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domenica 23 marzo 2008

Masolino da Panicale ha ispirato J.R.R. Tolkien? Con un po' di fantasia..


Una ricostruzione 3D della città fortificata di Minas Tirith, (che significa torre di guardia). La fortezza immaginaria è stata edificata su sette diversi livelli, somiglianti a sporgenza scolpite nella collina, circondate ognuna da bianche mura e chiuse da sette cancelli non allineati tra di loro. Nella settima cerchia, in cima alla città, si trovano l'Alta Corte, la piazza della fontana (dove si trova l'albero bianco) di Gondor e la Torre Bianca, costruita dai Re e rinnovata da Ecthelion I(da cui prende il soprannome di Torre di Ecthelion), alta circa 90 metri.
Mi sono appena imbattuto in un dipinto di Masolino da Panicale, Paesaggio fantastico, del 1435 e mi sono chiesto con un po' di fantasia (troppa? beh sicuramente meno di Tolkien) se J.R.R. Tolkien nel Il Signore degli Anelli (The Lord of the Rings) non si sia ispirato, tra le altre cose, proprio a questo dipinto. Tolkien nel 1925 venne nominato professore di filologia anglosassone al Pembroke College di Oxford e nel 1945 gli venne affidata la cattedra di lingua inglese e letteratura medioevale del Merton College, dove insegnò fino al suo ritiro dall'attività didattica avvenuto nel 1959; poteva quindi nel corso dei propri studi aver visto il dipinto di Masolino da Panicale, ed essersi ispirato anche ad esso nell'ideare le magiche e portentose fortezze (Minas Tirith) ed i passi innacessibili (Fosso di Helm) nel suo capolavoro Il Signore degli Anelli.


Masolino da Panicale, Paesaggio fantastico, 1435, affresco Castiglione Olona (Varese), palazzo Branda Castiglioni
Così Tolkien descrive la fortezza di Minas Tirith:
"Pareva molto remota, e splendida: con le bianche mura, le innumerevoli torri, troneggiava in cima alla montagna, bella e superba; le cinte scintillavano d'acciaio, sui torrioni splendevano mille bandiere [...] Minas Tirith infatti era stata edificata su sette diversi livelli, come delle sporgenze scolpite nella collina, circondate ciascuna da mura e chiuse da sette cancelli. Ma i cancelli non erano allineati: il Gran Cancello delle Mura Maggiori era situato nel punto più orientale del circuito, mentre il seguente era leggermente rivolto verso sud ed il successivo verso nord, e così via sino in cima; la strada selciata che conduceva su alla Cittadella serpeggiava in tal modo da un lato all'altro della collina. In linea con il Gran Cancello vi era invece una grossa sporgenza rocciosa la cui mole mastodontica divideva a metà tutte le cerchie della città eccetto la prima: una galleria a volta permetteva alla strada di attraversare questo bastione di pietra, dovuto in parte al travaglio dei secoli e in parte alle opere e al possente lavoro degli antichi abitanti: esso s'innalzava dall'estremità dello spiazzo antistante il Gran Cancello, tagliente e affilato come la chiglia di una nave rivolta verso oriente. Si ergeva imponente fino al livello della cerchia più alta, sormontato da un bastione che permetteva a coloro che si trovavano nella Cittadella di scrutare dalla cima impervia, come marinai dall'alto di una nave di roccia, il Gran Cancello situato settecento piedi più in basso. L'ingresso della Cittadella era anch'esso rivolto verso oriente, ma scavato nel cuore della roccia; di lì, un lungo pendio illuminato da lanterne conduceva al settimo cancello. In tal modo gli Uomini di Minas Tirith raggiungevano l'Alta Corte e la Piazza della Fontana ai piedi della Torre Bianca: alta e proporzionata, misurava cinquanta tese dalla base sino al pinnacolo, in cima al quale sventolava l'insegna dei Sovrintendenti, mille piedi al di sopra della pianura. Era davvero una fortezza possente, e non certo facilmente espugnabile da un esercito nemico se qualcuno dei suoi abitanti sapeva maneggiare le armi; l'unica speranza per gli avversari era di sorprenderli alle spalle, inerpicandosi sui pendii inferiori del Mindolluin, per raggiungere la stretta sporgenza che univa il Colle di Guardia alla montagna stessa. Ma quella sporgenza, che si ergeva sino al livello della quinta cinta di mura, era fiancheggiata da imponenti bastioni fino alla sua estremità occidentale che dominava uno strapiombo; in quel luogo si trovavano le abitazioni e le tombe di sovrani e di signori del passato, per sempre muti fra il monte e la torre."

