazi verdi urbani sono al centro della vita delle persone e riflettono la loro quotidianità e il loro immaginario, l’uso che ne fanno (incontrarsi, camminare, giocare, rilassarsi) o la negazione dell’uso che ne vorrebbero fare.
Gli alberi e i boschi alla porta di casa forniscono una incredibile quantità e una elevatissima qualità di beni e servizi per la comunità. Per questo, ora più che mai, i boschi e gli spazi verdi urbani sono boschi di tutti: quegli alberi e quei boschi alla porta di casa che non sono un semplice abbellimento ma rappresentano un elemento vitale della quotidianità degli ambienti urbani. In Europa, i boschi urbani sono una realtà fondamentale per mantenere gli abitanti delle città in contatto con la natura e con i processi naturali. Questi boschi possono offrire piacevoli ambienti per il riposo, il relax e la ricreazione. Sappiamo che la frequentazione giornaliera di boschi ed altri spazi verdi può migliorare la salute mentale e fisica delle persone, acuire le capacità cognitive, essere un prezioso sostegno nella prevenzione e nella cura di malattie non trasmissibili. Le aree verdi contribuiscono a migliorare il clima urbano, a ridurre l’inquinamento atmosferico e proteggere la città da eventi naturali estremi come a garantire la buona qualità e un sicuro approvvigionamento di risorse di acqua potabile.

Fabio Salbitano

docente di Ecologia del paesaggio e di Selvicoltura urbana, Università degli Studi di Firenze

martedì 30 settembre 2014

La melassa democristiana o la Natura.


Andreotti, Craxi, Berlusconi, Monti..fino agli ultimi sinistri annunci di Renzi. E e se per una volta alla melassa democristiana scegliessimo la Natura?

sabato 17 maggio 2014

L'Italia è molto più grande delle nostre paure, è molto più bella delle nostre preoccupazioni.

Toscana. Questa è l'immagine utilizzata al lancio di un nuovo portale internazionale del turismo. (Villas.com , gruppo booking.com, PRICELINE)
Di certo non mi sento un Renziano. Ho spiegato le ragioni per le quali non me la sento di marciare con Matteo. Di questi tempi mi considero più un Marziano, non riuscendo a trovare una collocazione politica. Devo riconoscere altrettanto che Matteo Renzi affascina. Devo dire che mi ha particolarmente colpito ed affondato, con la seguente dichiarazione: “L'Italia è molto più grande delle nostre paure, è molto più bella delle nostre preoccupazioni.” Mi si è elevato lo spirito sentendo queste bellissime parole. Sono uscito anch'io da questo blog che gufa e mette in guardia sul fatto che il terreno sotto i nostri piedi si sta sgretolando (tu lo vedi il buco dell'ipocrisia?).  Matteo sta chiamando sul suo ponte di comando tutta la ciurma, appellandosi al contributo di tutti. Quando non c'è vento, dovremmo tutti remare, su questo non ci piove. Sono in grande confusione, non lo nego. Ed allora, non mi resta che lodare quella parte della magica Italia, quel leggendario vascello di prima classe che andrà sempre a gonfie vele. Sentite che cannonate, le ho prese da un articolo dell'ANSA. Il turismo ecologico ha registrato in Italia il record storico per giro d'affari a quota 12 miliardi di euro. Dati relativi al 2013, signori. Negli anni della crisi le presenze turistiche si sono moltiplicate nei parchi, nelle oasi e nelle aree verdi. Chi ha saputo proteggere il proprio paesaggio rurale come la Toscana, meta preferita, ne uscirà ancora più forte. Cresce la voglia di attività sportive all'aria aperta quali mountain bike, birdwatching, equitazione, trekking, climbing (+47%). Nel nostro Belpaese salgono verso il sublime l'enogastronomia (15%) e la riscoperta delle tradizioni (10%). Dio mangia italiano, perdonatemi l'espressione. Lassù ordinano italiano. L'Italia detiene la leadership europea nella produzione biologica e nell'offerta di prodotti tipici con 262 denominazioni di origine riconosciute a livello comunitario. Una succulenta torta quella dell'eco turismo su cui mettono le mani ogni anno sempre più turisti stranieri. I nostri agriturismi vengono publicizzati nel mondo come paradisi di emozioni culinarie, vere e proprie università dove puoi intraprendere un corso di cucina, visitare orti e conoscere i prodotti enogastronomici, oltre alle fattorie didattiche per i più piccoli e le osservazioni naturalistiche.
Su questo Matteo, ha ragione. L'Italia è molto più grande delle nostre paure, è molto più bella delle nostre preoccupazioni. Riprendiamoci l'Italia, torniamo a farla splendere. Che possa diventare un'oasi di verde e di pace, un polmone verde per tutto il pianeta, dove la natura regna sovrana. Non lasciamoci contagiare dai violini che accompagnano il Titanic, dai corvi disfattisti che hanno crocifisso l'Italia a priori. Diamogli una giovane speranza. Non facciamola morire. Lottiamo. Amen. 

