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sabato 19 febbraio 2011

L'Arcadia dello spirito nelle Bucoliche di Virgilio

Epitafio sulla tomba di Virgilio: "Mantova mi ha dato la
vita, i Calabri me l'hanno rapita, ora Partenope mi tiene
con sé; ho cantato pascoli, campagne, eroi."
Voglio intercettare quella luce che indora l'uva sui colli solatii; voglio vivere la mia vita a contatto con la natura per avvicinarmi il più possibile alle espressioni del rapporto umano più vero: l'amore e l'amicizia. Voglio parlare di Virgilio (Publio Virgilio Marone), per immergermi nella quieta esistenza della vita campestre e allontanare momentaneamente l'inquitudine per le torbide vicende del berlusconismo che al momento soffocano il Bel Paese. L'apparente distanza degli argomenti trattati non impedisce, spero, che si faccia sentire la meditazione sugli avvenimenti contemporanei. Quanti di voi hanno sognato di fuggire dalla violenza del traffico cittadino, dall'annientamento e dal soffocamento dell'ombra di un palazzo di nove piani? quanti di voi sognano di rifugiarsi in una "Arcadia dello Spirito", in una campagna alla ricerca di un otium idealizzato, dove il tumulto e il timore non raggiungano la quiete dell'esistenza campestre, semplice, sobria, dedita alla bellezza? T.S. Eliot ha scritto a proposito della solitudine: "Tu strascuri e sminuisci il deserto, il deserto non è solo dietro l'angolo, il deserto è compresso nel vagone della metropolitana, è accanto a te, il deserto è nel cuore di tuo fratello". Questo per dire, che costruiamo frequentatissimi non-luoghi, come mastodontici centri commerciali,  dove paradossalmente ci sentiamo però sempre più soli. Ho già parlato in un post di come Francesco Petrarca, l’illustre poeta, quando scelse di stabilirsi ad Arquà Petrarca nel 1370, disse queste parole: "Fuggo la città come ergastolo e scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo".
01/05/2010 Gregge di pecore, fotografate sul monte Baldo dove mi reco spesso anche per passeggiate a cavallo.
Già, perchè nelle nostre città caotiche è impossibile coltivare il regno dello spirito, in cui si possano rinforzare gli ideali umani più profondi; è impossibile riflettere su un ideale di amicizia pura e incondizionata, sulla nostra infanzia e su tutte le piccole cose che ci davano quiete; è impossibile accorgerci dell'ombra protettiva degli alberi, del mormorio dei ruscelli, del quieto pascolare delle caprette quando le notizie delle guerre dei nostri giorni, ci riportano all'amara realtà uccidendo la leggerezza e la scherzosità. In questo post, quindi voglio guardare alla vita dei pastori, alle loro gare di canto, ai loro amori.


Nell'immagine il dio Pan, insegna a Dafni 
a suonare il "Flauto di Pan" (Pompei,ca. 100 a.C.) 

Virgilio è nato nella poesia. Quand'era in attesa del futuro poeta, la madre sognò di partorire un ramo di lauro, e di vederlo subito crescere fino al cielo. Storicamente il "ramo di lauro" venne alla luce il 15 ottobre del 70 a.C vicino a Mantova, nell'area di Pietole ed Andes. Virgilio, figlio di proprietari terrieri, conobbe negli allora incantati paesaggi della pianura padana, la vita e il lavoro della gente di campagna, che tanta parte ebbero nella sua ispirazione. Pensate che Virgilio, dopo aver composto le "Bucoliche" tra il 42 ed il 39 a.C, la sua prima prima opera compiuta, doveva fuggire per la strada all'importuno entusiasmo della gente durante i suoi soggiorni a Roma; in questo momento il popolo italiano acclama i partecipanti ai reality e ai talent show, un mondo dei balocchi effimero. Anche nelle "Georgiche",  composte tra il 37 ed il 30 a.C, il poeta celebra il lavoro dei campi, nella concretezza della coltivazione degli alberi e della vite, dell'allevamento del bestiame e delle api. Leggendo le  Bucoliche di Virgilio mi sono annotato tutte le parole chiavi che potessero alimentare quell'immagine per il tutto, che va sotto il nome di Arcadia e le ho trascritte qui di seguito; parole in disuso ("armenti", "farro" etc) che leggendo tutto d'un fiato, hanno il potere di portarci, come per magia, in un altro mondo. 

abete, acqua, aglio, agnelli, agnellino, allori, altare, alveare, amore, api, aquila, aratro, arco, argilla, argini, aria, ariete, armenti, arsura, avena, barba, bastone, bestia, bosco, buoi, cacio, cagne, cardo, calendule, camini, campagna, campi, campicello, cani, canna, canto, canzoni, capanna, capre, capretti, castagne, cavalle, cera, cerbiatti, cervi, cesto, cielo, cespugli, cicale, cigno,  cinghiali, citisio, città, colombe, contagio, contadino, cornacchia, corno, cotogne, covi, cuccioli, cuore, danza, dei, dio, dirupi, disgrazia, dolore, edera, elicriso, erbe, estate, faggio, falcetto, fanciullo, farro, fatica, fiere, filari, fiore, fiumi, flauto, focacce, focolare, foglie, fonti, formaggio, fragole, frasche, frassino freddo, fresco, frumento, frutti, fuliggine, fuoco, gelo, germoglio, gesta, ghiaccio, ghiande, ghirlanda, giacinto, gigli, ginepri, giogo, gioia, giovane, giovenche, giunco, gloria, gole, grappoli, gregge, grifi, grotta, ibisco, incenso, inverno, lana, latte, lauri, lavanda, leccio, legna, libertà, lido, linci, linfa, lupo,  madri, mandria, manico, mare, mele, mesi, messi, miele, mietitori, mirto, monti, more, muschio, narciso, nettare, nevi, nido, noccioli, noci, nubi, nuvole, oca, odore, olio, olivo, olmo, ombra, ontani, orgoglio, orticello, orzo, ovili, palude, papaveri, pascoli, pastori, pasture, pecore, pelo, peri, pesci, piana, piante, pianto,  pietà, pietra, piffero, pini, pioggerella, pioggia, pioppo, poeta, pomi, porcai, porpora, potatore, povertà, prati, primavera, prugne, querce, ramarro, rami, rasoio, rastrello, resina, riso, riparo, risparmio, ritmo, riva, roccia, roseti, roveto, rugiada, rupi, silvestre, salceto, salice, sambuco, sassi, schiavitù, scorza,selve, sera, serpe, serpillo, siepe, silenzio, soffio, sole, solchi, sonno, sorgenti, speranza, spiga, stalla, stelle, stelo, suolo, sussurro, tempietto, terra, Terra, tetto, timo, tori, torrenti, tortora, tracce, valichi, valli, valore, vampa, vento, verde, versi, viburni, vimini, viole, violetta, vino, vite, vitella, volpi, zampillo, zampogna, sefiro, zoccoli, zolle
Paesaggio amenico che ho recentemente fotografato nel viaggio in Scozia