lunedì 3 marzo 2008

Ai Piombi di Venezia con Silvio Pellico: "luogo infelice ma stupendo"


Carlo Felice Biscarra, la Nuit du 26 mars 1822, Museo Civico, Casa Cavassa, Saluzzo.
Il dipinto di Giovan Battista Biscarra (1790-1851) ritrae il momento della partenza da Venezia di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, diretti al carcere duro dello Spielberg (Brno in Moravia).
"La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. Ci fu permesso d'abbracciare il dottor Cesare Armari nostro amico. Uno sbirro c'incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinché ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina." Silvio Pellico, Le mie prigioni, Cap. LV
In questi giorni ho finito "Le mie prigioni" di Silvio Pellico. Per lungo tempo si è pensato che Metternich avesse detto che questo libro aveva danneggiato l'Austria più di una battaglia perduta. Ho pensato di riportarne i passaggi che più mi hanno colpito. Prima di tutto alcune parti (da CAPO XII a LV), relative al periodo in cui Silvio Pellico trascorse la sua detenzione a Venezia (dal 20/02/1821 al 26/03/1822), ai Piombi ed all'isola di San Michele, e poi alcuni passi che ho ritenuto notevoli. Nei Piombi e nei Pozzi di Venezia sono stati imprigionati molti personaggi famosi, fra i quali Vi furono imprigionati personaggi famosi, fra i quali Giordano Bruno, Silvio Pellico, Daniele Manin, Nicolò Tommaseo e Giacomo Casanova.
Estratto da "Le Mie Prigioni" di Silvio Pellico in cui si possono catturare immagini di Venezia...
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"Viaggiammo per posta senza fermarci, e giungemmo il 20 febbraio a Venezia. Nel settembre dell'anno precedente, un mese prima che m'arrestassero, io era a Venezia, ed aveva fatto un pranzo in numerosa e lietissima compagnia all'albergo della Luna. [...] Pranzammo, indi fui condotto al palazzo del Doge, ove ora sono i tribunali. Passai sotto quei cari portici delle Procuratie ed innanzi al caffè Florian, ov'io avea goduto sì belle sere nell'autunno trascorso [...] Si traversa la piazzetta... E su quella piazzetta, nel settembre addietro, un mendico mi avea detto queste singolari parole “Si vede ch'ella è forestiero, signore; ma io non capisco com'ella e tutti i forestieri ammirino questo luogo: per me è un luogo di disgrazia, e vi passo unicamente per necessità” [...] E fu ancora su quella piazzetta, che l'anno seguente io ascesi il palco donde intesi leggermi la sentenza di morte e la commutazione di questa pena in quindici anni di carcere duro! [...] Seguii in silenzio il carceriere. Dopo aver traversato parecchi ànditi e parecchie sale, arrivammo ad una scaletta che ci condusse sotto i Piombi, famose prigioni di Stato fin dal tempo della Repubblica Veneta.
Uno dei più celebri ponti di Venezia, il Ponte dei Sospiri. Il suo nome è ingannevolmente romantico, in realtà non ha niente a che vedere con i sospiri degli innamorati che si fanno fotografare in gondola nel canale sottostante. Ebbe questo soprannome nell'Ottocento, poiché si immaginava che i prigionieri che di qui transitavano andando dai tribunali ospitati in Palazzo Ducale alle prigioni, guardando fuori la meravigliosa veduta sulla laguna e sull'isola di S. Giorgio, sospirassero sapendo che molto probabilmente non avrebbero mai più rivisto la luce del sole.
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Ivi il carceriere prese registro del mio nome, indi mi chiuse nella stanza destinatami.I così detti Piombi sono la parte superiore del già palazzo del Doge, coperta tutta di piombo. La mia stanza avea una gran finestra, con enorme inferriata, e guardava sul tetto parimente di piombo della chiesa di San Marco. Al di là della chiesa, io vedeva in lontananza il termine della piazza, e da tutte parti un'infinità di cupole e di campanili. Il gigantesco campanile di San Marco era solamente separato da me dalla lunghezza della chiesa, ed io udiva coloro che in cima di esso parlavano alquanto forte. Vedevasi anche, al lato sinistro della chiesa, una porzione del gran cortile del palazzo ed una delle entrate. In quella porzione di cortile sta un pozzo pubblico, ed ivi continuamente veniva gente a cavare acqua. Ma la mia prigione essendo così alta, gli uomini laggiù mi parevano fanciulli, ed io non discerneva le loro parole se non quando gridavano. [...]