Un agriturismo nelle colline di Castelfalfi, Toscana.

sabato 1 marzo 2014

Io condottiero berbero in esplorazione a Gran Canaria. La mia felicità in un' isola.


Se mi fermo e penso, penso che in questa vita le vacanze più saporite e spensierate le ho fatte su delle isole. Un decina di estati in Corsica durante l'infanzia, poi Malta, Creta, Palma di Maiorca, però, però, con una precisazione; le isole vulcaniche, hanno qualcosa ancora in più. Mi porto Santorini nel cuore. Adesso posso aggiungervi Gran Canaria. Entrambe isole vulcaniche, hanno quella sabbia dorata con striature nere che sembra darti una sferzata come il pepe. Anche i posti, come le persone ci trasmettono o ci tolgono energie. Gran Canaria, sembra ancora emanare quei primordiali sconvolgimenti che la videro nascere. Quest'isola vive di estremi. Cavalcando l'isola, scivolando dal suo deserto di Maspalomas alle sue montagne, vedi dieci arcobaleni in un giorno, acquazzoni, neve, grandine, pioggia, ma sopratutto tanto tanto sole. Sole tutto l'anno. E le palme. E i cactus. Cosa aspettate a prenotare io non lo so. Ma andatevi a mangiare i cachi nel deserto. La brezza fresca ti mantiene di buon umore e solleva quei cavalloni con cui ci piaceva tanto giocare quando eravamo bambini. Ho fatto il bagno ricordandomi di rispettare l'Oceano Atlantico. E quante avventure alla scoperta delle caverne dei Guanci, indigeni aborigeni delle Canarie, popolazione nativa stimata nella imponente cifra di 30000 o 40000 persone che abitava queste isole prima della colonizzazione da parte degli spagnoli. Gli ultimi indigeni Guanci, sterminati per l'impreparazione militare e le malattie portati dai conquistadores vissero fino al 1496. Quando visiti le montagne, guardali gli anfratti, sono leggenda. Per sfuggire alle preparatissime truppe europee, si ritirarono in caverne naturali o artificiali, situate nelle parti montuose. Qui si distinse Doramas, un condottiero berbero, guerriero delle Isole Canarie, uno dei capi della resistenza degli indigeni dell'isola di Gran Canaria. Egli, un gigante della resistenza, si oppose strenuamente all'invasione rifugiandosi su quel monte che oggi, in sua memoria, si chiama Monte Doramas. Ed allora sono fiero anch'io di come l'ho esplorata. Non mi sono limitato a depositarmi sulla spiaggia come una balena. Ho vissuto, ho lottato. Ho cercato di sintetizzare tutto questo, nel video che ho sopra incorporato. Lottate e viaggiate per rimanere vivi. Riempitevi di emozioni. Nasciamo come sterili bottiglie vuote, per riempirsi di buon vino bisogna che mettiamo in viaggio la nostra anima. 

lunedì 1 aprile 2013

My tribute to beauty of England.


This is the reason why I fell in love with England. I took these pictures in Dorset, Devon, Cornwall, Somerset, during the fantastic summer of 2012.

lunedì 9 aprile 2012

Oltre confine, la New Forest.