Sono i processi di lunga durata che creano paesaggi stabilizzati, culturalmente identificabili, mentre i mutamenti di breve durata, creano paesaggi antagonisti, confusi, paesaggi del mutamento e della crisi. Questa è una massima che ho trovato nei libri di quel genio che era Eugenio Turri, massimo geografo italiano. Durante i miei viaggi, dove ho sentito veramente vicino il mondo egreste e bucolico tratteggiato da Virgilio è stato nelle isole greche dell'Egeo, in particolare Ios e Creta. In Italia invece ho sentito  tale sensazione avvicinandomi agli ulivi di Sirmione, vicino alla Grotta di Catullo e ad Arco di Trento in una spianata di ulivi che ho fotografato.
Video che ho girato alla Tomba di Omero; è l'Arcadia?

Eccovi alcuni passi tratti dalle Bucoliche: Qui tra i fiumi di sempre e le sorgenti sacre prenderai il fresco e l'ombra. Di qua la siepe - quella di sempre - sul limite vicino, dove le api iblèe succhiano il fiore del salceto, ti sedurrà col suo sussurro a abbandonarti al sonno. Di là, sotto l'alta rupe, canterà al vento il potatore; e intanto né le rauche colombe, che tu ami, né la tortora in cima all'alto olmo cesserà il suo pianto. 
Una capra che scruta l'orizzonte nel paesaggio egreste di Ios, dove mi sono recato più volte.


Così il pastore Melibeo nelle Bucoliche: Avanti mie caprette, gregge felice un tempo, avanti! Mai più vi guerderò, sdraiato in una verde grotta, arrampicarvi di lontano sul ripido roveto. Non canterò più canzoni; mai più, caprette, sarò il vostro pastore mentre brucate citiso fiorito e amaro salice. 
Sdraiarsi tra gli steli d'erba. Sentirsi in simbiosi con Madre Terra e con la Natura. Sorridere.  
Nelle gole di Samaria a Creta ho osservato in libertà gli ultimi esemplari di kri-kri, una razza locale di capre selvatiche minacciata di estinzione.

martedì 25 gennaio 2011

I poeti del lago non potevano che essere felici - Lake Poets could not but be gay

Immagini emozionanti che ho girato nel Lake District in Gran Bretagna. La musica "Nightwish - Sleeping Sun" me l'ha suggerita un vento del nord...

La macchina noleggiata per la vacanza in Inghilterra
Il Lake District, è una regione nel nord ovest dell'Inghilterra che ho recentemente visitato. La regione, famosa per i suoi laghi e le sue montagne, le più alte dell'Inghilterra, è una meta turistica ambita nel periodo primaverile ed estivo, forse più indicato per soggiornarci. Io non ho resistito ed avendone l'occasione l'ho visitata in pieno inverno. Ma ripeto, essendo la zona, la parte più umida dell'Inghilterra, con frequenti addensamenti di nebbia, è preferibile soggirnarci in primavera, altrimenti aspettatevi pochissime ore di luce e sole. Fin dai tempi dell'Impero romano, l'allevamento di pecore, è stata la principale industria della regione e non meravigliatevi di trovarne continuamente alla vostra destra ed alla vostra sinistra senza soluzione di continuità assieme ai muri a secco funzionali appunto alla pastorizia. Pensate che quando nel 2001 l'afta epizootica costrinse ad abbattere migliaia di pecore in tutto il Regno Unito ed in questa zona in particolare, si perse la centenaria memoria storica delle pecore che riconoscevano i pascoli non recintati e non si smarrivano, e questa conoscenza veniva tramandata tra le generazioni. Per ovviare al problema alcuni pascoli di montagna vennero prudentemente circondati di recinti elettrici. Il rischio è sempre quello di perdere la memoria storica.

Ho scattato questa foto e le seguenti  immergendomi nel paesaggio invernale dei Lake District

Veniamo al titolo, I Poeti del lago non potevano che essere felici. Sto parlando principalmente di Wordsworth, Coleridge e Southey. In particolare pensate che William Wordsworth, il fondatore del Romanticismo e soprattutto del naturalismo inglese, trascorse sessant'anni della sua vita a contatto con la natura lungo questi laghi e queste montagne, tanto cari alla letteratura inglese del settecento e dell'ottocento.
Ho scritto questo post appositamente per fotografare la relazione tra la cornice paesaggistica dei Laghi e le parole del poeta laghista. Il poeta ha immortalato il Lake District nella sua poesia, riconoscendo alla natura la capacità di infondere felicità nella vita di un uomo ("Lake Poets could not but be gay"). Non mi resta che riportare la poesia di Wordsworth "I Wandered Lonely as a Cloud" (Erravo solo come una nuvola), scritta nel 1804 ed ispirata dalla vista dei narcisi dorati in riva all'Ullswater; è considerata l'opera più famosa di Wordsworth.

Erravo solo come una nuvola
I wandered lonely as a cloud

Che galleggia in alto sovra valli e colline,
That floats on high o’er vales and hills,

Quando ad un tratto vidi una folla,
When al l at once I saw a crowd,

Una moltitudine, di narcisi dorati;
A host , of golden daffodils;

Accanto al lago, sotto gli alberi,
Beside the lake, beneath the trees,

Svolazzando e danzando nella brezza.
Fluttering and dancing in the breeze.


