domenica 19 settembre 2010

Kibera, baraccopoli di Nairobi, 1 milione di persone, l'85% malate di AIDS

Il testo che segue è tratto dal libro "Africa on the road" del giovanissimo esperto Vagabonding Fabio Miggiano, ideatore e autore del progetto di viaggio, ricerca e sensibilizzazione nel sud del mondo, di cui è testimonianza il portale web  http://www.africaontheroad.it/

Il sole in Africa sorge come un palla di fuoco lanciata in alto nel cielo. In un istante il buio della notte scompare e tutto si riempie di una luminosità accecante. È sempre emozionante osservare come la notte se ne vada in pochi minuti e le stradine di Riruta si risveglino. Un attimo prima la Kabira road è deserta e ancora coperta dal cielo stellato e da un silenzio irreale. Subito dopo appare il sole, la gente sbuca da ogni angolo del quartiere e in un battito di ciglia le strade si ripopolano: bimbi in divisa vanno a scuola, gente in giacca e cravatta va a lavorare negli uffici del centro, donne con taniche gialle corrono al pozzo a prende l’acqua o dietro un banchetto a mettere in fila pomodori, banane e manghi, giovani spingono carretti già carichi di merce da trasportare dall’altra parte del compound. A volte mi chiedo dove fossero tutti fino a qualche minuti prima. Dopo una colazione veloce lascio Kivuli. Qualche chilometro a piedi fino alla stazione dei bus. Strada di fango rosso, bancarelle piene di frutta, pesce secco e vestiti, gente che svolge le attività più disparate per tirare avanti, la musica che già dalle prime ore della giornata pervade le strade. Prendo un matatu diretto verso il centro. I matatu sono minibus che fungono da taxi, colmi all’inverosimile, con disegni accattivanti sulla carrozzeria e musica reggae o rap a tutto volume. Ci si ritrova schiacciati tra una ventina di persone, sballottati dalle buche profonde della strada che gli autisti percorrono a folle velocità.
Kibera, la baraccopoli.
 Scendo ad Adam’s , poche centinaia di metri da Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi e una delle più estese al mondo. A Kibera vivono circa 800 mila persone (ma molti dicono che si sia superato il milione) in baracche di fango e lamiera. Ci sono fogne a cielo aperto e nessun servizio sanitario e sociale. È una distesa impressionante di lamiere arrugginite, fino ai grattacieli del centro che s’intravedono tra la foschia e lo smog di questa città infinita. Nella bidonville il tasso di AIDS è elevatissimo, si pensa sia intorno all’85%, ed entrare nello slum di Kibera è come entrare in un tunnel senza uscita. Solo più tardi riuscirò a capire che l’uscita esiste.



Una delle prime persone che ho visto è Mama Esther, una donna sui 35/40 anni, anche se probabilmente la malattia la invecchia. Per arrivare alla sua baracca si cammina lungo una delle strade più larghe di Kibera e poi si svolta sulla destra. Non ci sono vie, non ci sono nomi, non ci sono numeri civici, non c'è nulla di nulla. Ad un certo punto ritrovo una serie di cortiletti uniti da piccoli viali, ed in mezzo le solite pareti di fango e lamiera delle case. Una tenda bianca nasconde l'interno buio della piccola stanza in cui Esther trascorre tutta la giornata. Entriamo, io ed Henry Mutuku, un ragazzo poco, più che ventenne che ho conosciuto questa mattina nei pressi della mia pensione. Lui sarà, la mia guida a Kibera ed è la prima volta che anche lui si spinge fin qua. Esther è li, e sussurra qualcosa da dietro la tenda a righe che ripara il letto. Nella camera ci sono: una vecchia poltroncina, una piccola lampada a cherosene e un fornelletto, qualche stoviglia buttata in una bacinella sotto il letto, un mucchio di lenzuola e alcuni vestiti di fianco al letto. La parete alle mie spalle è ricoperta da sacchi di plastica neri, due taniche vuote sono dietro Ia porta e una piccola finestra sula parete di fronte fa passare la poca luce che illumina l'ambiente. Il pavimento è di terra rossa e una borsa completamente impolverata è appesa a un muro. Ogni cosa sembra essere lì da tempo. La polvere ha ricoperto quasi tutto. In una caraffa sul comodino c'è un po' di porridge. Lo scaldiamo. Appena acceso, il fornelletto a cherosene riempie la stanza di un odore insopportabile, petrolio bruciato. L'aria si fa irrespirabile e i vapori della fiamma coprono tutti gli altri odori. Apro la porta per far correre un po' d'aria. Henry mi dice che vuole andare a riempire una tanica d'acqua. Avverte Esther e io resto a farle compagnia. Ha la voce esile, la vedo solo dal petto in su: il resto del corpo è nascosto dalla tenda. Non vuole toglierla perché dice che dietro è sporco. Rimane sdraiata, lo sguardo fisso nel vuoto, mi punta gli occhi solo un paio di volte per poi distoglierli immediatamente quando si accorge che anche io la guardo. I suoi occhi sono davvero tristi. Ha occhiaie profonde , un polso magrissimo e la pelle ruvida e secca. Mi sento un po’ a disagio. Provo ad usare le poche parole in swahili che conosco e cerco di percepire quello che mi vuole dire. Mi chiede come mi chiamo, mi dice che viene da Kakamega. Dopo qualche tentativo di parlare d’altro, rimaniamo entrambi in silenzio. Io la osservo. Lei, piano piano, chiude gli occhi. Mi guardo attorno. Mi stupisce uno dei calendari che c’è sul muro. È del 1999. C’è una foto di due giraffe con il Kilimnjaro sullo sfondo. Pensare che l’Africa sia anche quello, mentre mi trovo a Kibera, mi travolge. La bellezza e l’orrore dell’Africa stanno in quella baracca, in una foto e in una donna malata di AIDS sdraiata sul letto. Penso che abbia tenuto il calendario per sognare ogni tanto il posto da cui lei viene: Kakamega, la savana, gli animali, il suo villaggio.