Ho fotografato questo bellissimo pony nella New Forest (UK)
"Oltre confine, che cosa c'é, ci sará un posto fatto apposta per me, oltre il confine la libertá" canta Antonello Venditti in "Oltre il confine". Giá, la New Forest si trova oltre confine, in Gran Bretagna. Qui di seguito una selezione delle fotografie scattate. Questa immensa antica foresta é la piú grande estensione di boschi, prati e brughiere dopo le Highlands scozzesi. Vedrete, vedrete, che la sua caratteristica sono piccoli cavallini, ponies, che scorazzano finalmente liberi. Una avventura. Altra cosa, Lyndhurst, caratteristica cittadina,  merita una passeggiata.  Nominata foresta reale venne difesa nei secoli dei secoli da regole severissime allo scopo di mantenerla una intatta riserva di caccia per il sovrano. Un tribunale apposito (Verderers Court) é responsabile della tutela e della manutenzione della foresta. Una esperienza da ripetersi in Italia, dove i tribunali sono poco ancorati alla tutela della natura e del territorio.
New Forest (UK)

New Forest (UK)

New Forest (UK

New Forest (UK)

In esplorazione oltre confine.


Un pony un po' piú irriquieto degli altri. Nobile portamento.



I ponies pascolano nella New Forest (UK)

Verso il tramonto i ponies si raggruppano in pacifici branchi.

Gli occhi di un pony.

Knightwood Oak, quercia che si ritiene abbia piú di 400 anni a Lyndhurst.

venerdì 30 marzo 2012

In esplorazione.

Ritratto in esplorazione (New Forest; UK)
Pubblico, e consegno quindi in pasto a Google, queste due foto in alta risoluzione che mi ritraggono pochi giorni or sono in esplorazione nella New Forest, la piú grande estensione di boschi, prati e brughiere della Gran Bretagna dopo le Highland scozzesi. Sono di ritorno anche da Stonehenge. Domani affronto la Norfolk Coast Path. Son partito in esplorazione, me ne sono andato "Ciao", il mio tributo al grande compianto Lucio Dalla. Il computer é solo un mero strumento di condivisione, la vita é l'esplorazione.

In esplorazione (New Forest, UK)

martedì 15 novembre 2011

Un adolescente di terza età in giro per il mondo in moto Guzzi con il Toporso.


Si chiama Claudio Giovenzana, uno psicologo, fotografo e videomaker di professione. Ama definirsi un “adolescente di terza età” per vari motivi, uno forse è la sindrome di Peter Pan, incurabile anche se ha 33 anni, un’altro è perchè sta viaggiando in moto da 3 anni e 50.000 km con il suo compagno di avventura, un orsacchiotto, il Toporso. La strada lo porta da tante parti, conoscendo gente, fotografando, facendo video e scrivendo taccuini. A lui piacciono le storie delle persone, le leggende, la ricerca della felicità. A lui piace il profumo dell'avventura, la vita on the road, i grandi scrittori di viaggio. Il suo sito internet http://www.longwalk.it/

lunedì 14 novembre 2011

Correndo sulla storia della roman road a Cambridge ho incontrato chi protegge le farfalle.

La strada romana che da Cambridge (Wandlebury Country Park) si dirige verso Horseheath.
Qui a Cambridge insolitamente il tempo è molto mite, quindi ieri pomeriggio ne ho approfittato per andare a studiare inglese sotto al sole al Magog Down, una grande parco dove gli inglesi amano liberare i loro cani, a dir poco festanti dal poter disporre di così tanti acri d'erba. Ad un tiro di schioppo il bellissimo Wandlebury Country Park dove invece solitamente vado a correre. La scoperta più entusiasmante però è stata quando ho scoperto un link con la storia romana; esiste un gate (vedi foto sotto) tra il parco ed una antica strada romana di 2000 anni or sono! Inutile dire che lo storico che vi scrive oggi era di gran carriera a correre lungo questa strada.


Gate tra il Wandlebury Country Park e la strada romana.

Il destino ha voluto che dopo aver percorso correndo un buon tratto della roman road sia stato avvicinato da una signora gentilissima che in seguito si è rivelata proprio la referente dell'associazione Friends of the Roman Road and Fleam Dyke; la signora, che chiamerò la protettrice delle farfalle, smentendo qualsiasi luogo comune che vede gli inglesi riservati ed introversi, non solo si è prodigata nel darmi del materiale informativo sui luoghi che stavo scoprendo ma si è anche offerta di accompagnarmi fino a casa in macchina visto che stava diventando buio. Camminando per chilometri lungo la roman road si può realizzare l'ottimo stato di conservazione della campagna inglese. Qua e là qualche accogliente fattoria, ma nessuna costruzione o colata di cemento fuori luogo. La vista può rilassarsi in un territorio scarsamente antropizzato. Qui di seguito altre foto che ho scattato.

