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domenica 17 aprile 2011

Vittorio Arrigoni scrisse del suo Battello Ebbro ("Le bateau ivre") come Arthur Rimbaud e disse: "brillerò anche per coloro che non hanno osato"

Il Battello Ebbro di Vittorio Arrigoni (1975-2011) e Arthur Rimbaud (1854-1891). Ebbro perchè il distacco da un mondo convenzionale intriso di omogeneizzazione, mediocrità, divertimenti banali, affetti superficiali, gusti triviali, falso appagamento, incapacità di provare amore e desiderio provoca ebbrezza.
C'è una stupenda poesia scritta il 23 Marzo 2005 da Vittorio Arrigoni, il giovane volontario italiano ucciso a Gaza, che rende, più di ogni altro scritto, l'idea di quel miliziano della pace quale lui era. Ed insieme a lui gli altri giovani caduti per la pace della International Solidarity Movement.   Credo sia stata scritta da lui, di suo pugno, perchè si trova ad oggi solamente in questo post sul suo blog, che ci tengo a dire, rappresenta uno dei libri più emozionanti e facilmente accessibili sul web. Sono sicuro che il blog di Vittorio sarà una delle stelle comete che guideranno le future generazioni verso un mondo di pace più giusto. Pensate solo che il suo motto era "Restiamo Umani". Il titolo della poesia "Le bateau ivre" è ripreso volutamente da una poesia di Arthur Rimbaud scritta nel 1871 all'età di sedici anni, in cui il poeta maledetto si identifica nel viaggio di un battello ebbro, che abbandona le costrizioni del mondo occidentale e cerca di realizzarsi nella libertà della natura, rappresentata dal mare aperto. Se Rimbaud tornerà dall'Africa in Europa per morire tra atroci sofferenze a Marsiglia a soli 37 anni e nella sua poesia l’avventura della evasione fantastica verso l'ignoto si conclude con un ritorno rassegnato, maliconico, quasi autodistruttivo, alla più nota acqua d’Europa, Vittorio Arrigoni nella sua poesia vara un fiero battello ebbro di sola andata e lo guida contro gli "orrori del mondo" conscio del proprio "richiamo al dovere". Morirà soffrendo in Medio Oriente, a Gaza il 15/04/2001 a soli 36 anni.  Sono parole sue: "Ho brillato anche per coloro che non hanno osato."

Vengono i brividi a leggere la versione di Vittorio Arrigoni di "Le bateau ivre":

L'odissea oscura si svela
dinnanzi ai prossimi giorni,

ho un battello ebbro come taxi per il non ritorno,
nessun testamento se non il mio ricordo sepolto
nelle coscienze di coloro che ho amato.
i miei ideali sconvolti si fanno brace
e brucia onnipresente il richiamo al dovere
il volere primo della mia anima errante,
Lasciarsi alle spalle ogni scrupolo di conforto
per la passione della compassione
della connivenza con la tragedia,
della ricerca di un medicamento
contro ogni orrore del mondo.


Sarò in Palestina,
entro poco
se le stelle mi saranno compiacenti
e brillerò anche per coloro che non hanno osato,
perchè non è una resa schivare i domini della morte,
ma è per la mia anima offesa un richiamo alla non abdicazione.


Quella strada che il fato mi fece svoltare
che è presto mutata nella mia causa utopica
e mi perdoni la mia musa,
la mia famiglia certificata
e quella atavica che cercai ricomporre
tutti e tutte coloro che son stati sfiorati dai miei tentacoli d'emozione
chiedo perdono
per non aver osato guardare uno specchio
e scoprirmi reso alla ricerca dell'assurdo.

Vittorio Arrigoni.
Per la difficile interpretazione invece della versione di Arthur Rimbaud, intrisa della stessa droga e delle stesse sostanze allucinogene a cui anelava, potete appoggiarvi a questo link. Ecco la versione del poeta maledetto di "Le bateau ivre":

Appena presi a scendere lungo i Fiumi impassibili,
Mi accorsi che i bardotti non mi guidavan più:
Ignudi ed inchiodati ai pali variopinti,
I Pellirosse striduli li avevan bersagliati.


Non mi curavo più di avere un equipaggio,
Col mio grano fiammingo, col mio cotone inglese.
Quando assieme ai bardotti si spensero i clamori,
I Fiumi mi lasciarono scender liberamente.


Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
L'altro inverno, più sordo di una mente infantile,
Io corsi! E le Penisole strappate dagli ormeggi
Non subirono mai sconquasso più trionfante.


La tempesta ha sorriso ai miei risvegli in mare.
Più lieve di un turacciolo ho danzato sui flutti
Che eternamente spingono i corpi delle vittime.
Dieci notti, e irridevo l'occhio insulso dei fari!


Più dolce che ai fanciulli qualche acida polpa,
L'acqua verde filtrò nel mio scafo di abete
E dalle macchie rosse di vomito e di vino
Mi lavò, disperdendo il timone e i ramponi.


Da allora sono immerso nel Poema del Mare
Che, lattescente e invaso dalla luce degli astri,
Morde l'acqua turchese, dentro cui, fluttuando,
Scende estatico un morto pensoso e illividito;


Dove, tingendo a un tratto l'azzurrità, deliri
E ritmi prolungati nel giorno rutilante,
Più stordenti dell'alcol, più vasti delle lire,
Fermentano i rossori amari dell'amore!


Io so i cieli che scoppiano in lampi, e so le trombe,
Le correnti e i riflussi: io so la sera, e l'Alba
Che si esalta nel cielo come colombe a stormo;
E qualche volta ho visto quel che l'uomo ha sognato!


