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martedì 1 luglio 2014

Anno dopo anno le dighe del MOSE ci uccideranno subdolamente più di quella maledetta diga del Vajont.

Sono stato in quel santuario che è il Vajont diverse volte, pregando e auspicando che, come i medici si sottopongono al giuramento di Ippocrate, gli ingegneri e gli architetti prima di iniziare ad eserciatare le loro professioni, si rechino davanti a quella diga a giurare che mai e poi mai abbandoneranno le ragioni della logica per far spazio a quelle del profitto. Quello che fa male di questa tragica storia, oltre alle 2000 vite spazzate via senza neanche il tempo di scambiarsi l'ultimo gesto d'amore e quel vuoto lancinante che ancora annichilisce l'anima, è che c'era una vocina inascoltata, quella di una giornalista dell'Unità, scrittrice e partigiana italiana, a nome Tina Merlin. Una rompiscatole. Denunciava quella diga maledetta, la diga del disonore, prima ancora che fosse effettivamente messa in funzione. Inascoltata dalle istituzioni, la giornalista fu denunciata per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico". C'è una cosa che deve destare le nostre coscienze adesso più che mai. Tina Merlin denunciava i soprusi e le malefatte dell'ente adibito alla costruzione della diga, la società S.A.D.E., quale «Stato nello Stato». Le migliaia di morti del Vajont non hanno mai avuto giustizia esattamente come non l'hanno avuta le centinaia di morti del petrolchimico di Marghera anch'esso voluto, come la diga del Vajont, dal conte di Misurata Giuseppe Volpi.
Dal Vajont al Mose grazie a Tina Merlin.
Passiamo con un volo pindarico dalla S.A.D.E al MOSE. Lasciamo stare per un attimo l' ipotesi più nefasta, che rimanda proprio al Vajont, che vedrebbe la possibilità che tutte le paratoie entrino in risonanza a causa delle onde, fino al collasso dell'intero sistema. Voglio accantonare questa ipotesi catastrofica anche se Tina Merlin ci imporrebbe di parlarne. Ma c'è qualcosa di ancora più subdolo. Un passaggio che richiede forse uno sforzo mentale anche da parte vostra, per capire perché anno dopo anno le dighe del MOSE ci uccideranno più della diga del VajontIl vero affare del MOSE, quello di cui nessuno parla perché è semplicemente disumano parlarne, è la manutenzione, ordinaria e non.  La manutenzione costerà oltre 20 milioni di euro l’anno e ogni manovra delle paratie costerà 250 mila euro (con dieci alte maree l’anno sarebbero già altri 2,5 milioni di euro). Le salatissime pulizie subacquee. Costi quel che costi per difendere l'investimento iniziale ci spremeranno come limoni, noi, i nostri figli e così via fino all'ultimo centesimo. Ora, noi comuni mortali sono anni che ci contiamo come sopravvissuti, che ci guardiamo negli occhi, questa crisi la sentiamo. Quanti si sono suicidati ieri, quanti lo faranno domani, semplicemente non ce la facciamo più. Un debito pubblico oltre i 2000 miliardi di euro, un buco dell'ipocrisia che ci uccide, inghiottendoci subdolamente in tanti modi. Era depresso, ultimamente non sorrideva più, era stanco di vivere. Non sappiamo più che altri termini usare. L'Italia ha smesso di essere spensierata, la felicità se ne è andata da un pezzo. Un esempio di qualche giorno or sono, « Disperato e deluso dalla vita, si è gettato nel vuoto di fronte alla diga del Vajont» Impossibile dimostrare il nesso tra una tangente pagata e una vita spezzata. Le persone si spengono, smettono di sognare, qua e là a macchia di leopardo in innumerevoli articoletti sparsi sulla cronaca dei quotidiani locali dimenticati il giorno dopo. Ci manca la visione d'insieme che ci mostrerebbe i mandanti di quelli che sono in verità omicidi. Da Tangentopoli a questa Venetopoli, i tanti Mazzacurati, i Meneguzzo, in generale questa classe politica, imprenditoriale, ecclesiastica, accademica ha sulla coscienza molte di queste morti, una per tutti quella di Angelo di Carlo. Ogni manovra delle paratie costerà 250 mila euro? Sembra che ci diano due alternative. La morte rapida sulle montagne del Vajont. Quella lenta, per debiti, in pianura. Non era forse anche il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico statale per la realizzazione del Mose, uno «Stato nello Stato» secondo Tina Merlin?

domenica 30 agosto 2009

La voce di due faggi che piangono sul Vajont


Questa è la seconda volta che mi addentro nel dolore del Vajont. La prima volta era per capire, la seconda è per approfondire. Ci tornerò ancora. Per approfondire, ho scelto un passo da "Le voci del bosco" di Mauro Corona.
Vi è un posto, al mio paese, nel quale si può udire la voce di due faggi che piangono.