Rientra Henry con la tanica piena d’acqua. Il porridge è ormai caldo, lo verso in una tazza mentre Henry lava i piatti. Le passo la tazza, lei ne prende un sorso e la posa velocemente sul comodino. Chiude gli occhi e si immobilizza. Rimango in silenzio. Quando Henry finisce di lavare i piatti decidiamo di andare via. Prima porgiamo una preghiera in swahili. Capisco solo quando incominciano a recitare il Padre Nostro e li seguo in italiano. Un Padre Nostro particolare, come sempre capita da queste parti. Mentre sono lì, penso a come possa esistere un Dio che permetta tutto ciò. Lei mi stringe la mano e sento la forza che solo la preghiera riesce ancora a darle, lezione che ricevo ogni giorno. Poi la saluto, le tendo la mano e la ringrazio, promettendole che tornerò. Henry mi spiega che da tempo cercano di convincerla a tornare al suo villaggio per due motivi. Il primo, perché avrebbe qualcuno vicino a lei (qui infatti non ha neanche un parente); e il secondo, perché i costi di sepoltura sarebbero nettamente inferiori. Perché ormai non c’è più nulla da fare. Al villaggio però non vuole tornare, non vuole che la sua gente la veda così. In campagna, soprattutto quando uno è malato di AIDS, le gente pensa che sia vittima di uno “Jin”, uno spirito cattivo, mandato da qualcuno. Ed è una disgrazia quando uno della propria famiglia è vittima di questi spiriti. Esther quindi preferisce morire, qua, sola, nella preghiera.
Fabio Miggiano a 21 anni ha attraversato tutta l'Africa. L'avventura è stata poi inscatolata in un portale web  http://www.africaontheroad.it/
 Il sole caldo che batte sulla lamiera dei tetti trasforma queste piccole camere in fornaci. L’odore forte di fango, residui di cibo, a volte d’urina rende il respiro affannoso, ma dopo un po’ ci si abitua. Il calore che continua a bruciare è quello delle persone come Esther, gente dallo stomaco di ferro, ma con un cuore d’oro. Gente che è capace di sorridere nonostante storie terribili alle spalle e le condizioni disumane in cui vive. Gente che ringrazia per il nulla materiale che possiede e per le fatiche che è costretta a sopportare. Gente che vive l’oggi senza pensare al domani e che, nonostante tutto, continua a sperare. Gente che ascolta musica rap e mangia hamburger, ma che è ancora molto legata alle proprie tradizioni. Joseph è un ragazzo burundese di diciotto anni, fuggito dal suo paese dopo aver visto uccidere il padre da un gruppo di guerriglieri e arruolatosi in seguito nell’esercito. Dopo qualche mese di dura vita militare nell’esercito tutsi, Joseph ha deciso di rifugiarsi in Kenya. A Nairobi è riuscito a trovare uno sponsor per una scuola e sta cercando di crearsi un futuro da rifugiato, con la consapevolezza di non poter più tornare nel suo paese. Maria (mi racconta una sua amica) era una donna congolese. Scappata dal suo villaggio perché credeva di essere vittima di un sortilegio inflittole da qualcuno geloso della sua bellezza, si è nascosta a Nairobi dove è morta tre settimane fa in una squallida baracca di Kibera, dopo aver accettato di essere malata di AIDS e non vittima di una maledizione. Caroline è una donna con la pelle scura come il carbone e un fisico robusto, nascosto sotto i coloratissimi tessuti a fiori. È madre di cinque figli e deve mantenerne altri tre, orfani di suo fratello. Sopravvive lavando gli indumenti per i vicini e facendo qualche lavoretto per loro. Suo marito l’ha abbandonata qualche anno fa, dopo che lei è rimasta incinta per la quinta volta. Nonostante tutto, è una persona piena di gioia e vitalità, ed è una delle donne più impegnate della parrocchia di Riruta. Ogni domenica va all’altare durante la Messa per ringraziare il Signore della vita che le ha donato.