Veduta da una fenditura di una prigione.
I secondini venivano poco perché attendevano alle prigioni di polizia, collocate ad un piano inferiore, ov'erano sempre molti ladri. [...] Fossero quelli stati i soli insetti che m'avessero visitato! Eravamo ancora in primavera, e già le zanzare si moltiplicavano, posso proprio dire, spaventosamente. L'inverno era stato di una straordinaria dolcezza, e, dopo pochi venti in marzo, seguì il caldo. È cosa indicibile, come s'infocò l'aria del covile ch'io abitava. Situato a pretto mezzogiorno, sotto un tetto di piombo, e colla finestra sul tetto di S. Marco, pure di piombo, il cui riverbero era tremendo, io soffocava. Io non avea mai avuto idea d'un calore sì opprimente. A tanto supplizio s'aggiungeano le zanzare in tal moltitudine, che per quanto io m'agitassi e ne struggessi io n'era coperto; il letto, il tavolino, la sedia, il suolo, le pareti, la volta, tutto n'era coperto, e l'ambiente ne conteneva infinite, sempre andanti e venienti per la finestra e facienti un ronzio infernale. [...] Non esagero dicendo che le ore così impiegate m'erano talvolta deliziose, malgrado la difficoltà di respiro ch'io pativa per l'enorme caldo e le morsicature dolorosissime delle zanzare. Per diminuire la moltiplicità di queste ultime, io era obbligato, ad onta del caldo, d'involgermi bene il capo e le gambe, e di scrivere, non solo co' guanti, ma fasciato i polsi, affinché le zanzare non entrassero nelle maniche. [...] Io non posso parlare del male che affligge gli altri uomini; ma quanto a quello che toccò in sorte a me dacché vivo, bisogna ch'io confessi che, esaminatolo bene, lo trovai sempre ordinato a qualche mio giovamento. Sì, perfino quell'orribile calore che m'opprimeva, e quegli eserciti di zanzare che mi facean guerra sì feroce! [...] ovvero solamente che quel soffocante calore della mia stanza valesse a prostrare persino le forze del mio dolore? Ah! non le forze del dolore! Mi sovviene ch'io lo sentiva potentemente nel fondo dell'anima, - e forse più potentemente, perché io non avea voglia d'espanderlo gridando e agitandomi. [...] Io era ritto sul finestrone, le braccia tra le sbarre, le mani incrocicchiate: la chiesa di San Marco era sotto di me, una moltitudine prodigiosa di colombi indipendenti amoreggiava, svolazzava, nidificava su quel tetto di piombo: il più magnifico cielo mi stava dinanzi: io dominava tutta quella parte di Venezia ch'era visibile dal mio carcere: un romore lontano di voci umane mi feriva dolcemente l'orecchio. In quel luogo infelice ma stupendo [...] E chiudea la mia orazione intenerito, confortato, e poco curante delle morsicature che frattanto m'aveano allegramente dato le zanzare. Quella sera, dopo tanta esaltazione, la fantasia cominciando a calmarsi, le zanzare cominciando a divenirmi insoffribili [...] Passeggiai, finché intesi canterellare: “Sognai, mi gera an gato, E ti me carezzevi”. [...] Finì la state; nell'ultima metà di settembre, il caldo scemava. Ottobre venne; io mi rallegrava allora d'avere una stanza che nel verno doveva esser buona. Ecco una mattina il custode che mi dice avere ordine di mutarmi di carcere.