Una signora ed il suo cane sulla roman road.
Ciò che mi ha veramente colpito dell'Inghilterra è l'intensa attività dei volontari; in questo caso gli amici della strada romana si adoperano per conservare e valorizzare la flora e la fauna, rimuovendo le piante infestanti, ripristinando le distese di fiori che avevano reso famosa quest'area, prodigandosi al mantenimento dei vecchi faggi e delle siepi ed istallando bacheche informative come quella che riporto nella fotografia sotto. I volontari (The Friends) catalogano inoltre le farfalle e non c'è mattina fredda che tenga, visto che l'entusiasmo come sempre è ciò che scalda il cuore. Ho sempre gioito nel vedere una bellissima farfalla, non mi era mai venuto in mente che anche loro avessero bisogno di essere protette.

Tavole informative sulla roman road installate grazie al Friends of the Roman Road and Fleam Dyke

Sulla roman road si incontrano nature lovers, corridori e ciclisti.

Gli alberi che si protendono sulla roman road sono popolati da tantissimi scoiattoli che con i loro rumori accompagneranno la vostra passeggiata.
Dai campi che affiancano la roman road si alza il canto strozzato di decine e decine di fagiani rumorosi. Nella foto eccone uno colto nell'atto lentissimo e goffo di fuggire.

mercoledì 19 ottobre 2011

Foto in esplorazione.


Ho scovato questa foto di Carsten Peter sfogliando il National Geographic, rivista impedibile per chi come me si sente in esplorazione. Questa foto, che riprende il Kanangra Main Canyon in Australia, può proprio rappresentare quello stato d'animo che le persone tendono a soffocare per una vita plastificata priva di emozioni. Invece essere lì, condividere quel momento con le persone che ami, è la vita.

sabato 19 marzo 2011

Andrew Skurka a 29 anni è tra i trekker più veloci del pianeta: "Adventurer of the Year"

Andrew Skurka, Arctic National Wildlife Refuge, Brooks Range; August 2010
Andrew Skurka non è un ragazzo qualsiasi; 29 anni, istruzione di alto livello alla Duke University stava per rischiare di diventare uno dei tanti manager in un qualche triste ufficio di Wall Street quando, prendendo a morsi gli schemi classici della propria famiglia e rompendo i rapporti  (ricordate la storia di Chris McCandless?), ha scelto di abbracciare la natura, gli interminabili spazi incontaminati che gli procurano un senso irrefrenabile di felicità e libertà. Proprio la sua amata Madre Terra paradossalmente gli ha dato un vero lavoro e ora se lo contendono gli sponsor.

Andrew Skurka, Arctic National Wildlife Refuge, Brooks Range; August 2010
Potete constatare quanto detto visitando il suo sito internet in cui sono elencate tutte le sue avventure. In soli 176 giorni nel 2010 ha girato l'Alaska e varie catene montuose  dello Yukon, un viaggio di 7.530 chilometri a piedi, sugli sci, in zattera, attraversando otto parchi nazionali. Ciò vuol dire che conosce quel territorio meglio del politico che lo deve amministrare! In questo ultimo viaggio ha trascorso anche 24 giorni senza incontrare un essere umano, affrontando temperature fino a meno 33 gradi. Ha fatto l'autostop per andarsi a rifornire di cibo nei villaggi. Giusto per rendere l'idea, al mattino doveva infilare i piedi negli scarponi ghiacciati, perchè in simili situazioni si congela proprio tutto. I piedi quasi sempre inzuppati perchè, come tutti i trekker sanno, quando il piede sprofonda nella neve per troppo tempo, non c'è attrezzatura che tenga.

Andrew Skurka, Arctic National Wildlife Refuge, Brooks Range; August 2010
In simili viaggi, si conosce un rigido regime alimentare (pasta disidratata, carne secca, come premio  M&M's). Puoi essere privato del sonno e conoscere momenti di completo sconforto. Andrew Skurka non è però un trekker improvvisato. Negli ultimi nove anni ha percorso una cosa come 40.200 chilometri (ha attraversato il West Americano nel 2007 e percorso la Route Sea-to-Sea nel 2009, il sentiero degli Appalanchi) e a 29 anni è ritenuto uno tra i trekker più veloci ed esperti al mondo; si è distinto infatti per una straordinaria resistenza fisica dovuta ad una intensa preparazione.