Continui come le stelle che brillano
Continuous as the stars that shine

E scintillano sulla via lattea,
And twinkle on the milky way,

Si stendevano in una linea senza fine
They stretched in never-ending line

Lungo il margine di una baia:
Along the margin of a bay:

Diecimila vidi a colpo d'occhio,
Ten thousand saw I at a glance

Scuotendo le loro teste in un vivace ballo.
Tossing their heads in sprightly dance.
 

Le onde accanto a loro danzavano, ma essi
The waves beside them danced; but they

Sorpassano le scintillanti onde in allegria
Out -did the sparkling waves in glee:

Un poeta non poteva che essere gaio,
A poet could not but be gay,

In una tale gioconda compagnia
In such a jocund company:

Guardavo fisso - guardavo fisso - ma poco pensavo
I gazed - and gazed – but little thought

Che ricchezza lo spettacolo mi aveva portato:
What wealth the show to me had brought:


Perché spesso, quando sul mio letto giaccio
For oft , when on my couch I lie

Di distratto o di pensieroso umore,
In vacant or in pensive mood,

Essi balenano su quell'occhio interiore
They flash upon that inward eye

Che è la beatitudine della solitudine;
Which is the bliss of solitude;

E allora il mio cuore si riempie di piacere,
And then my hear twith pleasure fills,

E balla con i narcisi.
And dances with the daffodils.




Un'altra peculiarità di questi luoghi è che il comune rispetto per le leggi e la precoce costituzione di un parco naturale "Lake District National Park" hanno fatto sì che la zona non venisse deturpata dal fenomeno delle seconde case o da mostri di cemento. Insomma non è avvenuto quello che avviene sostanzialmente in Italia. Nel XX secolo, in questa regione vi abitò anche la scrittrice per bambini Beatrix Potter, ambientandovi molti dei suoi famosi libri su Peter Rabbit.

venerdì 28 marzo 2008

Pellegrinaggio sentimentale alla casa di Francesco Petrarca ad Arquà (PD)


Dalla porta-finestra della stanza da letto di Franceso Petrarca (stanza di Venere), chiusa da un poggiolo in ferro battuto che sostituì nel 1690 l'originaria balconata in legno, si può vedere il panorama del monte Cero, a destra, del monte Castello, a sinistra.
Il Monte Cero, a destra, ed il monte Castello a Sinistra, a cui poteta rimirare costantemente il Petrarca ogni momento; le piramidi italiane del faraone Francesco Petrarca.
La casa di Francesco Petrarca ha a mio avviso un valore inestimabile per molteplici motivi, che vanno al di là del valore che può avere la casa museo di uno tra i più grandi letterati al mondo; la casa, insieme al paesaggio circostante bucolico e alle atmosfere del borgo di Arquà Petrarca (PD) che magicamente nel corso dei secoli si sono conservate, rappresenta tuttora adesso un coacervo di verità, che altrove non è più possibile cogliere. Se a tante domande non trovate risposte, ad Arquà Petrarca le potete ancora trovare. Io personalmente l'ho visitata decine di volte. Perfino la notte in cui l'Italia vinse i mondiali di calcio, dopo aver festeggiato tutta la notte, convinsi i miei amici a raggiungerla alle 4 di notte. Ed in un silenzio di tomba, trovai risposte anche allora. La pace e la serenità che trasmette questo luogo, permette infatti di meditare, pratica di difficile attuazione altrove.
Street, New York I , 1926, Georgia O'keeffe
(showed dramatic changes that transformed New York in the first half of 1900)
Francesco Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304. Fu forse Francesco il Vecchio da Carrara a donare, nel 1369, al Petrarca la Casa fra le cui pareti si spense nel 1374. Era un epoca dove persone come lui, venivano concretamente premiate dalla politica per le loro attitudini. Francesco Petrarca fu amico del Boccaccio, che lo venne a trovare più volte e che morirà un anno e mezzo dopo il poeta.

I protagonisti del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool
Francesco Petrarca, l’illustre poeta, quando scelse di stabilirsi ad Arquà Petrarca disse queste parole:
"Fuggo la città come ergastolo e scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo".