Moses è un giovane masai: lobo dell’orecchio forato, come tradizione vuole, occhio con taglio orientale e pelle di un nero così profondo da ci si può perdere. È venuto a lavorare qui a Nairobi come guardiano notturno. Moses è innamorato di J., una ragazza attraente del suo villaggio, di cui porta sempre in tasca una foto ingiallita. Dice che rimarrà qui ancora per due o tre mesi, giusto il tempo per comprare le quattro mucche che gli servono per poter riscattare J. dai suoi genitori.


Victor è un ex bimbo di strada. Magro. Dimostra metà degli anni che ha, capelli rossicci carenti di melanina, sintomo della scarsa alimentazione che poteva permettersi con l’elemosina e qualche piccolo furto. Ora vive in una struttura di riabilitazione. Ha smesso di fare uso di colla. Va a scuola e ha da mangiare ogni giorno. Non parla volentieri dell’anno e mezzo che ha vissuto per strada. Adesso è felice. Sta imparando a scrivere e a leggere, anche se fa più fatica dei suoi compagni di classe.


Kibera, la baraccopoli.
Maryanne è una ragazza diciannovenne di Korogocho, una delle baraccopoli più violente di Nairobi. È bellissima, ha lineamenti raffinati, tipici dell’etnia nilotica, un fisico filiforme e il portamento elegante che si addice a una principessa. Lavora in centro. Per mantenere suo figlio vende “amore” ai clienti ricchi degli hotel della città. Orami è quasi un anno. Non ha mai terminato la scuola primaria perché è rimasta incinta a 14 anni. Non le piace il lavoro che fa. Vorrebbe un giorno trovare un buon impiego per mantenere dignitosamente lei e il suo piccolo. È ancora una bambina, ma i suoi occhi dimostrano il suo difficile e doloroso passato. Il mese prossimo dovrà sostenere un colloquio per un corso di taglio e cucito in una parrocchia della zona in cui vive. Dice che fra poco la sua vita cambierà.



Lazarus è volontario presso un’associazione che si occupa di assistenza ai malati di AIDS a Kibera. Non ha un altro lavoro e dedica tutto il tempo ai suoi pazienti. Una notte di metà gennaio, un incendio ha bruciato la sua baracca. Le uniche cose che è riuscito a salvare sono state il pigiama che aveva addosso e un paio di ciabatte infradito. Ha iniziato piano piano a ricomprarsi qualche vestito grazie all’aiuto di alcuni amici, senza mai smettere il suo lavoro a Kibera.

Di fronte alle storie di queste persone, la nostra fortuna è una evidente certezza, ma spesso non ce ne rendiamo conto. Ogni sera mi addormento con un po’ di tristezza, pensando a tutte quelle vite appese a un filo, al dramma che si respira fra i più deboli, fra gli emarginati, degli emarginati, fra i poveri del Terzo Mondo. Ma nonostante tutto, riesco a superare i momenti tristi con la condivisione della sofferenza che incontro ogni giorno fra le strade di questo continente, e alla quale sto imparando a rispondere con le armi più potenti e sottili che l’uomo possieda, l’amore e il silenzio.

sabato 18 settembre 2010

Viaggiatori, non turisti, a suon di «gap-year» , «anno off» , «Year Out»