“E dove si va?” “A pochi passi, in una camera più fresca.” “E perché non pensarci quand'io moriva dal caldo, e l'aria era tutta zanzare, ed il letto era tutto cimici? [...] Bench'io avessi assai patito in quel carcere, mi dolse di lasciarlo; non soltanto perché nella fredda stagione doveva essere ottimo [...] Il luogo ove mi posero era pur sotto i Piombi, ma a tramontana e ponente, con due finestre, una di qua, l'altra di là; soggiorno di perpetui raffreddori, e d'orribile ghiaccio ne' mesi rigidi. La finestra a ponente era grandissima; quella a tramontana era piccola ed alta, al disopra del mio letto. M'affacciai prima a quella, e vidi che metteva verso il palazzo del patriarca. Altre prigioni erano presso la mia, in un'ala di poca estensione a destra, ed in uno sporgimento di fabbricato che mi stava dirimpetto. In quello sporgimento stavano due carceri, una sull'altra. La inferiore aveva un finestrone enorme [...] Volli quindi esaminare dove guardasse l'altra mia finestra. Posi il tavolino sul letto e sul tavolino una sedia, m'arrampicai sopra, e vidi essere a livello d'una parte del tetto del palazzo. Al di là del palazzo appariva un bel tratto della città e della laguna. Mi fermai a considerare quella bella veduta [...] Dalla finestra grande io vedeva, oltre lo sporgimento di carceri che mi stava in faccia, una estensione di tetti, ornata di camini, d'altane, di campanili, di cupole, la quale andava a perdersi colla prospettiva del mare e del cielo. Nella casa più vicina a me, ch'era un'ala del patriarcato [...] Era un grande incendio, a un tiro di schioppo dalle nostre carceri. Prese alla casa ov'erano i forni pubblici, e la consumò. La notte era oscurissima, e tanto più spiccavano que' vasti globi di fiamme e di fumo, agitati com'erano da furioso vento. Volavano scintille da tutte le parti, e sembrava che il cielo le piovesse. La vicina laguna rifletteva l'incendio. Una moltitudine di gondole andava e veniva. Io m'immaginava lo spavento ed il pericolo di quelli che abitavano nella casa incendiata e nelle vicine, e li compiangeva. Udiva lontane voci d'uomini e donne che si chiamavano: Tognina! Momolo! Beppo! Zanze!. Anche il nome di Zanze mi sonò all'orecchio! Ve ne sono migliaia a Venezia [...] non essere arsi se non i forni e gli annessi magazzini, con grande quantità di sacchi di farina. [...]