Andrew Skurka, Grand Canyon National Park; March 2009
Andrew è conosciuto per la sua velocità. Va veloce il ragazzo. Movimenti veloci e leggeri che gli permettono di percorrere decine di chilometri in un giorno, raggiungendo delle medie da superoe. Il ragazzo si è visto riconoscere l'epiteto di "Adventurer of the Year" dal National Geographic che gli ha dedicato un ampio reportage ed hanno parlato di lui tra gli altri, il New York Times, The Wall Street Journal, Fox News Channel, National Public Radio, National Geographic Adventure, Men's Journal. Non è tutto; è anche uno scrittore e per il 2011 offre la possibilità di partecipare a delle escursioni che lo vedono come guida  nei suoi paesaggi preferiti: High Sierra, the Greater Yellowstone Ecosystem, the Colorado Plateau, Colorado Rockies, and Alaska.

Andrew Skurka, Kenai Fjords National Park; June 2009

Andrew Skurka, Chugach Mountains; July 2009

 National Geographic gli ha dedicato un ampio reportage

Se le foto riportate incantano per la loro bellezza, guardate la pianta bluastra dei piedi di Andrew Skurka  per intuire la fatica.
La canzone preferita da Andrew Skurka: "Dancing Queen" degli Abba

Andrew Skurka in azione in un video.

mercoledì 14 maggio 2008

Grido di Pietra tutto italiano a Cerro Torre

Suggestiva immagine di un arrampicatore

Il Cerro Torre è una delle più spettacolari cime del Campo de Hielo Sur, è situato in una regione contesa fra Argentina e Cile, a ovest del Fitz Roy (o Cerro Chalten). La vetta del Cerro Torre è considerata fra le più inaccessibili del mondo perché, qualunque via si scelga, bisogna affrontare almeno 800 metri di parete granitica, per arrivare ad una cima perennemente ricoperta da un "fungo" di ghiaccio. Inoltre le condizione climatiche e meteorologiche della regione sono particolarmente sfavorevoli.
Video montato da Sciretti Alberto, con immagini tratte dal Film "Grido di Pietra" del 1991.
La data della prima ascensione del Cerro Torre è oggetto di discussioni e polemiche. Nel 1959 l'alpinista trentino Cesare Maestri e il ghiacciatore austriaco Toni Egger tentano la scalata con il supporto di Cesarino Fava. Dopo una settimana Maestri fu ritrovato in stato confusionale e raccontò a Cesarino Fava di aver raggiunto la vetta il 31 gennaio insiema ad Egger, che era poi caduto morendo durante la discesa portando con sé la macchina fotografica e quindi le prove del successo.