Dopo aver scritto in un post "Volere volare via: perchè voglio andare via con la scopa di una strega" ho viaggiato, con il timone verso sud-est ma ho viaggiato. Mi ritengo un essere umano veramente libero ed un giorno mi prenderò una fattoria nell'entroterra Mongolo ed allevarò cavalli. Off. Le armi più potenti e sottili che l'uomo possieda, sono l'amore e il sorriso. Turn off. Chi smette di sognare è una personalmente sostanzialmente morta nell'anima. Solo mettendo in viaggio l'anima  si evita che essa, annoiata, abbandoni il proprio corpo. Non c'è niente di più universale dei panni stesi al vento ad indicare la vita  che pulsa in una casa. Sono orgogliosamente socio CTS , perchè mi affascina il motto "Viaggiatori, non turisti" che mi fa sentire più vicino a Goethe e considero la visita al sito del National Geographic a cui mi sono abbonato ed a quello di Greenpeace una condicio sine qua non per affrontare i temi dell'esistenza. La mela è il miglior amico di un viaggiatore, ti fa sentire pulito e sano. Cosa cercano i giovani vagabonding, i globatrotter e i saccopelisti? Lasciarsi viaggiare, un hike dell'anima (Hiking, termine inglese sinonimo di trekking o di escursionismo). Un soggiorno a lesbolandia, una baraccopoli dove battere le mani in mezzo a bambini che hanno di tutto, scabbia, aids, colera ma che sono felici, Mama Africa, Ilha do Mocamique in Mozambico, un treno lentissimo della Indian Railways, la nightlife nella Belgrado maledetta, Kibera la più grande baraccopoli di Nairobi tra le più estese al mondo con 1 milione di persone con tassi di AIDS intorno al 85%, il canto del muezzin a Sarajevo, donare la propria acqua ad una pianta in difficoltà per riconoscenza, la Selva Maestra (Amazzonia), una avventura in Nuova Zelanda, Srebrenica con la puzza di tragedia che non se ne va dai balcani, il sole che in Africa sorge come una palla di fuoco lanciata in alto nel cielo, etc, etc

Il libro "Mollo tutto e parto" di Riccardo Caserini, 39 anni.

Nei paesi anglosassoni, ormai è un must: i 18 anni coincidono con un viaggio che arricchirà il patrimonio culturale e umano, esattamente come si riempie una bottiglia vuota con un buon vino. Si chiama «gap-year» o «anno off», «Year Out», «Anno sabbatico» vale a dire l'anno di pausa (itinerante) prima della scelta dell'università o dell'ingresso nel mondo del lavoro, che non è solo spiaggia, sole, e sangria; è il viaggio della maturità e dell'iniziazione, anche se a qualsiasi età venga fatto, il gap year ti insegna sempre qualcosa. 

In Italia il Cts Education propone il
pacchetto«work & travel» per
ragazzi dai 18 ai 35 anni.

Hippie trail, il viaggio via terra lungo 6000 miglia attraverso sei Paesi (Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Nepal) e tre grandi religioni che fu il rito di passaggio di tutta una generazione alla fine degli anni '60 e negli anni '70 ed il viaggio verso Capo Nord, ormai sono stati superati da viaggi dove sinceramente ci si lava un po' più spesso rispetto a quella doccia fatta in ogni nazione tipica dell'InterRail, anch'esso al tramonto.

Chi non ha dimenticato il leggendario Robinson Crusoe di Daniel Defoe ed è alla ricerca della libertà assoluta e in fuga da una vita scontata ed ordinaria, lontani dal capo che sclera, sarà anch'egli accontentato: Forbes, uno dei più celebri magazine economici americani, ha provato con l'articolo "The Best Places To Hide" a stilare, la classifica degli otto luoghi più inaccessibili del Pianeta, dove forse è ancora possibile nascondersi per il resto dei propri giorni. 1) Tristan da Cunha, un arcipelago nell'Oceano Atlantico 2) arcipelago di Socotra, nell'Oceano Indiano 3) Darien Gap, l'immensa giungla che divide la Colombia da Panama 4) laguna di San Rafael nella Patagonia cilena 5) l'entroterra della Mongolia che è quello che personalmente mi attira di più, principalmente per l'equitazione, la falconeria e sterminati paesaggi incontaminati 6) parco nazionale di Auyuittuq in Canada 7) penisola della Kamchatka, nell'estremo oriente siberiano che mi divertivo a conquistare con il Risiko 8) Papa Nuova Guinea

venerdì 17 settembre 2010

Annozero sarà in onda il 23 settembre, passate la voce.