F. Guardi, L'incendio di Santa Marcuola (1789)
- Addì 11 gennaio (1822), verso le 9 del mattino, Tremerello coglie un'occasione per venire da me, e tutto agitato mi dice:“Sa ella che nell'isola di San Michele di Murano, qui poco lontano da Venezia, v'è una prigione dove sono forse più di cento carbonari?” [...] “Sono il custode delle carceri di San Michele, dov'ella dev'essere tradotta.” Il custode de' Piombi consegnò a questo i denari miei, ch'egli avea nelle mani. Dimandai ed ottenni la permissione di far qualche regalo a' secondini. Misi in ordine la mia roba, presi la Bibbia sotto il braccio, e partii. Scendendo quelle infinite scale, Tremerello mi strinse furtivamente la mano; parea voler dirmi: "Sciagurato! tu sei perduto".Uscimmo da una porta che mettea sulla laguna; e quivi era una gondola con due secondini del nuovo custode. Entrai in gondola, ed opposti sentimenti mi commoveano: - un certo rincrescimento d'abbandonare il soggiorno dei Piombi, ove molto avea patito, ma ove pure io m'era affezionato ad alcuno, ed alcuno erasi affezionato a me, - il piacere di trovarmi, dopo tanti mesi di reclusione, all'aria aperta, di vedere il cielo e la città e le acque, senza l'infausta quadratura delle inferriate, - il ricordarmi la lieta gondola che in tempo tanto migliore mi portava per quella laguna medesima [...] Volgendo tai pensieri, giunsi a San Michele, e fui chiuso in una stanza che avea la vista d'un cortile, della laguna e della belle isola di Murano. [...] Scendemmo la magnifica scala de' giganti, ci ricordammo del doge Marin Faliero, ivi decapitato, entrammo nel gran portone che dal cortile del palazzo mette sulla piazzetta, e qui giunti voltammo verso la laguna. A mezzo della piazzetta era il palco ove dovemmo salire. Dalla scala de' giganti fino a quel palco stavano due file di soldati tedeschi; passammo in mezzo ad esse.Montati là sopra, guardammo intorno, e vedemmo in quell'immenso popolo il terrore. Per varie parti in lontananza schieravansi altri armati. Ci fu detto, esservi i cannoni colle micce accese dappertutto. [...] Il capitano tedesco gridò che ci volgessimo verso il palazzo e guardassimo in alto. Obbedimmo, e vedemmo sulla loggia un curiale con una carta in mano. Era la sentenza. La lesse con voce elevata. [...] Regnò profondo silenzio sino all'espressione: condannati a morte. Allora s'alzò un generale mormorio di compassione. Successe nuovo silenzio per udire il resto della lettura. Nuovo mormorio s'alzò all'espressione: condannati a carcere duro, Maroncelli per vent'anni, e Pellico per quindici. [...] La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. [...] Uno sbirro c'incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinché ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina.
Riporto qui di seguito alcuni passi notevoli, che ho trovato nel corso della lettura.
"Avviene in prigione come nel mondo. Quelli che pongono la lor saviezza nel fremere, nel lagnarsi, nel vilipendere, credono follia il compatire, l'amare, il consolarsi con belle fantasie, che onorino l'umanità ed il suo Autore". Capo XXII