Non ho mai saputo il perchè di questo lamento (non hanno voluto dirmelo), ma li vedo sempre abbracciati, le teste reclinate, come a sostenersi a vicenda nel dolore straziante. Da Casso, il paesino sospeso sulla rupe, sopra la diga del Vajont, si prende l'antico sentiero dei carbonai, in direzione di Longarone.

Sciretti Alberto, antica strada dei carbonai

Dopo dieci minuti di cammino, alla fine del muro in pietra sul quale sta fissata la targa bronzea in omaggio alle portatrici, subito a sinistra della via, si trovano i due faggi piangenti.

Aspettate che passi un po' di vento a muoverli e da quei tronchi uscirà un suono dolcissimo e struggente come un pianto lontano e misterioso.
Sciretti Alberto con i faggi piangenti descritti da Mauro Corona
È una vocina sottile, incredibilmente malinconica e triste. Pare provenga dai remoti confini del mondo e si rimane incantati dalla sua straordinaria melodia.

Nelle sere d'autunno, quando la solitudine comincia a pesare e l'ombra dell'inverno s'avvicina, mi reco spesso in quel luogo e sto seduto per ore, sul margine tranquillo della via, ad ascoltare l'incredibile lamento dei faggi piangenti.

Frana del monte Toc.
Diga del Vajont vista dall'antico sentieri dei carbonai.
Paesaggio con la valle del Piave visibili dai faggi piangenti
Vajont è terra di fede. Il capitello a Casso con sullo sfonto la frana. Un targa riporta "Resisteva all'onda. 9 Ottobre 1963"

venerdì 21 novembre 2008

Mauro Corona: writer, sculptor and Italian climber.

"Mio nonno parlava con gli alberi, e li rispettava per l'uso che ne faceva. Mi chiedeva di tenere le mani attorno alla corteccia quando la incideva per fare innesti. Era convinto, e lo sono anch'io, che in quel momento l'albero provava paura, tremava e veniva assalito dalla febbre. Le mie mani strette a lui servivano a rassicurarlo, proteggerlo, aiutarlo a sopportare il dolore che il taglio gli procurava. Fino a pochi anni fa il rapporto tra i boscaioli e alberi era di reciproco rispetto". Tratto da Mauro Corona, Le voci del bosco, Edizioni Bilioteca dell'Immagine
Sciretti Alberto assieme a Mauro Corona sulla palestra per arrampicatori ad Erto il 09/11/2008
"Una betulla, innamorata di un maggiociondolo, attendeva che il vento la piegasse per andarlo a baciare, ma, per quanto il vento soffiasse forte, le mancavano sempre qui pochi centimetri per giungere al bacio agognato. Così, in attesa dell'evento impossibile, la betulla gli parlava senza speranza. Fu il Vajont che li unì. Strappati e trascinati via dall'acqua, si toccarono per un breve istante. Così, prima di morire, anche il maggiociondolo ebbe un po' d'amore, mentre dalla rive sparivano altri alberi e la gente, e la gioia di vivere, e tutto quello che ci aveva fatto sperare in un futuro migliore." Tratto da Mauro Corona, Le voci del bosco, Edizioni Bilioteca dell'Immagine