«Cari amici - scrive Santoro - sono di nuovo costretto a chiedere il vostro aiuto. Giovedì 23 settembre alle ore 21.00 è prevista la partenza di Annozero ma la redazione è tornata al lavoro da poche ore e con grande ritardo, i contratti di Travaglio e Vauro non sono ancora stati firmati e lo spot che abbiamo preparato è fermo sul tavolo del direttore generale». «Tuttavia, se non ci sarà impedito di farlo, noi saremo comunque in onda giovedì prossimo - sottolinea il conduttore di Annozero - e con me ci saranno come sempre Marco e Vauro. Vi prego, come avete fatto con «Rai per una Notte», di far circolare tra i vostri amici e tra le persone con cui siete in contatto questo mio messaggio avvertendoli della data d'inizio del programma. Nelle prossime ore vi terrò puntualmente informati di quanto avviene»

mercoledì 15 settembre 2010

Il bagliore di uno sguardo


Proteggiamo sempre più il nostro sguardo prezioso o venduto che sia, con occhiali impenetrabili. Uno sguardo, una occhiata può essere fatale e cambiare il destino della nostra vita. Un colpo di carabina. Punto debole. Lo sguardo può essere accecante o nauseante. Mi attrae il bagliore di uno sguardo, perchè può illuminare facendo luce. Lo sguardo può leggere nell'anima di una persona. Uno squarcio nelle tenebre. Io ho la presunzione di riuscirci. Con uno sguardo nella maggior parte dei casi ho già capito chi ha venduto la propria anima e chi ancora insegue verità e virtù. Non mollo mai lo sguardo, se ne vale la pena. Quanti occhi spenti. Quanti occhi senza energia. Ma il mio habitat naturale è il bosco, la città mi indebolisce. Nel bosco io divento un guerriero della luce e vedo finalmente la meraviglia della vita, dimenticando gli occhi corrotti e corrosi dai compromessi. La mia dimensione è il bosco, dove picchio sempre forte. Un picchio. Questa è la libertà. L'antitesi di un popolo delle libertà.

Per stasera basta. Ho provato a scrivere, per una volta tutto quello che mi passava per la testa.

Ci sono giuramenti ed intese che non si possono svelare. Esse nascono nel bosco, sono indecifrabili e fanno parte di quel mistero che è la vita.

martedì 14 settembre 2010

Qual è la canzone della pubblicità della nuova Ford Fiesta 2010?



AIOUOAUIAIUUAIOIUOIAUIAOIAIOAU­AIOAIUOAIUOAIUIAOAOO! Mi piace. Basta chiedere. Qual è la canzone dello spot della nuova Ford Fiesta? Si intitola School of Languages - Rockist.

Preparatevi alla frutta e poi a pagare: 1.838,29 miliardi di euro di debito pubblico al luglio 2010


 Il 17 Settembre 2009 scrivevo in un post "Grazie ai politici italiani per il nuovo record di 1753 miliardi di euro di debito pubblico al luglio 2009. Avete schifosamente indebitato i giovani e le nuove generazioni." Il 14 Settembre 2010 scrivo in un post "Grazie ai policiti italiani per il nuovo record di 1838 miliardi di euro di debito pubblico al luglio 2010. Avete indebitato ulteriormente i giovani e le nuove generazioni.


Il debito pubblico italiano a luglio 2010 è cresciuto del 4,7% rispetto a luglio 2009. Servite la frutta perchè siamo alla frutta. Poi verrà il momento di pagare, per tutti.

domenica 12 settembre 2010

La Federazione Nazionale della Caccia ha scelto il suo manifesto più VERGOGNOSO

Manifesto tesseramento 2010 della Federazione Italiana Caccia
La Federazione Italiana della Caccia, ha scelto il suo manifesto più VERGOGNOSO. Tra innumerevoli episodi di cacciatori dal grilletto facile che si impallinano a vicenda o uccidono degli innocenti (questa estate hanno ucciso tra gli altri un parroco "in cammino" padre don Francesco Cassol di Longarone, che è stato scambiato per un cinghiale...) in un mondo dove la bestemmia e l'eco degli spari rovina il silenzio delle valli e sporca violentemente di rosso il soffice petto di tanti uccelli, la Federazione ha ideato un manifesto in cui si dice che "La caccia non ha età". Si, perchè in Italia per lavarci la coscienza mettiamo davanti i bambini, sfruttando la loro innocenza. Vomitevole.

Perchè questi cristiani ipocriti nel loro manifesto non mettono il Cantico delle Creature di San Francesco? La verità è che non c'è rimasto da cacciare quasi più niente ed infatti aumentano esponezialmente gli incidenti di caccia, perchè sparano a qualunque cosa si muova, non importa chi sia.

Giotto, affresco "La predica agli uccelli", Data 1290 - 1295, Basilica superiore di Assisi, Assisi.