Stanza da letto del Petrarca (Stanza di Venere). Si notino la porta per accedere allo studiolo sulla destra e sulla sinistra la porta-davanzale con il panorama dei colli euganei.
Francesco Petrarca nel suo periodo patavino affrontò anche questioni di natura pratica e legate alla gestione della città. Un esempio di tali discorsi ce lo offre il Petrarca stesso nelle Epistole Senili (XIV, 1), da pari a pari, invitò il Da Carrara a occuparsi di un problema che affliggeva la città in modo serio. Contravvenendo allo statuto municipale, vi era l'abitudine di lasciare liberi i maiali per le strade, provocando ovvi inconveniente igienico-sanitari, ma ancor più risultando pericolosi per i cavalieri, spesso disarcionati dalle proprie cavalcature che si imbizzarrivano alla loro vista. Se i padovani, il Petrarca compreso, ormai subivano tale presenza con indifferenza per per la consolidata abitudine, così non era per i forestieri, che notavano con sorpresa l'incivile usanza. (anche al giorno d'oggi di notte e verso sera in giro per Padova ci sono dei "maiali" che spacciano droga, impunemente ed in barba a qualsiasi legge vigente. Ma purtroppo non c'è più un Petrarca che denunci con successo una simile situazione di degrado in cui è precipitata la città patavina). Il poeta ricordò al signore di Padova che le leggi della città prevedevano il sequestro degli animali lasciati incustoditi e suggerì di ripristinare in toto la prescrizione, facendola ribadire alla cittadinanza tramite il pubblico banditore e magari inasprendo le pene e istituendo un'apposita squadra di sorveglianti con il compito di portare via i maiali. Con uno spirito estremamente moderno per il suo tempo, asserisce il valore dell'aspetto e del decoro delle città quale requisito per un'ottimale qualità della vita di chi ci abita. Francesco Petrarca si interessa anche della salubrità dei Colli Euganei, esortando ad attuare lavori di bonifica.
"[...] tu Padova, nobilissima città, felice per posizione geografica e mite clima, vicina al mare, cinta da fiumi, ricca di fertili campagne, famosa per cittadini di vivace ingegno, celebrata nella storia per antico illustre nome [...]" (Francesco Petrarca, Familiari, XV 14) "Mi sono costruito sui colli Euganie una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti" (Francesco Petrarca, Senili XIII, 8, Lettera a Matteo Longo, 6 Gennaio 1371
Davanti alla casa c'è il giardino, sul retro il brolo.
Facciata della casa di Francesco Petrarca. Dopo la morte del Petrarca si succedettero diversi proprietari, ma la casa non subì sostanziali cambiamenti, nel rispetto del ricordo del poeta. Il mito della casa come luogo di memorie petrarchesche e meta di pellegrinaggio letterario e sentimentale. Addirittura nel Cinquecento si può dire diventò una specie di San Giacomo di Compostella letterario e laico. Paolo Valdezocco, proprietario della casa dal 1546 al 1556, fece aggiungere la loggetta e la scala esterna, dalla quale tutt'oggi si accede al primo piano, e fece dipingere alle pareti gli affreschi che ancora si possono ammirare, ispirati alle opere del Petrarca. Le scene sono dipinte nella parte più alta, mentre la parte sottostante delle pareti è illustrata con motivi ornamentali a imitazione dei tessuti di damasco
Il fregio pittorico della stanza centrale rappresenta sette scene ispirate alle allegorie della canzone petrarchesca "Nel docle tempo della prima etade", numero 23 del Canzoniere, nota anche come canzone della metamorfosi.
Il poeta è trasformato in un cigno. ("ond'io presi col suon color d'un cigno")
Laura ed Amore trasformano il poeta in pianta di alloro ("[...] facendomi d'uom vivo un lauro verde, che per fredda stagion foglia non perde")
Il poeta si lascia cadere sull'erba e dal gran piangere si trasforma in fonte ("Come huom che tra via dorma, gittaimi stancho sovra l'erba un giorno. Ivi accusando il fuggitivo raggio, a le lagrime triste allargai 'l freno et lasciaile cader come alor parve; né già mai neve sotto al sol disparve com'io sentì me tutto venir men, et farmi una fontana a pié d'un faggio") A destra, Laura strappa il cuore al poeta ("Questa che col mirar gli animi fura, m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano"). Al centro il poeta incontra Laura ma non la riconosce (Poi la rividi in altro habito sola, tal ch'i non la conobbi, oh senso umano") ed a sinistra Laura trasforma il poeta in un sasso ("Tosto tornando, fecemi, oimè lasso, d'un quasi vivo et sbigottito sasso")
Il cervo inseguito dai cani: "Una sfera m'apparve da man destra, con fronte humana, da far arder Giove, cacciata da duo veltri, un nero, un biancho". Studiolo del Petrarca, luogo di lavoro e di meditazione,dove egli conservava i suoi preziosi e amati libri, e dove nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374 morì. Nello studiolo si conservarono la seggiola e il vetusto armadio-libreria che sarebbero stati usati dal Petrarca, secondo una tradizione attestata sin dal Cinquecento.
Vittorio Alfieri così ricorda la sua visita nel 1783 con riferimento allo studiolo
O cameretta, che già in te chiudesti
quel grande, alla cui fama angusto è il mondo; quel si gentil d'amor mastro profondo
per cui Laura ebbe in terra onor celesti:
o di pensier soavemente mesti
solitario ricovero giocondo;
di quai lagrime amare il petto inondo,
nel veder ch'oggi inonorata resti!
Prezioso diaspro, agata, ed oro
foran debito fregio, e appena degno
di rivestir sì nobile tesoro.
Ma no: tomba fregiar d'uom ch'ebbe regno vuolsi, e por gemme ove disdice allor:
qui basta il nome di quel divo ingegno.
(Vittorio Alfieri, Rime, XLI)
La morte di Laura: "Alfin vid'io per entro i fiori et l'erba pensosa ir sì leggiadra et bella donna"
Particolare: Altichiero "Petrarca tra i notabili" Padova, oratorio di San Giorgio
Sulle pareti di alcune stanze sono visibili alcune iscrizioni di alcuni studenti (studenti austriaci del 1544 ad esempio) a ricordo della loro visita. Per ovviare all'usanza di apporre la propria firma sulle pareti della casa, fin dal 1787 furono messi a disposizione dei visitatori i cosidetti Codici di Arquà, registri dover poter lasciare il proprio nome, un pensiero, una poesia a testimonianza del pllegrinaggio ai luoghi petraarcheschi.
Luigi Ceccon, Francesco Petrarca, 1874. Monumentale statua del poeta che si può ammirare al piano terreno della casa di Arquà.
L'accesso ad Arquà Petrarca.
Famosa nella casa è la gatta imbalsamata,una delle curiosità più note e di richiamo della casa, che secondo la tradizione sarebbe la gatta domestica del poeta che gli faceva compagnia nelle ore di studio e di solitudine, come è raffigurato nell'affresco della Sala dei Giganti in Padova. In verità si tratta di una invenzione dei primio anni del Seicento.
Arca in marmo rosso, Tomba di Francesco Petrarca ove il Petrarca vi fu tumulato nel 1380 Sullo sfondo la chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta. Sull'attuale sagrato della chiesa, fino al al XIX secolo adibito a cimitero, vi è la tomba del poeta, edificata nel 1380 dal genero Francescuolo da Brossano suo erede testamentario. Sulla sommità dell'arca la testa in bronzo del poeta, ora sostituita da una copia, il cui originale è esposto proprio nella casa.
La tomba del Petrarca fu meta di reverente pellegrinaggio fin dalla sua erezione, ma anche di un ossessivo fanatismo per il culto del poeta, che provocò parecchi violazioni e depredazioni del sarcofago (nel 1630 il sarcofago fu aperto e furono asportate alcune ossa del braccio destro, mai ritrovate). Tra i tanti visitatori illustri della casa si annoverano Lord Byron (1817), Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo e tanti altri.
Sul sarcofago, sostenuto da quattro pilastri, vi è incisa l'epigrafe che sarebbe stata dettata dallo stesso poeta "Questa pietra ricopre le fredda ossa di Francesco Petrarca; accogli Vergine Madre la sua anima; tu o Figlio della Vergine, perdona. E possa essa, stanca ormai della terra, riposare nella rocca celeste." (Frigida francisci palis hic tegit ossa Petrace; suspice virgo parens animam; sate virgine parce. Fessaq(ue) iam terris celi requiescat in arce M CCCLXXIIIJ XVIIIJ JULIS")
Visione notturna della Tomba di Francesco Petrarca. Nel suo testamento F. Petrarca scrisse "Se chiudessi i miei giorni in Arquà, dove è la mia casa di campagna, e Dio mi avesse concesso quel tanto desidero, di costruire cioè una modesta cappella in onore della Vergine, in essa prescelgo di essere seppellito. Se no più in baso, in luogo decoroso presso la pieve." (la cattiva abitudine di riesumare i cadaveri di illustre personaggi, come ultimamente è successo per Padre Pio c'è sempre stata se si pensa che anche la tomba di Francesco Petrarca fu aperta nel 1873, e vennero prese le misure antropometriche dello scheletro del poeta.
Nuovi nuclei abitativi ad Arquà Petrarca e sullo sfondo il monte Cero.