Primo piano di Mauro Corona , che dice "è sciocco cercare di mascherare il cammino degli anni. L'incidere del tempo cambia il colore alla pelle del maggiociondolo e la abbruttisce, ma lui non se ne rammarica [...] Cambiare la nostra identità per cercarne una di moda che ci appartiene, fa smarrire il senso della vita". Oltre quarant'ani di vita nei boschi e dialoghi con le piante e con la roccia. Durante questo lungo tempo, ha capito, sono parole sue, "che tutto in natura ha un proprio carattere, una personalità, un linguaggio, un destino" e "durante le scalate difficili cominciai a parlare anche alla roccia e le cose andarono meglio".
Sentite questa metafora: "il faggio è la folla, la massa, e la sua giornata è quelle del lavoratore laborioso. La fabbrica funziona perchè ci sono i faggi che avvitano bulloni e svolgono lavori di manovalanza. Senza di loro la catena di montaggio non andrebbe avanti. Nessuna società può vivere e produrre solo con il riservato maggiociondolo, o con l'elegante betulla, o con il duro ma fragile acero. Ci vogliono i tanti faggi che ogni mattina sono lì, a timbrare il cartellino. Certo lui non è un lettore, non va a teatro, il cinema impegnato non lo conosce, ma per il calcio, per la squadra del cuore, è disponibile a tutto. In fabbrica, il lunedì è felice se i suoi hanno vinto e poi un po' di osteria, le carte e la televisione sono il suo mondo. Dei faggi ho grande rispettoperchè, da semplici operai, devono mantenere la famiglia, pagare l'affitto, mandare i figli a scuola. Nella città del bosco sono i manovali che impastano la malta, portano i mattoni e costruiscono le case. Senza di loro i designer, gli ingegneri, i tenici ossia i frassini, i tassi, i maggiociondoli morirebbero di fame. Questi ultimi sono di famiglia privilegiata e quindi mancano di quella manualità che sola permette la sopravvivenza e che sta pericolosamente scomparendo anche nei ceti meno abbienti. Ma, prima o dopo, sarà di nuovo necessario avere manualità e il riappropriarsene costerà assai caro a coloro che allora popoleranno la terra." Mauro Corona in "Le Voci del Bosco"
Ecco i due video forse più belli che ben rappresentano l'alpinista, scultore e scrittore Mauro Corona ( http://www.dispersoneiboschi.it/ ).
Ho incontrato Mauro Corona pochi giorni fa'. Era sulla palestra naturale per arrampicatori di Erto, divenuta proprio famosa grazie allo scrittore, scultore ed alpinista. Quel giorno Mauro era li festante, nonostante la sbronza di vino della sera precedente e nonostante i quasi 60 anni si è arrampicato come un ventenne aprendo la strada ad un suo amico medico (scherzando mi ha detto che lo porta ad allenare perchè in cambio gli prescrive il viagra gratis eh eh che forte mauro). Ha dimostrato di essere l'autore dei suoi libri. Un saggio, temprato dalla montagna, che tanto avrebbe da insegnare ad un mondo di colletti bianchi senza identità che consumano 3 litri di carburante per acquistare un litro di latte e che vomitano cemento ed asfalto, banche e centri congressi, come se questi potessero sfamarci. La metropoli di New York cosa produce veramente? Cosa finisce sulla nostra tavola? Uova di gallina, mais, frumento?....
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Palestra naturale di arrampicata a qualche centinaio di metri dalla Diga del Vajont
Questo è il video che ho fatto su Mauro Corona: sicuramente vista anche la musica in sottofondo risulterà superficiale ai più ed un po' sacrilego ed in constrasto con lo spirito che emana nella valle del vajont; ho preferito un timbro allegro e spensierato perchè Mauro Corona nella sua saggezza e profondità d'animo è una persona che trasmette anche allegria, carisma, spensieratezza, oltre che a riflessioni profonde sulla nostra esistenza, ed è per questo che credo sia amato anche tanto dai giovani. Quindi alti i calici, non ci si piange addosso ma si combatte. La miglior prova di questo è andarlo a trovare a Erto, nella sua bottega..o andando a caso nei boschi limitrofi.
60 years everything is possible. Thanks to Mauro Coronahttp://www.dispersoneiboschi.it the gym Erto became one of the most prestigious for sport climbing in Italy. You can find him frequently to give advice to climbers experts and beginners. Mauro Corona was born in Italy near Trento from a couple of itinerant vendors and as such was born in a cart in 9 august del 1950. Corona is one of the most popular contemporary sculptors wood, known in Europe. Also devotes to climbing (Mauro Corona has opened over 300 climbing routes in the Dolomites) and writing. Many of his novels have been translated into several languages including Chinese. Mauro Corona has a particular relationship with the trees, and often embraces them with warmth and that he was taught since childhood when he went to cut the trees to make firewood. It was a way to reassure the tree and tell him not to worry. The passion for woodworking Mauro Corona has inherited in its valley, among its people. It carved the wood to need, the objects created are sold, will survive with the walking. Huge masses of chips, the unmistakable smell of wood that took shape as the baby Mauro Corona noted that his grandfather partnership with skilled manual created spoons, bowls and many other tools. Switch solitary moments of study and writing in conferences, meetings and events, continues to make wooden figures inspired by the shapes and things that affect thinking during walks in the woods of Val Vajont. It should be running in the mountains and brings children to climb. When set in the evening you can sometimes meet in the tavern that enjoy a good red with friends. Sometimes more than one. Mauro Corona said "The resin is the product of a pain, a tear that seeps from the wounded. Drops gold, yellow like honey, which does not flee away, not run away like water, do not leave the tree. Remain glued to the trunk, for give company, to help him resist, to continue growing. The memories are drops of resin that flow from the wounds of life
60 years everything is possible.