"il mio impegno d'acquistare una calma costante, non movea tanto dal desiderio di diminuire la mia infelicità, quanto dall'apparirmi brutta, indegna dell'uomo, l'inquietudine. Una mente agitata non ragiona più: avvolta fra un turbine irresistibile d'idee esagerate, si forma una logica sciocca, furibonda, maligna: è in uno stato assolutamente antifilosofico, anticristiano. [...] Non v'è grandezza d'animo, non v'è giustizia senza idee moderate, senza uno spirito tendente più a sorridere che ad adirarsi degli avvenimenti di questa breve vita. non ha qualche valore, se non nel caso rarissimo, che sia presumibile d'umiliare con essa un malvagio e di ritrarlo dall'iniquità.[...] L'uomo si reputa migliore, aborrendo gli altri. Pare che tutti gli amici si dicano all'orecchio - Amiamoci solamente fra noi; gridando che tutti sono ciurmagli sembrerà che siamo semidei - Curioso fatto, che il vivere arrabbiato piaccia tanto! Vi si pone una specie d'eroismo. Se l'oggetto contro cui ieri si fremeva è morto, se e cerca subito un altro. - Di chi mi lamenterò oggi? chi odierò? sarebbe mai quello il mostro?...Oh gioia? l'ho trovato. Venite, amici, laceriamolo!" Capo XVII
"L'uomo infelice ed arrabbiato è tremendamente ingegnoso a calunniare i suoi simili e lo stesso Creatore. L'ira è più immorale, più scellerata che generalmente non si pensa. Siccome non si può ruggire dalla mattina alla sera, per settimane, e l'anima, la più dominata dal furore, ha di necessità i suoi intervalli di riposo, quegli intervalli sogliono risentirsi dell'immoralità che li ha preceduti. Allora sembra d'essere in pace, ma è una pace maligna, irreligiosa; un sorriso selvaggio, senza carità, senza dignità; un umore di disordine, d'ebbrezza, di scherno." Capo XXIV
"Ogni volta che l'uomo cede alquanto alla tentazione di snobilitare il suo intelletto, di guardare le opere di Dio colla infernal lente dello scherno, di cessare dal benefico esercizio della preghiera, il guasto ch'egli opera nella propria ragione lo dispone a facilmente ricadere." CAPO XXV
"Il conversare cogli uomini degradati degrada, se non si ha una virtù molto maggiore della comune, molto maggiore della mia." CAPO XL
"La somma delle viltà è d'essere schiavo de' giudizi altrui, quando hassi la persuasione che sono falsi" CAPO LXX
L'ultimo passo secondo me notevole, esprime il pensiero di Silvio Pellico, quando un cittadino è sottoposto ad un "governo cattivo". Argomento attuale, quindi...
"Fra i motivi che mi faceano condannare le ultime rivoluzioni compiute o tentate, certamente è necessario annoverare la mia piena adesione ai principii dell'Evangelo, il quale non permette siffatte imprese della violenza. Non già che fossi divenuto fautore della servitù, e nemico dei lumi; ma io ero convinto che i lumi non debbono diffondersi se non con mezzi legittimi e giusti, mai coll'abbattere un potere costituito, e coll'inalzare la bandiera della guerra civile. Da punto in cui cessarono i miei dubbi intorno alla religione, e credei fermamente alla verità della fede cattolica, non potei più ammettere che l'amor della patria possa derivare altronde le sue inspirazioni che dal cristianesimo, che vuol dire odio profondo contro l'ingiustizia congiunto all'amore del bene pubblico, ma colla ferma risoluzione di non commettere il male per la speranza di un bene. Un governo è cattivo? non v'è altro compenso che l'andarsene, o restare soggetto alle sue leggi senza aver parte ne' suoi errori, e perseverare nella pratica di ogni virtù, non escluso il sacrifizio della vita se occorra, anzichè rendersi complice di qualsiasi iniquità. Del resto, se nella mia gioventù i miei principi politici erano più esaltati, io non li aveva mai spinti fino alla demagogia e al disprezzo di tutte le antiche leggi. Gli adepti del giacobismo mi erano odiosi. L'ardente amore della mia patria non eccedeva in me il desiderio di un governo nazionale, e della cacciata dello straniero che vi fa da padrone." Cap. aggiunto IV