Arquà Petrarca, insieme ad Asolo ed ai suoi colli, è riuscita nei secoli a conservare intatto il paesaggio che la circonda. La speculazione edilizia in queste zone, tuttavia è sempre in agguato. D'altronde, l'uomo soffocato nella pianura veneta da un cimitero di capannoni industriali abbandonati, da strade trafficate ed inquinamento dilagante, tenderebbe a rifugiarsi costi quel che costi in questi posti che invece hanno resistito meglio all'antropizzazione.
Un esempio di casa ideale a mio avviso. Chi non sognerebbe una casa così?
Il Petrarca amava le piante; nel suo giardino piantò l'alloro, la vite, il pomo e le piante aromatiche quali il rosmarino, l'issopo, il marrobbio.
I dintorni del borgo di Arquà Petrarda si contraddistinguono per il verde lussureggiante e la possibilità di effettuare lunghe passseggiate in un contesto unico nel suo genere. Qui l'unica fonte di inquinamento rilevante è un cementificio con un indotto importante (che per chi si avvicina ad Arquà Petrarca è comunque un pugno in un occhio), che però non è riuscito a rovinare lo spettacolo scenico di questi colli tanto cari al Petrarca.


Vagando per le ripide vie di Arquà, si può ancora cogliere un'atmosfera medioevale che a ragione contribuisce a rendere il borgo famoso. Ancora oggi il borgo è imbevuto della presenza del poeta, e si può dire che ogni pietra parli di lui e della sua poesia, infondendo al visitatore la stessa tranquillità e la stessa serenità che l'anziano poeta potè trovare nel suo soggiorno euganeo.
Il verde lussureggiante nei pressi di Arquà Petrarca (PD)

A 19 km a sud-ovest di Padova, a Valsanzibio di Galzignano, in una conca circondata da amene colline poste ad anfiteatro, si trova villa Barbarigo, oggi Pizzoni Ardemani, cinta da un’ eccezionale testimonianza di giardino secentesco, uno tra i più importanti ed integri in Europa e definito "perla degli Euganei". Copre oltre 150.000 mq e comprende il famoso labirinto antico di bossi, che si sviluppa per oltre 1.500 metri lineari (il solo labirinto, con quello di Villa Pisani, a Stra, che si sia conservato nella nostra regione). II giardino meraviglioso è inoltre caratterizzato da un ricco patrimonio di viali, aiuole fiorite, statue (in buona parte opera del Merengo), giochi d’acqua, fontane e decorazioni architettoniche volte ad accentuarne la vastità e la pittoricità. L’ingresso della villa serviva anche di approdo alle barche giunte attraverso la valle da pesca di Santo Eusebio, da cui il nome "ValSanZibio". Un tempo estesa a tutta la pianura la "Valle" oggi si limita al laghetto preservato per rispecchiare l'elegante costruzione.



Video dalla stanza da letto di Francesco Petrarca (PD)

domenica 9 dicembre 2007

Andrea Zanzotto: chi salverà il veneto dal cemento?


Il Poeta Andrea Zanzotto
Zanzotto è diventato l'anima dei comitati che tutelano il paesaggio veneto (http://www.paesaggivenetisos.org ), il fulcro intorno al quale si sta stringendo la rete delle associazioni ambientaliste.
Nel giorno in cui, Legambiente dichiara fuori legge 7 citta' su 10 per lo smog, è doveroso parlare di Andrea Zanzotto.
Roma, 8 dic. - (Adnkronos) In fatto di legge su Pm10: 7 citta' su 10 fuori legge, dal 1 gennaio ad oggi Torino e' risultata la piu' inquinata, seguita da Venezia-Mestre e Verona. E' quanto e' emerso nel corso dell'8° congresso nazionale di Legambiente. Il 70% delle emissioni di Pm10 (polveri sottili) e' dovuto al traffico. Negli ultimi dieci anni, inoltre, le emissioni da CO2 da trasporto stradale sono aumentate del 18%.Legambiente in una nota suggerisce di "Scoraggiare il trasporto privato con il ticket urbano" in considerazione del fatto che si sono verificati: 149 giorni di superamento a Torino, 127 a Venezia, 121 a Verona. E ancora, 116 a Vicenza, 115 a Cagliari e Padova, 110 a Reggio Emilia. E poi 107 a Lodi, 106 a Frosinone, 100 a Milano e Pesaro. Secondo Legambiente e' un quadro nero quello rilevato dalla centraline di rilevamento delle polveri sottili nelle maggiori citta' italiane. I dati sul PM10 (aggiornati al 25 novembre scorso) riportano un numero impressionante di superamenti giornalieri della soglia consentita dalla legge (che fissa, dal 2005, il valore limite medio giornaliero per le polveri sottili a 50 g/mc, che puo' essere superato al massimo per 35 giorni all'anno). "Questo bonus - dicono a Legambiente - e' stato invece gia' ampiamente consumato da 47 citta' su 68 (sette citta' su dieci)". In particolare l'associazione ambientalista ritiene che si debba passare al "pay per use", introducendo "forme di ticket urbano per le automobili al fine si scoraggiare il trasporto privato recuperando nello stesso tempo risorse per il trasporto pubblico.


Come presentare un poeta se non riportando una sua poesia?