Altissimu, onnipotente bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua. la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fior et herba. Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore et sostengono infrmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterranno in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato s' mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.

sabato 11 settembre 2010

Il popolo italiano cacciò Bettino Craxi, per poi nominare imperatore il suo migliore amico

Paul Ginsborg (Londra 1945 -) è uno storico inglese, tra i più noti studiosi contemporanei della storia d'Italia. Fellow del Churchill College di Cambridge, nella cui Università ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Sociali e Politiche. In Italia ha avuto incarichi di insegnamento alle Università degli Studi di Siena e Torino. Dal 1992 insegna Storia dell’Europa contemporanea nella Facoltà di Lettere di Firenze. Qui viene riportato un interessante stralcio di uno dei suoi libri più noti "L'Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato 1980-1996" (Einaudi 1998), p. 289.
Nel luglio 1976 la Corte costituzionale aveva emanato un’importante sentenza in cui si definivano le linee guida per la regolamentazione del sistema televisivo. Le trasmissioni nazionali avrebbero dovuto continuare ad essere riservate alla televisione pubblica, mentre alle emittenti private la Corte riservava trasmissioni in ambito locale, in base alla constatazione che le frequenze disponibili erano sufficienti a "consentire la libertà d’iniziativa economica privata senza pericoli di monopoli e oligopoli privati". La Corte aveva inoltre dichiarato che l’etere era una risorsa collettiva, e aveva chiesto al Parlamento di emanare in tempi brevi un’adeguata regolamentazione dell’intero settore dei mass media. Il Parlamento non potè né volle prendere nessuna iniziativa di questo tipo. Trascorsero alcuni anni in cui il mercato della televisione commerciale, libero da vincoli, restò aperto a ogni incursione e a ogni prevedibile conseguenza. Fu proprio in questo periodo che Silvio Berlusconi potè edificare il proprio impero televisivo. Egli era il più dinamico fra gli imprenditori dell’etere, il più preparato a correre sul filo della legalità, colui che sembrava disporre di maggiori risorse finanziarie. Berlusconi era intimo amico di Bettino Craxi. Entrambi milanesi, trascorrevano insieme le vacanze a Portofino e a san Moritz. Un’amicizia così stretta non poteva non influire profondamente sulla politica del governo in ambito televisivo. Il 16 ottobre 1984, due mesi dopo che Berlusconi aveva acquistato rete4 ottenendo così il quasi completo monopolio sull’ emittenza televisiva commerciale, i pretori di Torino, Roma e Pescara ordinarono che i suoi ripetitori venissero parzialmente oscurati. Le motivazioni erano semplici. La sentenza della corte costituzionale del 1976 consentiva l’esistenza di emittenti commerciali scala locale e non nazionale, e le tre reti nazionali di Berlusconi infrangevano palesemente tale dettato. Roma e il Lazio, Torino e il Piemonte, l’Abruzzo e una parte delle Marche si trovarono all’improvviso senza Canale 5, Italia 1 e rete 4. Per gli utenti fu un’esperienza sconcertante. Quel giorno i programmi delle emittenti berlusconiane prevedevano trasmissioni di grande richiamo: un cartone animato di grande successo tra i più piccoli come i Puffi, sceneggiati e film quali Dallas, Dynasty e Mezzogiorno di fuoco (tutti su canale5), l’uomo di Singapore (Italia1), New York, New York (Rete4). Tutto considerato, non era il momento più adatto per ritrovarsi di fronte a uno schermo vuoto. Abbastanza prevedibilmente, il pubblico reagì con accese rimostranze. Le reti di Berlusconi, che continuavano a trasmettere nel resto del Paese, soffiavano sul fuoco chiedendo rispetto per un nuovo diritto del cittadino,"la libertà di telecomando". Di fronte a quella crisi mediatica, la prima nella storia della Repubblica, Bettino Craxi reagì con una rapidità e una determinazione che avrebbero potuto definirsi esemplari se fossero state adottate per altre e più degna causa. Il Consiglio dei Ministri, convocato per il 20 Ottobre, emanò immediatamente un decreto legge valido 6 mesi che consentiva la ripresa delle trasmissioni commerciali su tutto il territorio nazionale. La televisione commerciale era così regredita a un hobbesiano stato di natura, lasciando a Berlusconi tutto il tempo per consolidare il suo stretto controllo del settore.