Ho visto il sole basso, fosco di orrori mistici,
Che illuminava lunghi coaguli violacei,
Somiglianti ad attori di antichi drammi, i flutti
Che fluivano al tremito di persiane, lontano!


Sognai la notte verde dalle nevi abbagliate,
Bacio che sale lento agli occhi degli Oceani,
E la circolazione delle linfe inaudite,
E, giallo e blu, il destarsi dei fosfori canori!


Ho seguito, per mesi, i marosi che assaltano
Gli scogli, come mandrie di isterici bovini,
Stupito che i lucenti piedi delle Marie
Potessero forzare i musi degli Oceani!


Ho cozzato in Floride incredibili: fiori
Sbocciavano fra gli occhi di pantere con pelli
D'uomo! In arcobaleni come redini tesi
A glauche mandrie soto l'orizzonte dei mari!


Ho visto fermentare gli stagni enormi, nasse
Dove frammezzo ai giunchi marcisce un Leviatano!
Frane d'acqua scuotevano le immobili bonacce,
Cateratte lontane crollavano nei baratri!


Ghiacciaci, soli d'argento, flutti madreperlacei,
Cieli ardenti! Incagliavo in fondo a golfi bruni
Dove immensi serpenti mangiati dalle cimici
Cadon, da piante torte, con oscuri profumi!


Ai bimbi avrei voluto mostrare le dorate
Dell'onda cupa e azzurra, o quei pesci canori.
- Schiune di fiori, mentre salpavo, m'han cullato,
E talvolta ineffabili venti m'han dato l'ali.


Martire affaticato dai poli e dalle zone,
Il mare che piangendo mi addolciva il rullio
Faceva salir fiori d'ombra, gialle ventose,
Ed io restavo, simile a una donna in ginocchio,


Quasi isola, scuotendo sui miei bordi i litigi
E lo sterco di uccelli dagli occhi bioni, e urlanti.
Vogavo ed attraverso i miei legami fragili
Gli affogati a ritroso scendevano a dormire!


Io, battello perduto nei crini delle cale,
Spinto dall'uragano nell'etra senza uccelli,
Né i velieri anseatici, né i Monitori avrebbero
Ripescato il mio scafo ubriacato d'acqua;


Libero, fumigante, di brume viole carico,
Io che foravo il cielo rossastro come un muro
Che porti, leccornie per i buoni poeti,
Dei licheni di sole e dei mocci d'azzurro;


Io che andavo chiazzato dalle lunule elettriche,
Folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
Quando il luglio faceva crollare a scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;


Io che tremavo udendo gemere acento leghe
I Behemot in foia e i densi Maèlstrom,
Filando eternamente sulle acque azzurre e immobili,
Io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi!


Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
Dai cieli deliranti aperti al vogatore:
- È in queste notti immense che tu dormi e t'esili
Stuolo d'uccelli d'oro, o Vigore futuro?


Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
L'acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Oh, la mia chiglia scoppi! Ch'io vada in fondo al mare!


Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.


Non posso più, bagnato da quei languori, onde,
Filare nella scia di chi porta cotone,
Né fendere l'orgoglio dei pavesi e dei labari,
Né vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.



Ritratto di Arthur Rimbaud all'età di diciassette anni, ca. 1872 (Étienne Carjat). Un anno prima aveva composto Il Battello Ebbro.

sabato 19 febbraio 2011

L'Arcadia dello spirito nelle Bucoliche di Virgilio

Epitafio sulla tomba di Virgilio: "Mantova mi ha dato la
vita, i Calabri me l'hanno rapita, ora Partenope mi tiene
con sé; ho cantato pascoli, campagne, eroi."
Voglio intercettare quella luce che indora l'uva sui colli solatii; voglio vivere la mia vita a contatto con la natura per avvicinarmi il più possibile alle espressioni del rapporto umano più vero: l'amore e l'amicizia. Voglio parlare di Virgilio (Publio Virgilio Marone), per immergermi nella quieta esistenza della vita campestre e allontanare momentaneamente l'inquitudine per le torbide vicende del berlusconismo che al momento soffocano il Bel Paese. L'apparente distanza degli argomenti trattati non impedisce, spero, che si faccia sentire la meditazione sugli avvenimenti contemporanei. Quanti di voi hanno sognato di fuggire dalla violenza del traffico cittadino, dall'annientamento e dal soffocamento dell'ombra di un palazzo di nove piani? quanti di voi sognano di rifugiarsi in una "Arcadia dello Spirito", in una campagna alla ricerca di un otium idealizzato, dove il tumulto e il timore non raggiungano la quiete dell'esistenza campestre, semplice, sobria, dedita alla bellezza? T.S. Eliot ha scritto a proposito della solitudine: "Tu strascuri e sminuisci il deserto, il deserto non è solo dietro l'angolo, il deserto è compresso nel vagone della metropolitana, è accanto a te, il deserto è nel cuore di tuo fratello". Questo per dire, che costruiamo frequentatissimi non-luoghi, come mastodontici centri commerciali,  dove paradossalmente ci sentiamo però sempre più soli. Ho già parlato in un post di come Francesco Petrarca, l’illustre poeta, quando scelse di stabilirsi ad Arquà Petrarca nel 1370, disse queste parole: "Fuggo la città come ergastolo e scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo".
01/05/2010 Gregge di pecore, fotografate sul monte Baldo dove mi reco spesso anche per passeggiate a cavallo.
Già, perchè nelle nostre città caotiche è impossibile coltivare il regno dello spirito, in cui si possano rinforzare gli ideali umani più profondi; è impossibile riflettere su un ideale di amicizia pura e incondizionata, sulla nostra infanzia e su tutte le piccole cose che ci davano quiete; è impossibile accorgerci dell'ombra protettiva degli alberi, del mormorio dei ruscelli, del quieto pascolare delle caprette quando le notizie delle guerre dei nostri giorni, ci riportano all'amara realtà uccidendo la leggerezza e la scherzosità. In questo post, quindi voglio guardare alla vita dei pastori, alle loro gare di canto, ai loro amori.