Vajont senza parole: paesaggio lunare

Sciretti Alberto con Bepi Zanfron. Quasi interamente la documentazione fotografica sulla tragedia del Vajont si deve a Bepi Zanfron, conosciuto ed apprezzato fotoreporter di Belluno, accorso già durante le prime ore della tragedia. B. ZANFRON, Vajont, 9 ottobre 1963. Cronaca di una catastrofe, Ed. Agenzia fotografica Zanfron, Belluno, 1998
Sciretti Alberto sulla diga del Vajont
Domenica scorsa sono stato sul Vajont una intera giornata; ormai si sa quasi tutto della tragedia del vajont, quindi ho pensato solo di riportarvi qui tutte le immagini che ho girato; ho visto cose e provato sensazioni che sono indimenticabili. Peccato che così come i medici si sottopongono al giuramento di ippocrate gli ingegneri ed architetti di tutto il mondo non vengano qui, prima di iniziare ad eserciatare, a giurare che mai e poi mai abbandoneranno le ragioni della logica per far spazio a quelle del profitto. La cosa infatti che più vi colpirà visitando i luoghi della tragedia, è che tutto è friabile..provate ad arrampicarvi ...ricordando che Monte Toc in lingua friulana indica anche qualcosa di "guasto", "avariato", "sfatto".
Una delle foto più suggestive: in prospettiva il terreno friabile, la diga e sullo sfondo Longarone che pagherà il prezzo più alto della tragedia.
La frase che mi ha colpito di più di questa tragedia è stata questa: "Quel 9 ottobre del 1963 più di 2000 persone entrarano nel nulla per ambizione ed interessi altrui".
"Gli ertani sono gente tosta. Perseguitati per secoli dalla malasorte, non si sono mai arresi, né mai hanno lucrato o pianto il morto sulle loro tragedie. Hanno grande stabilità, poichè anche loro, come gli alberi, sono nati sul ripido e per stare in piedi su un terreno simile occorre molto equilibrio". Mauro Corona in "Le voci del bosco"
Scritte storiche sui muri delle case di Erto
Queste persone, come tante altre in un paese mediocre come l'Italia, non hanno mai avuto giustizia esattamente come non l'hanno avuta le centinaia di morti del petrolchimico di Marghera anch'esso voluto, come la diga del Vajont, guarda a caso dal conte di Misurata Giuseppe Volpi .
Una carta geografica dettagliata per orientarsi in Val Vajont
La frana:

La frana del Monte Toc con la famosa frattura a forma di M chiaramente visibile anche nelle successive immagini


La Diga:












Paesaggio limitrofo




Erto in lontananza


Erto. In queste foto, immagini del bosco adiacente Erto, che come scrive Mauro Corona in le Voci del Bosco "ha sofferto da sempre. Non ha avuto la vita facile di altri suoi fratelli, non è nato e vissuto in un dolce pendio ma nel ripido, nell'erto appunto. Gli sono mancate le più piccole comodità e tutto ha conquistato con la fatica, così come, con fatica, sono cresciuti gli ertani."




Lago del Vajont
Lago del Vajont
Casso

Casso

Longarone
In lontananza Erto
Documenti
Documenti della tragedia fotografati al Centro Visite di Erto e Casso (PN), situato nel paese di Erto, nell'edificio delle ex-scuole elementari del paese.






























Le varie fasi di costruzione della diga




In alto a destra si vede chiaramente la sala controllo della diga che verrà spazzata via dall'onda assassina
Il modello in scala della diga. Di tipo a doppio arco, lo sbarramento è di 264,60 metri (la quinta diga più alta del mondo, la seconda ad arco) con un volume di 360.000 metri cubi e con un bacino di 168,715 milioni di metri cubi. All'epoca della sua costruzione era la diga più alta al mondo.





Casso
Erto
"Nella cultura chiusa, misogina e tremenda del paese, le cose magiche e sublimi, ma anche infide, traditrici e impossibili da dominare, diventano femmina. [...] Erto viveva del bosco e del bosco coglieva il meglio. Salvo quei pochi che avevano le mucche, tutti gli altri facevano i boscaioli. [...] Alcuni di loro hanno smesso da tempo l'antica arte per andare a fare i gelatai in Germania [...] o partivano per l'Austria o la Francia I taglialegna conoscevano la sofferenza degli alberi e il dolore che procurava il filo dell'ascia nella loro carne e meno colpi davano minore era il tempo della morte" Mauro Corona


La memoria:

Abbiamo il dovere morale di non dimenticare quelle persone che in questa tragedia hanno perso la loro vita; "Quel 9 ottobre del 1963 più di 2000 persone entrarano nel nulla per ambizione ed interessi altrui". Nell'immagine la fotografia di un ragazzo che invece perse la vita a 30 anni costruendo la diga. Nel rispetto di queste persone che non ci sono più noi dobbiamo pretendere che qualsiasi cantiere, qualsiasi progetto, tenga prima di tutto in considerazione il rispetto sacrale che si deve ad ogni vita ed alla natura. Ogni vita va rispettata.

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