Andrea Zanzotto Da "Dietro il paesaggio" Elegia Pasquale Pasqua ventosa che sali ai crocifissi con tutto il tuo pallore disperato, dov'è il crudo preludio del sole? e la rosa la vaga profezia? Dagli orti di marmo ecco l'agnello flagellato a brucare scarsa primavera e illumina i mali dei morti pasqua ventosa che i mali fa più acuti E se è vero che oppresso mi composero a questo tempo vuoto per l'esaltazione del domani, ho tanto desiderato questa ghirlanda di vento e di sale queste pendici che lenirono il mio corpo ferita di cristallo; ho consumato purissimo pane Discrete febbri screpolano la luce di tutte le pendici della pasqua, svenano il vino gelido dell'odio; è mia questa inquieta gerusalemme di residue nevi, il belletto s'accumula nelle stanze nelle gabbie spalancate dove grandi uccelli covarono colori d'uova e di rosei regali, e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario dei propri lievi silenzi. Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra le bocche non sono che sangue i cuori non sono che neve le mani sono immagini inferme della sera che miti vittime cela nel seno.




In un belissimo articolo su la Repubblica del 7 Dicembre, così si parla di Andrea Zanzotto.
"Da Pieve di Soligo, dove si alzano le Prealpi Trevigiane, lo sguardo di Zanzotto si allunga oltre il paesaggio veneto, scavalca la laguna e l'inferno di Marghera e arriva fino in Cina, 'il paese in cui lo sconquasso ambientale corre al ritmo di un capitalismo vorace, perché viaggia con i metodi autoritari del partito comunista', dice il poeta. Ma è la pedemontana, sono l'altopiano di Asiago, il Montello e il Piave la ragnatela alla quale restano avvinghiati i suoi versi. E anche le sue battaglie perché non tutto di queste colline venga devastato dal cemento degli stabilimenti industriali e delle villette. [...] Dopo la guerra si costruiva perché c'era bisogno, continua Zanzotto. Le case erano distrutte. C'erano i soldi del Piano Marshall. Disordinatamente, ma si raggiunsero 'gradini sopportabili di decenza'. 'Poi questo slancio si affievolì'. E come siamo arrivati ad oggi? 'Si è voluto ottenere il massimo con il minimo costo, ma poi il costo è stato altissimo. Il mito della ricchezza facile è un febbrone che ha il potere di distruggere l'organismo. E questo territorio è stato incrostato di stabilimenti che ora sono vuoti perché è più conveniente produrre all'estero, di centri commerciali dove - è accaduto un po' di tempo fa - un operaio è morto schiacciato e il suo corpo è rimasto coperto da un lenzuolo, mentre la gente entrava a far compere'. E il paesaggio che lei ricorda? 'Se potessi vederlo da un aereo non riconoscerei più nulla, ma passeggiando si può ancora scorgere qualche angolo che alimenta la facoltà dell'immaginazione. Prenda il Piave. Era un fiume torrentizio. Ora è asciutto in tanti tratti, eppure quelle linee d'argento che attraversano il suo letto continuano a nutrire la creazione mitica.'" (da F. Erbani, Andrea Zanzotto. Chi salverà il Veneto dal cemento, "La Repubblica", 07/12/'07)

Questa poesia di Zanzotto è inedita, viene esposta alla mostra fotografica "L'altra Venezia" al Molo K di Marghera.
Fu Marghera
Vuoto come denti cavati
quadri e intarsi di nulla diversi
l'abbandono non è
né morte né liberazione
l'abbandono è crollo disarticolazione
è strappo di colori e di forme del nulla
che non si rivelò più creante
che in questa spenta saccagnata ridda
secche scadenze dei fuochi del niente
sono bocche sdentate pelli bruciate
forze defenestrate ma per niente
domate o patafisiche in nero in cinerino
smascherate, virate, creative nell'essere
puri colmi di morte della stessa morte. Questa è una fotografia da me scattata il 10/10/2005 dalla rocca di Asolo. Anche dal Castello di Marostica, si può constatare come la pianura veneta, obliterata dalla cementificazione, sia diventata ormai un cimitero di capannoni industriali.

sabato 17 novembre 2007

Kuki Gallmann, una veneta africana, cittadina del mondo.