Nell'immagine il dio Pan, insegna a Dafni 
a suonare il "Flauto di Pan" (Pompei,ca. 100 a.C.) 

Virgilio è nato nella poesia. Quand'era in attesa del futuro poeta, la madre sognò di partorire un ramo di lauro, e di vederlo subito crescere fino al cielo. Storicamente il "ramo di lauro" venne alla luce il 15 ottobre del 70 a.C vicino a Mantova, nell'area di Pietole ed Andes. Virgilio, figlio di proprietari terrieri, conobbe negli allora incantati paesaggi della pianura padana, la vita e il lavoro della gente di campagna, che tanta parte ebbero nella sua ispirazione. Pensate che Virgilio, dopo aver composto le "Bucoliche" tra il 42 ed il 39 a.C, la sua prima prima opera compiuta, doveva fuggire per la strada all'importuno entusiasmo della gente durante i suoi soggiorni a Roma; in questo momento il popolo italiano acclama i partecipanti ai reality e ai talent show, un mondo dei balocchi effimero. Anche nelle "Georgiche",  composte tra il 37 ed il 30 a.C, il poeta celebra il lavoro dei campi, nella concretezza della coltivazione degli alberi e della vite, dell'allevamento del bestiame e delle api. Leggendo le  Bucoliche di Virgilio mi sono annotato tutte le parole chiavi che potessero alimentare quell'immagine per il tutto, che va sotto il nome di Arcadia e le ho trascritte qui di seguito; parole in disuso ("armenti", "farro" etc) che leggendo tutto d'un fiato, hanno il potere di portarci, come per magia, in un altro mondo. 

abete, acqua, aglio, agnelli, agnellino, allori, altare, alveare, amore, api, aquila, aratro, arco, argilla, argini, aria, ariete, armenti, arsura, avena, barba, bastone, bestia, bosco, buoi, cacio, cagne, cardo, calendule, camini, campagna, campi, campicello, cani, canna, canto, canzoni, capanna, capre, capretti, castagne, cavalle, cera, cerbiatti, cervi, cesto, cielo, cespugli, cicale, cigno,  cinghiali, citisio, città, colombe, contagio, contadino, cornacchia, corno, cotogne, covi, cuccioli, cuore, danza, dei, dio, dirupi, disgrazia, dolore, edera, elicriso, erbe, estate, faggio, falcetto, fanciullo, farro, fatica, fiere, filari, fiore, fiumi, flauto, focacce, focolare, foglie, fonti, formaggio, fragole, frasche, frassino freddo, fresco, frumento, frutti, fuliggine, fuoco, gelo, germoglio, gesta, ghiaccio, ghiande, ghirlanda, giacinto, gigli, ginepri, giogo, gioia, giovane, giovenche, giunco, gloria, gole, grappoli, gregge, grifi, grotta, ibisco, incenso, inverno, lana, latte, lauri, lavanda, leccio, legna, libertà, lido, linci, linfa, lupo,  madri, mandria, manico, mare, mele, mesi, messi, miele, mietitori, mirto, monti, more, muschio, narciso, nettare, nevi, nido, noccioli, noci, nubi, nuvole, oca, odore, olio, olivo, olmo, ombra, ontani, orgoglio, orticello, orzo, ovili, palude, papaveri, pascoli, pastori, pasture, pecore, pelo, peri, pesci, piana, piante, pianto,  pietà, pietra, piffero, pini, pioggerella, pioggia, pioppo, poeta, pomi, porcai, porpora, potatore, povertà, prati, primavera, prugne, querce, ramarro, rami, rasoio, rastrello, resina, riso, riparo, risparmio, ritmo, riva, roccia, roseti, roveto, rugiada, rupi, silvestre, salceto, salice, sambuco, sassi, schiavitù, scorza,selve, sera, serpe, serpillo, siepe, silenzio, soffio, sole, solchi, sonno, sorgenti, speranza, spiga, stalla, stelle, stelo, suolo, sussurro, tempietto, terra, Terra, tetto, timo, tori, torrenti, tortora, tracce, valichi, valli, valore, vampa, vento, verde, versi, viburni, vimini, viole, violetta, vino, vite, vitella, volpi, zampillo, zampogna, sefiro, zoccoli, zolle
Paesaggio amenico che ho recentemente fotografato nel viaggio in Scozia

Sono i processi di lunga durata che creano paesaggi stabilizzati, culturalmente identificabili, mentre i mutamenti di breve durata, creano paesaggi antagonisti, confusi, paesaggi del mutamento e della crisi. Questa è una massima che ho trovato nei libri di quel genio che era Eugenio Turri, massimo geografo italiano. Durante i miei viaggi, dove ho sentito veramente vicino il mondo egreste e bucolico tratteggiato da Virgilio è stato nelle isole greche dell'Egeo, in particolare Ios e Creta. In Italia invece ho sentito  tale sensazione avvicinandomi agli ulivi di Sirmione, vicino alla Grotta di Catullo e ad Arco di Trento in una spianata di ulivi che ho fotografato.
Video che ho girato alla Tomba di Omero; è l'Arcadia?