La fortezza dello Spielberg, in un dipinto, laddove fu condotto Silvio Pellico. In epoca risorgimentale fu tristemente noto come luogo di prigionia di vari patrioti italiani.

sabato 3 novembre 2007

Fortezze marine e le prime radio pirata

Ad integrazione dell'articolo Megaprojects e la nuova frontiera delle isole artificiali: “Palm Island” e The World”, la colonizzazione del mare è iniziata pubblicato su questo Blog il 01/09/2007

Red Sands Maunsell Towers

Five of Red Sands Fort's 7 towers. The seven towers of Red Sands were placed approximately six miles off Minster, Isle of Sheppey, over the period July 23rd to September 3rd 1943. They appear as tiny blocks on the horizon from the shore but close up they exude an eerie, almost ominous presence. The tower in the foreground would have been a gun tower, with a gun placed on the flat section that protrudes from the front. Other towers would have different functions such as search lights and accommodation. Hundreds of soldiers would live on these towers in six week placements which were very unpopular due to the remoteness of the placement.
Queste installazioni militari, divennero nel 1964 in seguito alla loro dismissione, la location delle prime radio pirata (Radio Invicta) in acque internazionali e quindi non soggette ad alcuna giurisdizione, che consentirono la penetrazione del rock’n’roll e del pop americano in Europa; per approfondimenti http://www.offshore-radio.de/fleet/redsands.htm ; http://www.redsandonline.co.uk/index.html
"Le radio pirata rappresentano, senza dubbio, uno dei simboli più significativi della ribellione e della voglia di cambiamento che permeò tutti gli anni ’60. Con esse il variegato mondo giovanile ebbe modo di diffondere i propri ideali e stili di vita, ma anche di rompere un sistema della comunicazione rigido e burocratico, che non permetteva una libera concorrenza tra le emittenti.
Le trasmissioni radio, fino ad allora quasi esclusivamente nelle mani dei monopoli degli enti pubblici, fatta eccezione per Radio Luxembourg, venivano ora gestite da privati che operavano da stazioni al di fuori del territorio di un paese e delle sue leggi in materia di comunicazione di massa. Queste radio trasmettevano illegalmente da vecchie navi, spesso registrate negli elenchi navali di paesi tradizionalmente disponibili ad offrire bandiere di comodo, oppure da piattaforme risalenti alla II guerra mondiale situate al largo delle coste scandinave e inglesi, in condizioni precarie ed esposti alle intemperie e ai pericoli che il mare del Nord poteva riservare." Fonte Tesi di laurea "I PIRATI CHE SOLCARONO L’ETERE. STORIA DELLE RADIO OFFSHORE CHE DAI MARI DEL NORD SFIDARONO LA BBC E L’INFLUENZA CHE QUESTE EBBERO SULLA MUSICA DEL PERIODO" del Dott. Federico Lusi,Relatore Prof. Michele Sorice,Correlatore Prof. Andrea Vianello, Anno Accademico 2005/2006.


No Man's Land Fort

Su "Il Venerdì" di Repubblica numero 1024 del 2 Novembre 2007 è comparso l'articolo "A.A.A. vendesi fortezza di sua maestà" in cui si dice "Fortezza galleggiante vendesi. Succede al largo di Portsmouth, lungo le coste inglesi. Il forte in questione è un piccolo isolotto artificiale. Grande abbastanza, però, per ospitare un faro, diversi appartamenti e un campo da tennis. Fu costruito intorno al 1860 come primo baluardo contro un eventuale attacco da parte della flotta francese. Ma Londra e Parigi non avrebbero più fatto la guerra tra loro e quindi il No Man's Land Fort non è mai servito al suo scopo. Negli ultimi anni c'è stato chi ha cercato di trasformarlo in albergo, ma senza successo. Anzi, gli ultimi due proprietari hanno fatto bancarotta e sono finiti in prigione. Ora torna in vendita. Il prezzo di partenza sarebbe quattro milioni di sterline (quasi sei milioni di euro). Ma l'agenzia immobiliare smentisce: "Non abbiamo ipotizzato alcun prezzo. Aspettiamo le offerte degli interessati".
Per capire la collocazione spaziale delle fortezze marine di Portsmouth (England) è interessante visitare questo sito http://www.palmerstonforts.org.uk/map/pomap.htm

Altre informazioni in inglese su No Man's Land Fort:
No Man's Land Fort was built in the Solent 2.2 kilometres off the coast of the Isle of Wight between the years 1867 and 1880 to protect Portsmouth. It was built for a cost of £462,500, a considerable sum if adjusted for inflation.
It is now a luxury home/hospitality centre for high-paying guests – due to the privacy it offers – boasting an indoor swimming pool and two helipads. In July 2007, the Fort was put on sale to raise funds for creditors following a company collapse and the jailing of the current owner, who reportedly had debts of £100 million (See links below).The 1972 Doctor Who serial The Sea Devils used the fort as a filming location for several scenes.
Other sea forts include Spitbank Fort, St Helens Fort and Horse Sand Fort.


Spitbank Fort
Horse Sand Fort

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