Fari allo xenon ti accecano? è la macchina del capo che ha sempre gli abbaglianti accesi



Sensazione di un SUV dietro che ti brucia la retina degli occhi ed incendia lo specchietto retrovisore con i fari allo xenon; è la macchina del capo descritta in questra traccia audio che descrive in ogni sua forma, l'accidia della società moderna. Il capo è un mostro, un titano invincibile e ai suoi piedi il popolo addormentato e spiritualmente ritardato, un sonno barbaro dove il futuro è nero elegante. L'artista è una sorta di pseudodemone, si muove in fredde sonorità e svela concetti tristemente realistici di una società plastificata.

Sotto il guanto di velluto di un umanitarismo efficacemente supportato da manipolazione genetica, impiego di sostanze psicoattive, ipnopedia e divertimenti ipertecnologici, l'umanità è finalmente riuscita a sconfiggere le malattie, l'aggressività, la guerra, l'ansia, la sofferenza, il senso di colpa, l'invidia e il dolore. Ma il prezzo di tale vittoria ha un nome: omogeneizzazione, mediocrità, divertimenti banali, affetti superficiali, gusti triviali, falso appagamento, incapacità di provare amore e desiderio.

giovedì 9 settembre 2010

Immune alla deludente sensatezza. Non aprite quella porta.


Inutile nasconderlo. L'adolescenza e la giovinezza sono il periodo della nostra vita in cui l'esperienza la si conquista a morsi. Con il passare degli anni, più ci si allontana dall'adolescenza elettrica, più bussa alla nostra porta una rischiosa "deludente sensatezza". Eppure il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura e per le nuove esperienze. Chi vuole restare vivo e non morire prima di tutto di noia e di luoghi comuni, deve misurarsi spesso la temperatura della propria vita e se necessario apportare un radicale cambiamento al proprio stile di vita.

mercoledì 8 settembre 2010

Un grande insegnante non ha eventi da consegnare alla storia.



Un grande insegnante non ha eventi da consegnare alla storia. La sua vita confluisce in altre vite. Uomini così sono la linfa che alimenta il tessuto intimo delle nostre scuole, sono i più alti sacerdoti custodi di un tempio e continueranno ad essere una fiamma che arde e una forza che darà significato alle nostre vite. (Film "Club degli imperatori")


giovedì 2 settembre 2010

Chi ha ucciso il Kilimanjaro: UN DRAMMA IRRICONOSCIBILE

Il maestoso Kilimangiaro, uno dei simboli dell'Africa Nera: una foto del 2001 a sinistra e a destra una del 2007.

Abbiamo pochissimi maledetti anni. A causa del Global Warming il maestoso Kilimanjaro è irriconoscibile. Neve e ghiacciai non colorano più la più alta catena africana (5895 metri). Dal 1912 si è perso progressivamente l’85 per cento del ghiaccio. Ghiaccio perenne. Il 26 per cento è scomparso invece solo a partire dal 2000. La montagna, che si alza sui torridi altipiani della Tanzania ed è una sorgente di frescura sta morendo. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences grazie allo studio degli scienziati dell’Ohio State University. Ma i ghiacciai sono in ritirata ovunque. Abbiamo pochissimi maledetti anni.


Of the ice cover present in 1912, 85% has disappeared and 26% of that present in 2000 is now gone.

Mai più così? Scegli.


domenica 29 agosto 2010

Senza ipocrisie, in memoria della Sig.ra Marina Badiello


Stanziali sullo sfondo e nomadi in primo piano a confronto.

Chi come me, intende promuovere i valori della cultura, della tolleranza e vede un arricchimento culturale in una società multietnica, non può esimersi dal provare ad immedesimarsi per un attimo nei panni di un marito e di una figlia che hanno perso tragicamente la persona che più amavano, per mano di alcuni rom delinquenti.
Certo non si può strumentalizzare un singolo episodio e trarne da un singolo fatto di cronaca la condanna di una intera etnia; neanche ignorare però quel dolore infinito, che merita una seria riflessione. Poteva capitare a chiunque e se fosse capitato a me credo che avrei sperimentato l'odio. Senza ipocrisie, così ho intitolato questo post.
Pochi giorni fa due nomadi pluripregiudicati hanno imboccato ad una velocità folle e contromano una stradina a Padova uccidendo una casalinga Marina Badiello, che doveva raggiungere il supermercato Famila di via Fornace Morandi, sarebbe poi tornata a casa e avrebbe preparato la cena per il marito e per la figlia Alessia.
La questione dei Rom, Zingari, Giostrai, Nomadi etc, va affrontata non cercando l'albero dove impiccarli e non accendendo cerini, come delle bestie ignoranti chiedono a gran voce, ma civilmente ed in modo dignitoso, posto che possiamo vantarci di appartenere ad una società civile che si è allontanata dalle barbarie del nazismo. Le persone che gridano al nodo scorsoio (molti si professano "leghisti", in tal senso "legati all'ignoranza"), sono pericolose perché coltivano l'odio e lo riversano ad ondate verso il diverso, qualunque esso sia, come se questo fosse la causa della loro infelicità, che invece si sostanzia nell'incapacità di amare.