Eccovi alcuni passi tratti dalle Bucoliche: Qui tra i fiumi di sempre e le sorgenti sacre prenderai il fresco e l'ombra. Di qua la siepe - quella di sempre - sul limite vicino, dove le api iblèe succhiano il fiore del salceto, ti sedurrà col suo sussurro a abbandonarti al sonno. Di là, sotto l'alta rupe, canterà al vento il potatore; e intanto né le rauche colombe, che tu ami, né la tortora in cima all'alto olmo cesserà il suo pianto. 
Una capra che scruta l'orizzonte nel paesaggio egreste di Ios, dove mi sono recato più volte.


Così il pastore Melibeo nelle Bucoliche: Avanti mie caprette, gregge felice un tempo, avanti! Mai più vi guerderò, sdraiato in una verde grotta, arrampicarvi di lontano sul ripido roveto. Non canterò più canzoni; mai più, caprette, sarò il vostro pastore mentre brucate citiso fiorito e amaro salice. 
Sdraiarsi tra gli steli d'erba. Sentirsi in simbiosi con Madre Terra e con la Natura. Sorridere.  
Nelle gole di Samaria a Creta ho osservato in libertà gli ultimi esemplari di kri-kri, una razza locale di capre selvatiche minacciata di estinzione.

martedì 25 gennaio 2011

I poeti del lago non potevano che essere felici - Lake Poets could not but be gay

Immagini emozionanti che ho girato nel Lake District in Gran Bretagna. La musica "Nightwish - Sleeping Sun" me l'ha suggerita un vento del nord...

La macchina noleggiata per la vacanza in Inghilterra
Il Lake District, è una regione nel nord ovest dell'Inghilterra che ho recentemente visitato. La regione, famosa per i suoi laghi e le sue montagne, le più alte dell'Inghilterra, è una meta turistica ambita nel periodo primaverile ed estivo, forse più indicato per soggiornarci. Io non ho resistito ed avendone l'occasione l'ho visitata in pieno inverno. Ma ripeto, essendo la zona, la parte più umida dell'Inghilterra, con frequenti addensamenti di nebbia, è preferibile soggirnarci in primavera, altrimenti aspettatevi pochissime ore di luce e sole. Fin dai tempi dell'Impero romano, l'allevamento di pecore, è stata la principale industria della regione e non meravigliatevi di trovarne continuamente alla vostra destra ed alla vostra sinistra senza soluzione di continuità assieme ai muri a secco funzionali appunto alla pastorizia. Pensate che quando nel 2001 l'afta epizootica costrinse ad abbattere migliaia di pecore in tutto il Regno Unito ed in questa zona in particolare, si perse la centenaria memoria storica delle pecore che riconoscevano i pascoli non recintati e non si smarrivano, e questa conoscenza veniva tramandata tra le generazioni. Per ovviare al problema alcuni pascoli di montagna vennero prudentemente circondati di recinti elettrici. Il rischio è sempre quello di perdere la memoria storica.

Ho scattato questa foto e le seguenti  immergendomi nel paesaggio invernale dei Lake District

Veniamo al titolo, I Poeti del lago non potevano che essere felici. Sto parlando principalmente di Wordsworth, Coleridge e Southey. In particolare pensate che William Wordsworth, il fondatore del Romanticismo e soprattutto del naturalismo inglese, trascorse sessant'anni della sua vita a contatto con la natura lungo questi laghi e queste montagne, tanto cari alla letteratura inglese del settecento e dell'ottocento.
Ho scritto questo post appositamente per fotografare la relazione tra la cornice paesaggistica dei Laghi e le parole del poeta laghista. Il poeta ha immortalato il Lake District nella sua poesia, riconoscendo alla natura la capacità di infondere felicità nella vita di un uomo ("Lake Poets could not but be gay"). Non mi resta che riportare la poesia di Wordsworth "I Wandered Lonely as a Cloud" (Erravo solo come una nuvola), scritta nel 1804 ed ispirata dalla vista dei narcisi dorati in riva all'Ullswater; è considerata l'opera più famosa di Wordsworth.

Erravo solo come una nuvola
I wandered lonely as a cloud

Che galleggia in alto sovra valli e colline,
That floats on high o’er vales and hills,

Quando ad un tratto vidi una folla,
When al l at once I saw a crowd,

Una moltitudine, di narcisi dorati;
A host , of golden daffodils;

Accanto al lago, sotto gli alberi,
Beside the lake, beneath the trees,

Svolazzando e danzando nella brezza.
Fluttering and dancing in the breeze.


Continui come le stelle che brillano
Continuous as the stars that shine

E scintillano sulla via lattea,
And twinkle on the milky way,

Si stendevano in una linea senza fine
They stretched in never-ending line

Lungo il margine di una baia:
Along the margin of a bay:

Diecimila vidi a colpo d'occhio,
Ten thousand saw I at a glance

Scuotendo le loro teste in un vivace ballo.
Tossing their heads in sprightly dance.
 