Cesare Maestri in una foto del 1954 (Archivio Corriere della Sera)
Toni Egger, che perse la vita dopo aver raggiunto la vetta del Torre Cerro assieme a Cesare Maestri.
Così racconterà quegli attimi Cesare Maestri: "Per scendere adottiamo il sistema che si usa nei salvataggi: uno si lega attorno alla corda doppia e l'altro lo cala di peso a carrucola su due moschettoni frenanti. Dobbiamo fare così altrimenti le corde verrebbero portate via dalla forza del vento. Arriviamo così verso le 19 del 2 febbraio a circa 150 metri dalle corde fisse. Decidiamo di passare la notte sulla cima di un piccolo nevaio pensile. Pianto tre chiodi e cominciamo a fare il buco per passare la notte. Ma a Toni questo posto non sembra tanto sicuro, vuole vedere a destra più in basso se c'è una sistemazione migliore fuori dal tiro delle valanghe. Mentre lo calo ed egli è arrivato a una quindicina di metri da me, un rumore assordante mi fa alzare il capo: una enorme massa di neve e ghiaccio si tacca dalla cima. Urlo: «Attento, Toni» e mi appiattisco contro la parete. Un colpo sordo e la corda si tende, Toni è investito e coperto dalla valanga. Un pezzo di ghiaccio mi colpisce duramente alla testa. La tensione della corda diventa insopportabile, poi si rilascia. La valanga continua a cadere con sempre minore forza finché solo pochi pezzi di ghiaccio passano fischiando. Il piccolo nevaio è stato letteralmente spazzato. Chiamo Toni. Nessuno risponde. Non rimane nessuna speranza. La valanga ha portato con sè tutto l'occorrente per bivaccare. Mi rannicchio nel mio buco di neve e aspetto che passi questa notte tremenda. Sapevo fin dall'inizio che sarebbe dovuta finire così e che domani sarebbe stata la volta mia. All'alba del 3 febbraio esco dal mio buco come un condannato a morte. Comincio a scendere a corda doppia con lo spezzone che mi rimane, dalla cima continuano a cadere valanghe. Dopo varie ore, arrivo finalmente alle corde fisse. La parete è un inferno. A pochi metri dal cono di deiezione mi scivolano i piedi e non riesco più a tenermi con le mani; volo così per circa una diecina di metri, la neve caduta durante la notte mi accoglie materna ed attutisce il colpo. Lo spirito di conservazione mi porta attraverso il tormentato ghiacciaio a circa 300 metri dal campo tre dove mi trova Cesarino per caso, molte ore dopo, in uno stato di semi-incoscienza, mentre balbettavo: «Toni è caduto».Su questa montagna dopo circa duecento ore Toni ha perso la vita, ha pagato a caro prezzo il suo sogno, ma ora dorme tranquillo. Non lo disturberà mai più il freddo o l'urlo del vento. Dorme avvinto nei colori delle bandiere chehanno sventolato sulla cima. Il celeste del cielo, il bianco della neve, il verde dei boschi e il rosso del calore. Lui ora dorme, ha lasciato a noi il doloroso racconto e un vuoto incolmabile nell'alpinismo mondiale e nei nostri cuori.
La vicenda dà vita a numerose polemiche, altri tentativi falliscono, e Maestri torna a sfidare il Torre nel 1970. Questa volta la cordata, composta oltre che da Maestri da Ezio Alimonta, Daniele Angeli, Claudio Baldessarri, Carlo Claus e Pietro Vidi, affronta la parete Sud-Est portando con sé un martello compressore. Scendendo Maestri, in un gesto di sfida, spacca i chiodi piantati e lascia appeso il compressore all'ultimo, cento metri sotto la cima. La Via del Compressore (o Via Maestri) sarà ripercorsa nel 1979 dall'americano Jim Bridwell che scopre che i chiodi lasciati dai suoi predecessori s'interrompono a 30 metri dalla cima. Ancora una volta l'ascensione di Maestri viene messa in dubbio. Nel 2005 Ermanno Salvaterra, uno dei maggiori conoscitori del Torre e il primo a scalarlo d' inverno (nel luglio 1985), fino ad allora sostenitore di Maestri decide di ripercorrere la via del '59 e riesce a raggiungere la cima. Non trova tracce di un precedente passaggio e scopre che la via segue un tragitto diverso da quello che per anni aveva descritto Maestri. La prima ascensione indiscussa del Cerro Torre è quella compiuta ad opera di un gruppo di alpinisti lecchesi (Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri) nel 1974. Il tentativo di scalare il Cerro Torre da parte di due famosi alpinisti è il soggetto del film Grido di pietra (Cerro Torre: Schrei aus Stein), girato nel 1991 dal celebre regista tedesco Werner Herzog e interpretato da Vittorio Mezzogiorno, Mathilda May e Brad Dourif.
L'ultimo attacco italiano a Cerro Torre, da molti ritenuta la più difficile parete del mondo, è avvenuto con successo il 13 novembre 2004, grazie a Giacomo Rossetti (31 anni), Alessandro Beltrami (23 anni)ed Ermanno Salvaterra (50 anni). Per il racconto dell'impresa vedi lo speciale del Corriere della Sera
Le nostre porta-ledge (tendine da parete) nel posto di bivacco chiamato Dalai Lama. Questo nome lo detti a questo posto già 3 anni fa nel corso del mio primo tentativo alla Est del Torre per l’incredibilità del posto dovuto alle incredibili dimensioni ed impressionanti forme di questa grande lama in sospeso sulla parte ed avendo conosciuto poco prima quella Grande persona del Dalai Lama mi venne in mente lui raggiungendo questo posto. (foto e testi di Ermanno Salvaterra)
Alessandro Beltrami nella tormenta lavora sistemando la ledge (foto e testi di Ermanno Salvaterra)
Incredibile video di Ermanno Salvaterra, protagonista della prima salita alla parete est sul Cerro Torre nel 2004
I shot this for my wife, who was 5 months pregnant with my son at the time, on the summit of Cerro Torre after completing the first ascent of the complete SE Ridge with my Slovenian friend and climbing partner Marko Prezelj and another climber. The rock mountain visible as I do a circle is Fitz Roy, the highest mountain in the area. I am a professional speaker and have a website: www.stephenkoch.com