Tratto da un articolo a cura di sandro murtas Pubblicato il 28/08/2004

"Trasferitasi dall'Italia In Kenya negli anni '70, seguendo l'amore per Paolo Gallmann, suo secondo marito, ma anche il suo istinto e..... forse già da allora, il suo destino. Portò con sè anche Emanuele, suo figlio, e un pò di nostalgia per la campagna veneta, dove aveva passato la sua infanzia. Penso che lei abbia sempre avuto il Kenya dentro, l'amore per gli spazi sconfinati e la natura allo stato puro; infatti al suo arrivo a "Ol Ari Nyiro", scrutando oltre la casa da riassestare e vedendosi la maestosità dell'antica Rift Valley, esclamò qualcosa come: "sono a casa!" Aveva trovato ciò che stava cercando! Dal quel momento, niente l'avrebbe più sradicata da quell'"Eden", neppure le peggiori tragedie che possano capitare ad una persona : la perdita della persona che si ama e, ancor più, del proprio figlio!! Perchè "perdere l'amato compagno è un dolore atroce, ma perdere il proprio figlio è contro natura".
Paolo Gallmann morì nel 1980, in un incidente stradale, qualche mese prima della nascita di Sveva, loro figlia. Emanuele si spense tre anni dopo a soli 17 anni, nelle braccia della madre, a causa di un morso di vipera dalla quale stava estraendo il veleno; i serpenti erano la sua passione fin dal primo momento che mise piede in Kenya: una specie d'attrazione mistica e fatale! Mi piace pensare che la prima parola di swahili che Ema abbia imparato sia "nyoka"( serpente ).
Sembrerebbe la tragica fine di una storia finita, invece è soltanto l'inizio di una grande impresa, di una missione che solo la caparbietà e la forza di una grande donna aiutata dalla onnipresenza di due spiriti che l'hanno sostenuta e le danno man forte nei momenti difficili. Si, perchè Paolo ed Emanuele sono scomparsi solo materialmente, ma i loro spiriti dimorano sotto due alberi di acacia nel giardino di Kuti; gli stessi alberi simbolo della ovvero la causa per cui la famiglia Gallmann si è sempre battuta da quando è arrivata in Kenya: la salvaguardia del patrimonio naturale e faunistico e la sua coesistenza con l'uomo ed il suo progresso. Nel 1980, quando l'uccisione di rinoceronti ed elefanti divenne una grande minaccia, Paolo e Kuki fecero diventare Ol Ari Nyiro, 100 mila acri di terreno sugli altopiani kenioti, ai piedi della Grift Valley, una riserva naturalistica, intenti a preservare la vita e le bellezze del posto. Nel 1984, dopo la scomparsa di Ema, Kuki Gallmann fondò in memoria del figlio e del marito, il GMF (Gallmann Memorial Foundation), volendo dimostrare l'armoniosa coesistenza dell'uomo con la natura e la vita selvaggia; infatti nella tenuta vivono e lavorano diverse tribù indigene e trovano spazio elefanti, rinoceronti, leopardi e tantissime altre specie di animali immersi in una ricchisssima e varia vegetazione. Il GMF è oggi anche un centro studi ed educazione ambientale per i giovani kenioti che affrontano dei corsi per prepararsi a difendere l'ambiente in cui vivono. Tutto questo senza scopo di lucro! Questa donna è riuscita a superare mille ostacoli e le asperità di una terra, il Kenya, che tanto dà, ma che tantissimo pretende; è riuscita a fare di una tragedia familiare una ragione di vita, e ogni giorno onora la memoria di Paolo e Emanuele con il duro lavoro di chi ama profondamente quella terra. Dal 1997 cittadina Keniota, può contare sull'aiuto di sua figlia Sveva, oramai ventenne, e di tuuti coloro che hanno capito quanto grande e giusta è la sua impresa. Kuki Gallmann ha scritto alcuni libri, di tipo biografico, che oltre a farci conoscere la sua esistenza, ci danno una immagine reale del Kenya degli ultimi 25 anni: la vita, le persone e i fantastici paesaggi di un posto dove il tempo sembra essersi fermato. I libri sono : "Sognando l'Africa"(tradotto in 21 lingue e fonte d'ispirazione dell'omonimo film); "Notti Africane"; "Il colore del vento"; "Elefanti in giardino".

Sveva Gallman

La successiva intervista alla poetessa e scrittrice Kuki Gallmann è stata realizzata da Valentina Acava Mmaka, una giovane sociologa, che ha vissuto dalla nascita in Sud Africa.

Cara Kuki, ti ringrazio di questo incontro. Siamo sulle colline del Mukutan, davanti a noi le gole della Grande Rift Valley. Le nostre schiene appoggiate sul tronco nodoso di un'acacia della febbre gialla, è qui che vieni spesso a ricevere le suggestioni che madre Africa dispensa ai suoi "figli" e a scrivere. Invitiamo i tuoi lettori a sederci accanto nel cerchio caro alle tradizioni dei cantastorie, per ascoltare e confrontarsi.Da trent'anni vivi in Africa, in Kenya. Nei tuoi libri questa straordinaria terra è raccontata sempre, anche nei momenti di reale drammaticità, con uno sguardo positivo, come se inevitabilmente essa fosse dispensatrice di bene. Dici di aver sempre amato la scrittura. Quando hai cominciato a scrivere con l'intenzione di uscire allo scoperto e cercare il confronto con i lettori?

Il mio primo libro è stato una catarsi. Non avevo intenzione di pubblicarlo. Lo scrissi per me, per mia figlia così che potesse capire cos'era accaduto, vedere con i miei occhi un padre che non aveva conosciuto, essendo nata qualche mese dopo la sua morte, e un fratello che aveva adorato. Lo scrissi per Paolo e per Emanuele per onorare la loro memoria. Un amico inglese, editore, mi convinse a pubblicarlo. Mi disse che altri genitori forse sarebbero stati aiutati dal mio atteggiamento positivo nel reagire alle tragedie. Allora mi sembrava impossibile. Ma si è rivelato vero.

C'è qualcuno o qualcosa che ha influito sulla tua necessità di scrivere?

Sono cresciuta in una famiglia colta dove artisti, pittori e soprattutto scrittori erano di casa. Fin dalla prima infanzia, sono stata affascinata dal suono e dalla musica delle parole. Con mio padre, leggevamo poesie a due voci, momenti magici. Mia madre è una nota storica d'arte. Mio padre scriveva. Amava i viaggi nel Sahara e si occupava di archeologia.Sono estroversa, e scrivere è sempre stato il mio modo di esprimermi, e anche un rifugio. Giovanni Comisso e Goffredo Parise erano amici della mia famiglia e commensali abituali alla nostra tavola. Io ascoltavo. Non mi sfuggiva niente. Scrissi la mia prima poesia a sei anni. S'intitolava La sera.

Tu scrivi i libri in inglese. Molti scrittori, mi vengono in mente Joseph Conrad o Samuel Beckett, hanno scelto di scrivere in una lingua diversa dalla loro lingua madre. Tu come mai scrivi in inglese? Perché secondo te si fa la scelta di una lingua letteraria diversa da quella madre?

È la lingua corrente del luogo dove ho scelto di vivere ed è ricchissima di sfumature, sintetica e precisa, che spiega benissimo dettagli e nuances in una parola sola. È una lingua internazionale che si può parlare raffinatamente, come ogni altra lingua, e forse gli studi di lingue classiche del liceo mi hanno aiutata a carpirne i segreti, perché dopo tutto, le parole più belle provengono dal latino.

Lo scrittore keniota Ngugi wa Thiong'o da anni ha fatto la scelta di scrivere solo nella lingua kikuyu, accendendo una intensa discussione sulla opportunità di "abbandonare" la lingua dei colonizzatori, in quanto scrittore africano, perché portatrice di falsi valori e soprattutto incapace di rappresentare lo spirito della gente africana. Come scrittrice e osservatrice dell'attività letteraria africana, che cosa ne pensi?