Le onde accanto a loro danzavano, ma essi
The waves beside them danced; but they

Sorpassano le scintillanti onde in allegria
Out -did the sparkling waves in glee:

Un poeta non poteva che essere gaio,
A poet could not but be gay,

In una tale gioconda compagnia
In such a jocund company:

Guardavo fisso - guardavo fisso - ma poco pensavo
I gazed - and gazed – but little thought

Che ricchezza lo spettacolo mi aveva portato:
What wealth the show to me had brought:


Perché spesso, quando sul mio letto giaccio
For oft , when on my couch I lie

Di distratto o di pensieroso umore,
In vacant or in pensive mood,

Essi balenano su quell'occhio interiore
They flash upon that inward eye

Che è la beatitudine della solitudine;
Which is the bliss of solitude;

E allora il mio cuore si riempie di piacere,
And then my hear twith pleasure fills,

E balla con i narcisi.
And dances with the daffodils.




Un'altra peculiarità di questi luoghi è che il comune rispetto per le leggi e la precoce costituzione di un parco naturale "Lake District National Park" hanno fatto sì che la zona non venisse deturpata dal fenomeno delle seconde case o da mostri di cemento. Insomma non è avvenuto quello che avviene sostanzialmente in Italia. Nel XX secolo, in questa regione vi abitò anche la scrittrice per bambini Beatrix Potter, ambientandovi molti dei suoi famosi libri su Peter Rabbit.

venerdì 28 marzo 2008

Pellegrinaggio sentimentale alla casa di Francesco Petrarca ad Arquà (PD)


Dalla porta-finestra della stanza da letto di Franceso Petrarca (stanza di Venere), chiusa da un poggiolo in ferro battuto che sostituì nel 1690 l'originaria balconata in legno, si può vedere il panorama del monte Cero, a destra, del monte Castello, a sinistra.
Il Monte Cero, a destra, ed il monte Castello a Sinistra, a cui poteta rimirare costantemente il Petrarca ogni momento; le piramidi italiane del faraone Francesco Petrarca.
La casa di Francesco Petrarca ha a mio avviso un valore inestimabile per molteplici motivi, che vanno al di là del valore che può avere la casa museo di uno tra i più grandi letterati al mondo; la casa, insieme al paesaggio circostante bucolico e alle atmosfere del borgo di Arquà Petrarca (PD) che magicamente nel corso dei secoli si sono conservate, rappresenta tuttora adesso un coacervo di verità, che altrove non è più possibile cogliere. Se a tante domande non trovate risposte, ad Arquà Petrarca le potete ancora trovare. Io personalmente l'ho visitata decine di volte. Perfino la notte in cui l'Italia vinse i mondiali di calcio, dopo aver festeggiato tutta la notte, convinsi i miei amici a raggiungerla alle 4 di notte. Ed in un silenzio di tomba, trovai risposte anche allora. La pace e la serenità che trasmette questo luogo, permette infatti di meditare, pratica di difficile attuazione altrove.
Street, New York I , 1926, Georgia O'keeffe
(showed dramatic changes that transformed New York in the first half of 1900)
Francesco Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304. Fu forse Francesco il Vecchio da Carrara a donare, nel 1369, al Petrarca la Casa fra le cui pareti si spense nel 1374. Era un epoca dove persone come lui, venivano concretamente premiate dalla politica per le loro attitudini. Francesco Petrarca fu amico del Boccaccio, che lo venne a trovare più volte e che morirà un anno e mezzo dopo il poeta.

I protagonisti del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool
Francesco Petrarca, l’illustre poeta, quando scelse di stabilirsi ad Arquà Petrarca disse queste parole:
"Fuggo la città come ergastolo e scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo".