Una rom sembra indicare un'altra direzione alla legalità, rappresentata dal funzionario delle forze dell'ordine.
Se il primo pensiero e la prima obiezione, è che alla guida di quell'auto assassina impazzita ci potesse essere anche un delinquente italiano (ce ne sono tanti, lo sappiamo tutti, dai finanzieri furbetti nell'epoca del "Berlusconismo" ai figli di papà che con il macchinone compiono le stragi del sabato sera), il secondo pensiero è che oggettivamente queste etnie si comportano ancora come i predoni nel deserto. Arrivano, si accampano e incominciano a predare, perché incapaci nel loro nomadismo di trovare altre fonti di sostentamento. Una popolazione nomade vive come un parassita, sempre e solo a spese della comunità stanziale, perché il suo stile di vita non le permette di raccogliere reddito in nessun altro modo. Le macchine, gli ori ed i valori che sono nelle nostre case sono nella maggior parte dei casi il loro sostentamento; il loro bottino.

La Mini Cooper nella foto, come tante altre macchine a grossa cilindrata, sono frutto del loro lavoro. Quale? Purtroppo è da tanti anni che non si occupano più del riciclo della carta o del mestiere degli arrotini. La segregazione li spinge sulla inesorabile strada della delinquenza.
Nomadi e stanziali sono stati per millenni due universi complementari, diventando sempre più conflittuali con l’espandersi dell’agricoltura e il diffondersi del modello urbano. Da una parte la “civitas”, dall’altra i senza fissa dimora, considerati barbari e guardati sempre con diffidenza.
Molti organismi di tutela dei diritti umani, nonché studiosi ed esponenti del mondo della cultura, hanno denunciato che nei media italiani l'immagine sociale degli “zingari” viene costruita quasi esclusivamente nel racconto di fatti di cronaca, quasi sempre “nera”, con la rappresentazione dello “straniero lontano da Noi”, dello “straccione” e del “parassita”. Riprova ne è il fatto che quasi tutti gli italiani sono convinti che i rom  siano "ladri di bambini", quando invece nella giurisprudenza italiana non c'è ancora un episodio conclamato che possa avallare questa idiozia. Luoghi comuni, terribili ed indelebili; impossibile estirparli dalle menti perchè eccitano gli istinti più bestiali.
Abbiamo sterminato quasi tutte le popolazioni indigene del mondo perché avevano una cultura e un modo diverso di vivere rispetto al nostro. In particolare i Rom sono sempre stati perseguitati, fino alla deportazione e al genocidio sistematico.
Circa 500.000 Rom si ritiene che siano stati trucidati dai nazisti, perchè detentori di un gene molto pericoloso: l’istinto al nomadismo. Il loro è un “genocidio dimenticato”, rimosso dalla memoria collettiva per i secolari pregiudizi che la società europea ha avuto verso di loro; è stata attribuita a questa etnia una sorta di “propensione a delinquere”, una predisposizione naturale per il furto, il rapimento dei bambini e la magia nera (la chiromanzia, praticata dalle donne). In questi anni oscuri della Storia, anche allora tutto iniziò dal presupposto che la Polizia dovesse schedare, con uno specifico formulario, “le persone che per il loro aspetto, i loro usi e costumi possono apparire zingari o meticci zingari” ed anche “le persone che vanno in giro alla maniera degli zingari”. I dati devono essere trasmessi all’Ufficio Centrale del Reich per la lotta alla piaga zingara, a Berlino.

Questo senso di colpa, questo olocausto, non deve però permettere a taluni di porsi fuori dal sistema attuale delle regole, razziando impunemente quello che gli altri accumulano con il sudore della propria fronte. Per questo, guardando a questo fatto di cronaca come a tanti altri, l'unica soluzione che sembra palesarsi, posto il fatto che queste etnie rifiutano l'integrazione ed una vita stanziale in cui sia chiara una loro identità sociale, è l'espulsione permamente delle famiglie delinquenti dal territorio nazionale come in questi giorni sta avvenendo in Francia. Non me ne voglia Primo Levi che nel libro "La Tregua" disse sapientemente: "Ma quante sono le menti umane capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni?"

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