È una scelta personale, certamente dettata da motivi profondi e come ogni scelta va rispettata. Ma se si vuole che ciò che si dice sia ascoltato da molti e non solo da un numero ristretto di lettori, credo che un linguaggio universale sia più efficace. Non dimentichiamoci che in Kenya ci sono 43 tribù e ognuna ha una lingua diversa. Il kikuyu è una di queste lingue ma non è la lingua nazionale del Kenya. Posso tuttavia dire che le traduzioni dei libri non sempre riescono a trasmettere con successo il senso profondo del testo, talvolta si travisano i significati o si traduce troppo alla lettera, è anche per questo motivo che io traduco personalmente in italiano tutti i miei libri. Per quanto riguarda l'esempio di Ngugi wa Thiong'o credo che politica ed estremismo non abbiano alcuna parte nell'arte dell'espressione.

La scrittura è un esercizio che richiede solitudine. L'Africa dei grandi spazi offre questa condizione ideale per chi scrive. Qual è il tuo rapporto con la solitudine?

Io vivo sola - con i miei cani - e le mie giornate sono pienissime; scrivo di notte. Amo molto "ascoltare" il silenzio come diceva Emanuele. Il silenzio in Africa è pieno di voci e la solitudine è piena di presenze.

Che cosa rappresenta per te la scrittura? Hai sempre scritto di te, dei tuoi incontri, delle tue emozioni, dei tuoi affetti. Hai mai pensato di scrivere altre esperienze, storie che abbiano per protagonisti personaggi di invenzione?

Giovanni Comisso diceva che tutti i libri - quelli buoni - sono autobiografici. Finora i miei libri sono stai raccontati in prima persona, ma ci sono anche molti personaggi nati da persone che ho incontrato, conosciuto e amato. Ho altre storie e quando verrà il tempo giusto, le racconterò.

Come nascono i tuoi libri?

Mi siedo alla mia scrivania o sotto un albero e lascio venire i ricordi. Amo raccontare e dipingere con le parole.

Hai composto anche poesie. Cosa esprimi di diverso rispetto alla narrativa quando scrivi poesia?

Immediatezza. Cogliere l'essenza di un attimo.

Chi scrive ha sempre a che fare con la memoria. Platone diceva che la memoria è come un albero sui cui rami si posano gli uccelli. L'albero è la mente e gli uccelli sono i ricordi che vanno e vengono all'albero quando meno ce l'aspettiamo, senza preavviso. Condividi questa descrizione? Qual è il tuo rapporto con la memoria?

È una descrizione bellissima, che non conoscevo e che condivido. Spesso i ricordi ci colgono impreparati, sono inevitabili. Tutto ciò che abbiamo vissuto è scritto per sempre dentro di noi e può riemergere in ogni istante.

Nella tua vita, quella che emerge dai racconti, c'è una forte presenza di simboli, di ritualità: il fuoco, il racconto, la musica sono "forze" che hai acquisito confrontandoti quotidianamente con la civiltà africana?


Può darsi.

Nei tuoi libri si parla molto di musica. Che rapporto c'è tra musica e letteratura?


La musica è evocativa, immediata. La musica classica, il flauto delle Ande, la musica veneziana del settecento sono spesso il sottofondo delle mie sere. O il concerto impeccabile delle voci della natura, che non disturba, è nobile e aiuta il fluire dei pensieri.

La memoria dell'Africa è colma di perdite e di dolori. Qual è il tuo rapporto con il dolore?

Il dolore psicologico è una reazione a una ferita del destino. Si deve vivere il dolore fino in fondo per superarlo e andare avanti, trovare uno scopo, vivere le proprie sfide fino in fondo..

Cosa ti ha insegnato l'Africa in quanto donna, madre, moglie, figlia?

Ad accettare, ad imparare le lezioni della vita, ad andare avanti.

Quali sono le ore della giornata che dedichi alla scrittura?

La notte, di solito, o le lunghe sere.

Come scrivi? (a mano, a macchina, con il computer)

Dipende da dove mi trovo. Spesso a mano e poi in un secondo momento riporto tutto sul computer.

Hai degli autori, dei "padri" e delle "madri" letterarie che ti accompagnano nella tua crescita personale e professionale?

Sì, penso alla poesia di Giovanni Pascoli; a Leopardi; a Dante, soprattutto il quinto canto dell'Inferno; e poi St. Exupery; Wilfred Thesiger; Llewellyn Powys; Karen Blixen.

Hai dei rapporti diretti con la letteratura africana?

In Africa orientale la tradizione è soprattutto orale. I canti delle donne Pokot , Turkana, Sambuu sono come un suono della natura.

Qual è l'immagine o l'incontro più bello che ti lega all'Africa?


Mille ricordi ... Cheptosai Selale, la vecchia donna delle erbe. Una vera amica. Ne parlo nel mio ultimo libro. Joseph, Michael. Incontri speciali. Sedermi tra la tomba di Paolo e quella di Emanuele, sotto gli alberi che sono diventati, e poterli sentire vicinissimi. Sveva, la sua bellezza radiosa la sua mente vivace e intelligentissima. La foresta di Enghelesha protetta con le sue creature e i suoi misteri e il lago Baringo, uguale nella lontananza della valle del grande Rift. La luna piena sul mio prato e gli storni, come usignoli.

Sei fondatrice della Gallmann Memorial Foundation che si occupa di salvaguardare il territorio africano, coinvolgendo i giovani in corsi di educazione ambientale e sviluppo sostenibile. In che modo la letteratura c'entra con l'impegno di tutelare l'ambiente?
Ritieni che i tuoi libri contengano anche un messaggio in tal senso?


Spero proprio di sì altrimenti avrei fallito nel mio intento. Tutto ciò che faccio dalla morte di mio figlio, è cercare di proteggere l'ambiente in cui lui - e Paolo- era vissuto e dove ora vivo io e sua sorella- sua figlia. Cerco di fare qualcosa per lasciare un segno; qualcosa che non sarebbe avvenuto se Paolo e Ema non fossero vissuti e morti qui in Africa. Attraverso i miei libri si respira la vitalità della natura e delle sue infinite specie che vanno salvate dalla distruzione umana perché tutte contengono la nostra storia.

La tua Fondazione ha recentemente istituito dei concorsi letterari. Come ti è venuta questa idea e a chi sono rivolti?

Aiutare la creatività è importante, perché è al di la della politica, del tempo della guerra. Amo e rispetto i giovani e voglio aiutarli. Questo è per giovani poeti Kenyoti.

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