Stanza da letto del Petrarca (Stanza di Venere). Si notino la porta per accedere allo studiolo sulla destra e sulla sinistra la porta-davanzale con il panorama dei colli euganei.
Francesco Petrarca nel suo periodo patavino affrontò anche questioni di natura pratica e legate alla gestione della città. Un esempio di tali discorsi ce lo offre il Petrarca stesso nelle Epistole Senili (XIV, 1), da pari a pari, invitò il Da Carrara a occuparsi di un problema che affliggeva la città in modo serio. Contravvenendo allo statuto municipale, vi era l'abitudine di lasciare liberi i maiali per le strade, provocando ovvi inconveniente igienico-sanitari, ma ancor più risultando pericolosi per i cavalieri, spesso disarcionati dalle proprie cavalcature che si imbizzarrivano alla loro vista. Se i padovani, il Petrarca compreso, ormai subivano tale presenza con indifferenza per per la consolidata abitudine, così non era per i forestieri, che notavano con sorpresa l'incivile usanza. (anche al giorno d'oggi di notte e verso sera in giro per Padova ci sono dei "maiali" che spacciano droga, impunemente ed in barba a qualsiasi legge vigente. Ma purtroppo non c'è più un Petrarca che denunci con successo una simile situazione di degrado in cui è precipitata la città patavina). Il poeta ricordò al signore di Padova che le leggi della città prevedevano il sequestro degli animali lasciati incustoditi e suggerì di ripristinare in toto la prescrizione, facendola ribadire alla cittadinanza tramite il pubblico banditore e magari inasprendo le pene e istituendo un'apposita squadra di sorveglianti con il compito di portare via i maiali. Con uno spirito estremamente moderno per il suo tempo, asserisce il valore dell'aspetto e del decoro delle città quale requisito per un'ottimale qualità della vita di chi ci abita. Francesco Petrarca si interessa anche della salubrità dei Colli Euganei, esortando ad attuare lavori di bonifica.
"[...] tu Padova, nobilissima città, felice per posizione geografica e mite clima, vicina al mare, cinta da fiumi, ricca di fertili campagne, famosa per cittadini di vivace ingegno, celebrata nella storia per antico illustre nome [...]" (Francesco Petrarca, Familiari, XV 14) "Mi sono costruito sui colli Euganie una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti" (Francesco Petrarca, Senili XIII, 8, Lettera a Matteo Longo, 6 Gennaio 1371
Davanti alla casa c'è il giardino, sul retro il brolo.
Facciata della casa di Francesco Petrarca. Dopo la morte del Petrarca si succedettero diversi proprietari, ma la casa non subì sostanziali cambiamenti, nel rispetto del ricordo del poeta. Il mito della casa come luogo di memorie petrarchesche e meta di pellegrinaggio letterario e sentimentale. Addirittura nel Cinquecento si può dire diventò una specie di San Giacomo di Compostella letterario e laico. Paolo Valdezocco, proprietario della casa dal 1546 al 1556, fece aggiungere la loggetta e la scala esterna, dalla quale tutt'oggi si accede al primo piano, e fece dipingere alle pareti gli affreschi che ancora si possono ammirare, ispirati alle opere del Petrarca. Le scene sono dipinte nella parte più alta, mentre la parte sottostante delle pareti è illustrata con motivi ornamentali a imitazione dei tessuti di damasco
Il fregio pittorico della stanza centrale rappresenta sette scene ispirate alle allegorie della canzone petrarchesca "Nel docle tempo della prima etade", numero 23 del Canzoniere, nota anche come canzone della metamorfosi.
Il poeta è trasformato in un cigno. ("ond'io presi col suon color d'un cigno")
Laura ed Amore trasformano il poeta in pianta di alloro ("[...] facendomi d'uom vivo un lauro verde, che per fredda stagion foglia non perde")
Il poeta si lascia cadere sull'erba e dal gran piangere si trasforma in fonte ("Come huom che tra via dorma, gittaimi stancho sovra l'erba un giorno. Ivi accusando il fuggitivo raggio, a le lagrime triste allargai 'l freno et lasciaile cader come alor parve; né già mai neve sotto al sol disparve com'io sentì me tutto venir men, et farmi una fontana a pié d'un faggio") A destra, Laura strappa il cuore al poeta ("Questa che col mirar gli animi fura, m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano"). Al centro il poeta incontra Laura ma non la riconosce (Poi la rividi in altro habito sola, tal ch'i non la conobbi, oh senso umano") ed a sinistra Laura trasforma il poeta in un sasso ("Tosto tornando, fecemi, oimè lasso, d'un quasi vivo et sbigottito sasso")
Il cervo inseguito dai cani: "Una sfera m'apparve da man destra, con fronte humana, da far arder Giove, cacciata da duo veltri, un nero, un biancho". Studiolo del Petrarca, luogo di lavoro e di meditazione,dove egli conservava i suoi preziosi e amati libri, e dove nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374 morì. Nello studiolo si conservarono la seggiola e il vetusto armadio-libreria che sarebbero stati usati dal Petrarca, secondo una tradizione attestata sin dal Cinquecento.
Vittorio Alfieri così ricorda la sua visita nel 1783 con riferimento allo studiolo
O cameretta, che già in te chiudesti
quel grande, alla cui fama angusto è il mondo; quel si gentil d'amor mastro profondo
per cui Laura ebbe in terra onor celesti:
o di pensier soavemente mesti
solitario ricovero giocondo;
di quai lagrime amare il petto inondo,
nel veder ch'oggi inonorata resti!
Prezioso diaspro, agata, ed oro
foran debito fregio, e appena degno
di rivestir sì nobile tesoro.
Ma no: tomba fregiar d'uom ch'ebbe regno vuolsi, e por gemme ove disdice allor:
qui basta il nome di quel divo ingegno.
(Vittorio Alfieri, Rime, XLI)
La morte di Laura: "Alfin vid'io per entro i fiori et l'erba pensosa ir sì leggiadra et bella donna"
Particolare: Altichiero "Petrarca tra i notabili" Padova, oratorio di San Giorgio
Sulle pareti di alcune stanze sono visibili alcune iscrizioni di alcuni studenti (studenti austriaci del 1544 ad esempio) a ricordo della loro visita. Per ovviare all'usanza di apporre la propria firma sulle pareti della casa, fin dal 1787 furono messi a disposizione dei visitatori i cosidetti Codici di Arquà, registri dover poter lasciare il proprio nome, un pensiero, una poesia a testimonianza del pllegrinaggio ai luoghi petraarcheschi.
Luigi Ceccon, Francesco Petrarca, 1874. Monumentale statua del poeta che si può ammirare al piano terreno della casa di Arquà.
L'accesso ad Arquà Petrarca.
Famosa nella casa è la gatta imbalsamata,una delle curiosità più note e di richiamo della casa, che secondo la tradizione sarebbe la gatta domestica del poeta che gli faceva compagnia nelle ore di studio e di solitudine, come è raffigurato nell'affresco della Sala dei Giganti in Padova. In verità si tratta di una invenzione dei primio anni del Seicento.
Arca in marmo rosso, Tomba di Francesco Petrarca ove il Petrarca vi fu tumulato nel 1380 Sullo sfondo la chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta. Sull'attuale sagrato della chiesa, fino al al XIX secolo adibito a cimitero, vi è la tomba del poeta, edificata nel 1380 dal genero Francescuolo da Brossano suo erede testamentario. Sulla sommità dell'arca la testa in bronzo del poeta, ora sostituita da una copia, il cui originale è esposto proprio nella casa.
La tomba del Petrarca fu meta di reverente pellegrinaggio fin dalla sua erezione, ma anche di un ossessivo fanatismo per il culto del poeta, che provocò parecchi violazioni e depredazioni del sarcofago (nel 1630 il sarcofago fu aperto e furono asportate alcune ossa del braccio destro, mai ritrovate). Tra i tanti visitatori illustri della casa si annoverano Lord Byron (1817), Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo e tanti altri.
Sul sarcofago, sostenuto da quattro pilastri, vi è incisa l'epigrafe che sarebbe stata dettata dallo stesso poeta "Questa pietra ricopre le fredda ossa di Francesco Petrarca; accogli Vergine Madre la sua anima; tu o Figlio della Vergine, perdona. E possa essa, stanca ormai della terra, riposare nella rocca celeste." (Frigida francisci palis hic tegit ossa Petrace; suspice virgo parens animam; sate virgine parce. Fessaq(ue) iam terris celi requiescat in arce M CCCLXXIIIJ XVIIIJ JULIS")
Visione notturna della Tomba di Francesco Petrarca. Nel suo testamento F. Petrarca scrisse "Se chiudessi i miei giorni in Arquà, dove è la mia casa di campagna, e Dio mi avesse concesso quel tanto desidero, di costruire cioè una modesta cappella in onore della Vergine, in essa prescelgo di essere seppellito. Se no più in baso, in luogo decoroso presso la pieve." (la cattiva abitudine di riesumare i cadaveri di illustre personaggi, come ultimamente è successo per Padre Pio c'è sempre stata se si pensa che anche la tomba di Francesco Petrarca fu aperta nel 1873, e vennero prese le misure antropometriche dello scheletro del poeta.
Nuovi nuclei abitativi ad Arquà Petrarca e sullo sfondo il monte Cero.