Ermanno Salvaterra sulla Ferrata Castiglioni. Già in tenera eta', si trova a trascorrere l'estate in montagna a 2500 metri di quota. All'eta' di 11 anni farà in cordata la prima vera scalata alle Torri d'Agola.
Sciretti Alberto, da bambino in montagna.

Sciretti Alberto in montagna, in una immagine del Gennaio 2006.

domenica 11 maggio 2008

Ascesa al buso dei Briganti sul Monte Cinto



"eunt homines admirari alta montium et ingentes fluctus maris et latissimos lapsus fluminum et oceani ambitus et giros siderum, et relinquunt se ipsos" (‘E gli uomini se ne vanno ad ammirare le alte cime delle montagne, i flutti smisurati del mare, i corsi lunghissimi dei fiumi, l’immensità dell’oceano e il moto degli astri, e abbandonano se stessi’). Confessiones di Sant'Agostino

Ci fu un tempo in cui uno, prima d’avventurarvisi per le strade, faceva testamento e poi si segnava tre volte. Quel gruppo di sassi, chiamato Buso dei Briganti, a tre quarti del Monte Cinto sui Colli Euganei, era un covo di ladri e di briganti. Io sono stato lassù, a mio rischio e pericolo. I briganti per fortuna erano impegnati altrove perchè son riuscito a ritornare indietro sano e salvo.
I briganti erano tutti uomini prestanti ed atletici, con alti cappelli conici, sciarpe, uose di cuoio rilegate alle gambe con fettuccie rosse, fucile pugnale e fiaschetta ad armacollo. Il fenomeno del brigantaggio fu di portata nazionale. Per quanto riguarda queste zone fra i briganti e i gendarmi s’iniziò una lotta terribile, che finì con lo sterminio dei primi il 15 marzo 1856: 100 impiccati sulla piazza d’Este! Questa l’ultima retata. Per ulteriori informazioni clicca qui
I Briganti lesti come caprioli, giù per quel canalone si precipitavano al piano, per calare sui malcapitati viandanti; e non solo di notte, ma anche in pieno giorno.
Frequentato fin dagli albori della storia umana e punto di osservazione sulla pianura, da cui si potevano controllare le vie di percorrenza obbligate, questa singolare formazione geologica è stata, nel corso degli anni, torre di guardia, forte, polveriera clandestina e nascondiglio di briganti. Suggestiva è l’apertura nella trachite che sosteneva un pesante portone a chiusura dell’accesso al pianoro esterno della formazione rocciosa, creando quell’alone di leggenda che l’accompagna ancora.


Panoramica del Buso dei Biganti. Si intuisce come i briganti avessero scelto questa sporgenza rocciosa, potendo così controllare la pianura sottostante e scorgere possibili viandanti che la attraversavano. Una volta avvistati si precipitavano giù per fare quello di cui erano capaci.

Panoramica dal Buso dei Briganti, uno dei più bei punti d'osservazione della pianura Veneta.
Monte Lozzo dal buso dei briganti.

Monte Lozzo visto dal "Buso dei Briganti"
Particolare dei campi adiacenti Lozzo Atesino, visti dal buso dei briganti.
Al buso dei briganti sono rimasti esclusivamente ramarri e lucertole, che lo popolano felicemente.
Gli speroni rocciosi di trachite del buso dei briganti.
Lo sperone roccioso del buso dei briganti visto dal basso.


Una cava dismessa di riolite colonnare sul Monte Cinto.
Sciretti Alberto alla cava di Riolite sul Monte Cinto.