Arquà Petrarca, insieme ad Asolo ed ai suoi colli, è riuscita nei secoli a conservare intatto il paesaggio che la circonda. La speculazione edilizia in queste zone, tuttavia è sempre in agguato. D'altronde, l'uomo soffocato nella pianura veneta da un cimitero di capannoni industriali abbandonati, da strade trafficate ed inquinamento dilagante, tenderebbe a rifugiarsi costi quel che costi in questi posti che invece hanno resistito meglio all'antropizzazione.
Un esempio di casa ideale a mio avviso. Chi non sognerebbe una casa così?
Il Petrarca amava le piante; nel suo giardino piantò l'alloro, la vite, il pomo e le piante aromatiche quali il rosmarino, l'issopo, il marrobbio.
I dintorni del borgo di Arquà Petrarda si contraddistinguono per il verde lussureggiante e la possibilità di effettuare lunghe passseggiate in un contesto unico nel suo genere. Qui l'unica fonte di inquinamento rilevante è un cementificio con un indotto importante (che per chi si avvicina ad Arquà Petrarca è comunque un pugno in un occhio), che però non è riuscito a rovinare lo spettacolo scenico di questi colli tanto cari al Petrarca.


Vagando per le ripide vie di Arquà, si può ancora cogliere un'atmosfera medioevale che a ragione contribuisce a rendere il borgo famoso. Ancora oggi il borgo è imbevuto della presenza del poeta, e si può dire che ogni pietra parli di lui e della sua poesia, infondendo al visitatore la stessa tranquillità e la stessa serenità che l'anziano poeta potè trovare nel suo soggiorno euganeo.
Il verde lussureggiante nei pressi di Arquà Petrarca (PD)

A 19 km a sud-ovest di Padova, a Valsanzibio di Galzignano, in una conca circondata da amene colline poste ad anfiteatro, si trova villa Barbarigo, oggi Pizzoni Ardemani, cinta da un’ eccezionale testimonianza di giardino secentesco, uno tra i più importanti ed integri in Europa e definito "perla degli Euganei". Copre oltre 150.000 mq e comprende il famoso labirinto antico di bossi, che si sviluppa per oltre 1.500 metri lineari (il solo labirinto, con quello di Villa Pisani, a Stra, che si sia conservato nella nostra regione). II giardino meraviglioso è inoltre caratterizzato da un ricco patrimonio di viali, aiuole fiorite, statue (in buona parte opera del Merengo), giochi d’acqua, fontane e decorazioni architettoniche volte ad accentuarne la vastità e la pittoricità. L’ingresso della villa serviva anche di approdo alle barche giunte attraverso la valle da pesca di Santo Eusebio, da cui il nome "ValSanZibio". Un tempo estesa a tutta la pianura la "Valle" oggi si limita al laghetto preservato per rispecchiare l'elegante costruzione.



Video dalla stanza da letto di Francesco Petrarca (PD)

domenica 9 dicembre 2007

Andrea Zanzotto: chi salverà il veneto dal cemento?


Il Poeta Andrea Zanzotto
Zanzotto è diventato l'anima dei comitati che tutelano il paesaggio veneto (http://www.paesaggivenetisos.org ), il fulcro intorno al quale si sta stringendo la rete delle associazioni ambientaliste.
Nel giorno in cui, Legambiente dichiara fuori legge 7 citta' su 10 per lo smog, è doveroso parlare di Andrea Zanzotto.
Roma, 8 dic. - (Adnkronos) In fatto di legge su Pm10: 7 citta' su 10 fuori legge, dal 1 gennaio ad oggi Torino e' risultata la piu' inquinata, seguita da Venezia-Mestre e Verona. E' quanto e' emerso nel corso dell'8° congresso nazionale di Legambiente. Il 70% delle emissioni di Pm10 (polveri sottili) e' dovuto al traffico. Negli ultimi dieci anni, inoltre, le emissioni da CO2 da trasporto stradale sono aumentate del 18%.Legambiente in una nota suggerisce di "Scoraggiare il trasporto privato con il ticket urbano" in considerazione del fatto che si sono verificati: 149 giorni di superamento a Torino, 127 a Venezia, 121 a Verona. E ancora, 116 a Vicenza, 115 a Cagliari e Padova, 110 a Reggio Emilia. E poi 107 a Lodi, 106 a Frosinone, 100 a Milano e Pesaro. Secondo Legambiente e' un quadro nero quello rilevato dalla centraline di rilevamento delle polveri sottili nelle maggiori citta' italiane. I dati sul PM10 (aggiornati al 25 novembre scorso) riportano un numero impressionante di superamenti giornalieri della soglia consentita dalla legge (che fissa, dal 2005, il valore limite medio giornaliero per le polveri sottili a 50 g/mc, che puo' essere superato al massimo per 35 giorni all'anno). "Questo bonus - dicono a Legambiente - e' stato invece gia' ampiamente consumato da 47 citta' su 68 (sette citta' su dieci)". In particolare l'associazione ambientalista ritiene che si debba passare al "pay per use", introducendo "forme di ticket urbano per le automobili al fine si scoraggiare il trasporto privato recuperando nello stesso tempo risorse per il trasporto pubblico.


Come presentare un poeta se non riportando una sua poesia?

Andrea Zanzotto Da "Dietro il paesaggio" Elegia Pasquale Pasqua ventosa che sali ai crocifissi con tutto il tuo pallore disperato, dov'è il crudo preludio del sole? e la rosa la vaga profezia? Dagli orti di marmo ecco l'agnello flagellato a brucare scarsa primavera e illumina i mali dei morti pasqua ventosa che i mali fa più acuti E se è vero che oppresso mi composero a questo tempo vuoto per l'esaltazione del domani, ho tanto desiderato questa ghirlanda di vento e di sale queste pendici che lenirono il mio corpo ferita di cristallo; ho consumato purissimo pane Discrete febbri screpolano la luce di tutte le pendici della pasqua, svenano il vino gelido dell'odio; è mia questa inquieta gerusalemme di residue nevi, il belletto s'accumula nelle stanze nelle gabbie spalancate dove grandi uccelli covarono colori d'uova e di rosei regali, e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario dei propri lievi silenzi. Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra le bocche non sono che sangue i cuori non sono che neve le mani sono immagini inferme della sera che miti vittime cela nel seno.




In un belissimo articolo su la Repubblica del 7 Dicembre, così si parla di Andrea Zanzotto.
"Da Pieve di Soligo, dove si alzano le Prealpi Trevigiane, lo sguardo di Zanzotto si allunga oltre il paesaggio veneto, scavalca la laguna e l'inferno di Marghera e arriva fino in Cina, 'il paese in cui lo sconquasso ambientale corre al ritmo di un capitalismo vorace, perché viaggia con i metodi autoritari del partito comunista', dice il poeta. Ma è la pedemontana, sono l'altopiano di Asiago, il Montello e il Piave la ragnatela alla quale restano avvinghiati i suoi versi. E anche le sue battaglie perché non tutto di queste colline venga devastato dal cemento degli stabilimenti industriali e delle villette. [...] Dopo la guerra si costruiva perché c'era bisogno, continua Zanzotto. Le case erano distrutte. C'erano i soldi del Piano Marshall. Disordinatamente, ma si raggiunsero 'gradini sopportabili di decenza'. 'Poi questo slancio si affievolì'. E come siamo arrivati ad oggi? 'Si è voluto ottenere il massimo con il minimo costo, ma poi il costo è stato altissimo. Il mito della ricchezza facile è un febbrone che ha il potere di distruggere l'organismo. E questo territorio è stato incrostato di stabilimenti che ora sono vuoti perché è più conveniente produrre all'estero, di centri commerciali dove - è accaduto un po' di tempo fa - un operaio è morto schiacciato e il suo corpo è rimasto coperto da un lenzuolo, mentre la gente entrava a far compere'. E il paesaggio che lei ricorda? 'Se potessi vederlo da un aereo non riconoscerei più nulla, ma passeggiando si può ancora scorgere qualche angolo che alimenta la facoltà dell'immaginazione. Prenda il Piave. Era un fiume torrentizio. Ora è asciutto in tanti tratti, eppure quelle linee d'argento che attraversano il suo letto continuano a nutrire la creazione mitica.'" (da F. Erbani, Andrea Zanzotto. Chi salverà il Veneto dal cemento, "La Repubblica", 07/12/'07)

Questa poesia di Zanzotto è inedita, viene esposta alla mostra fotografica "L'altra Venezia" al Molo K di Marghera.
Fu Marghera
Vuoto come denti cavati
quadri e intarsi di nulla diversi
l'abbandono non è
né morte né liberazione
l'abbandono è crollo disarticolazione
è strappo di colori e di forme del nulla
che non si rivelò più creante
che in questa spenta saccagnata ridda
secche scadenze dei fuochi del niente
sono bocche sdentate pelli bruciate
forze defenestrate ma per niente
domate o patafisiche in nero in cinerino
smascherate, virate, creative nell'essere
puri colmi di morte della stessa morte. Questa è una fotografia da me scattata il 10/10/2005 dalla rocca di Asolo. Anche dal Castello di Marostica, si può constatare come la pianura veneta, obliterata dalla cementificazione, sia diventata ormai un cimitero di capannoni industriali.

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