Sommità del Monte Cinto dove si trovava un castello medioevale. I resti che si possono ancora vedere sono ben pochi, ma il luogo è affascinante con un verde lussureggiante.

Sulla sommità del monte Cinto, un po' nascosta si trova una grotta che ho visitato (con un po' di coraggio), priva di pippistrelli.
Interno della grotta, che probabilmente faceva parte del Castello medioevale.

Strategicamente importante per il ruolo di controllo sulla pianura circostante e sul settore sud occidentale dei Colli Euganei, il Monte Cinto era già frequentato dall’uomo in epoca preistorica (come testimoniano i reperti dell’Età del Bronzo rinvenuti). Nel Medioevo fu sede di un castello di cui si hanno notizie a partire dall’anno Mille. Il nucleo fortificato, raso al suolo una prima volta nel 1242, fu ricostruito e definitivamente abbandonato nel XV sec. Dopo la conquista della zona da parte della Repubblica di Venezia. Le rovine, che ancora oggi testimoniano un’antica potenza, occupano tutta la cima del colle; alcuni tratti sono ancora visibili.

Potatura legnosa della vite sul Monte Cinto. La potatura dipende da tanti fattori (livello di fertilità del terreno, disponibilità di acqua,intensità di radiazione solare, distanze di impianto, tipo di produzione)

Particolare. La vite a Maggio. Lungo il sentiero del Monte Cinto è pieno di filari di vite.
IL SENTIERO DEL MONTE CINTO per arrivare alla Busa dei Briganti

Partenza: Cento metri dal piazzale del Museo Geopaleontologico di Cava Bomba. Nel caso che il museo sia chiuso il sentiero può essere imboccato da via Chiesa dietro la parrocchiale di Cinto parcheggiando nello spazio di fianco al ristorante “Cinzia”.

L'impianto di Cava Bomba era una fornace per la produzione di calce viva, rifornita dal pregiato calcare della cava sul monte Cinto a ridosso del grande tino di cottura. Il complesso rappresenta una bella ed affascinante realtà di archeologia industriale ed uno dei più imponenti esempi di fornace dei Colli Euganei, in attività fino agli anni '70, documento di un passato recente e delle sue implicazioni socio-economiche. Attualmente vi si trova il Museo Geo-paleontologico.

La sommità del forno è sul piano di cava, al quale è collegata con un pontile dove scorrevano i carrelli che trasportavano la roccia calcarea e, in alternanza, carbone coke per alimentare il forno.
Sciretti Alberto su un carrello a Cava Bomba.
Modelli di dinosauro in scala naturale a Cava Bomba
Sciretti Alberto sul sentiero del Monte Cinto

Lunghezza del percorso: 5,3 Km comprese deviazioni Dislivello complessivo: 267 metri
Grado di difficoltà: medio.
Stagione più favorevole: primavera
Tempo medio di percorrenza: 3 - 4 ore

Apicoltura sui colli Euganei.

I principali tipi di miele prodotti nella zona dei Colli Euganei, zona particolarmente vocata per le particolarità botaniche, sono quello di Acacia, il Millefiori, il Castagno e il miele di Melata. Circa il 99% del miele prodotto sui Colli Euganei viene venduto in barattolo, e solo una piccolissima parte è destinato a impieghi diversi, soprattutto come ingrediente di medicinali (sciroppi, creme) e per la produzione di liquori.
Quando le api scompariranno dalla faccia della terra, all'umanità resteranno solo quattro anni di vita: niente più api, niente più impollinazione, niente più piante, niente più animali e niente più uomini. La frase, dalla paternità incerta, viene attribuita ad Einstein. E' da parecchio tempo in circolazione ed ha previsto con decenni d'anticipo la moria che sta azzerando la popolazione delle api, anche nel territorio euganeo. A lanciare l'allarme sono gli apicoltori e i produttori di miele, visto che gli insetti in questione stanno morendo con un ritmo impressionante e si parla di 7 arnie su 10 svuotate dalla strage silenziosa. La colpa viene data, anche se sull'argomento si sta discutendo molto a livello mondiale, ad alcuni pesticidi di nuova generazione, che colpiscono indistintamente gli insetti nocivi e pure le api.


Sciretti Alberto sul Monte Cinto. Dove sono finite le api?

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