sabato 22 marzo 2008

Villa Pisani e Villa Contarini a confronto


Uno scorcio del giardino di Villa Pisani con lo specchio d'acqua che si estende rettilineo dinanzi alla facciata nord della villa.
Se Villa Pisani, ideale continuazione in terraferma del Canal Grande veneziano, agli occhi del visitatore apparirà tremendamente più bella rispetto alla pur maestosa Villa Contarini, considerata la più grande villa veneta, il confronto non ha motivo d'esistere perchè le due ville furono create a parecchi secoli di distanza l'una dall'altra. Villa Contarini è della metà del XVI secolo (1546), mentre Villa Pisani fu costruita nel 1721.
Facciata (fronte) del corpo centrale di Villa Pisani Facciata (fronte) del corpo centrale di Villa Contarini
Facciata (retro) di Villa Pisani
Facciata (retro) di Villa Contarini. Si noti come la villa necessiterebbe di importatanti lavori di ristrutturazione.
Ulteriori foto della facciata retro di Villa Pisani.
Ulteriori foto di Villa Contarini.

Facciata fronte di Villa Contarini

Particolare della facciata retro di Villa Contarini in cattivo stato di conservazione.
Entrambe le ville furono edificate per importanti famiglie nobiliari veneziane; Villa Pisani per la famiglia del doge Alvise Pisani e Villa Contarini per la famiglia nobiliare dei Contarini. L'architettura di entrambe le ville sembra ispirarsi allo stile palladiano (per Villa Contarini sembra non escludersi l'intervento proprio del Palladio nel 1546, per villa Pisani si tratta di un ottimo esempio del revival architettonico del Palladio avviato in Veneto a metà '700). Le Ville divennero teatro di feste memorabili per la loro grandiosità ed al loro interno si percorrono ambienti riccamente decorati. La vita in villa, luogo per eccellenza di "gioco grosso, tavola aperta, balli e spettacoli" (Carlo Goldoni), è ben rappresentata dalle imponenti sale da ballo e dalle decorazioni (baccanali).
Alcune importanti note storiche su Villa Pisani: la villa fu venduta a Napoleone Bonaparte nel 1807 per 1.901.000 di lire venete e restò meta di visita di personaggi quali Wagner, D'Annunzio (che ambientò una scena fondamentale del suo romanzo Il Fuoco proprio a Villa Pisani), Mussolini e Hitler (il cui primo incontro ufficiale avvenne qui, nel 1934), Pierpaolo Pasolini (che girò nelle sale della villa e nel parco un episodio del suo film Porcile).

Coffee House nel Parco di Villa Pisani. Simile a un tempietto, questa piccola costruzione venne progettata nel 1720 come luogo di ristoro per i villeggianti. La sosta al suo interno, all'epoca privo di infissi, era particolarmente piacevole nei giorni più caldi in quanto si godeva dell'aria fresca che saliva dalla ghiacciaia sottostante attraverso i fori del pavimento. La collinetta sulla quale è collocata la Coffee House nasconde infatti una vano voltato a botte utilizzato nei secoli passati come deposito per il ghiaccio. Per facilitarne la raccolta venne realizzato in epoca napoleonica l'anello d'acqua che circonda la montagnola.

Parco di Villa Pisani
Parco di Villa Pisani Immagini dal Parco di Villa Pisani. Notate il camino veneziano con la tipica forma a campana
Peculiarità di Villa Contarini sono la sala delle Musica e la sala delle Audizioni, tra loro soprapposte e rese comunicanti da un'apertura circolare dalla quale le note suonate nel livello superiore si diffondono in quello sottostante, ottenendo un effetto acustico purissimo. La qualità acustica delle sale della Villa è unica al mondo. La Villa è nata come casa della musica, culla del melodramma e del concerto strumentale nel ‘600 e ‘700 e ancora oggi è utilizzata per concerti e registrazioni. Nel retrostante parco di oltre 40 ettari, parzialmente destinato ad uso agricolo ci sono peschiere e laghetti.
Video della facciata di Villa Contarini
Il laghetto nel parco di Villa Contarini (sullo sfondo) popolato da decine e decine di anitre, oche e cigni. Molte tipologie di volatili scelgono il parco per nidificare.
In entrambi i parchi delle ville, si possono incontrare particolari sculture.

Scultura nel parco di Villa Pisani. Ve ne sono decine e decine, immerse nella vegetazione.


Sculture volte a creare una panchina nel parco di Villa Contarini
Villa Pisani, il cui parco è davvero significativo, è famosa inoltre per il suo labirinto d'amore, di siepi di bosso, uno dei tre labirinti in siepe sopravissuti fino ad oggi in Italia.
Video del Labirinto di Villa Pisani
Video di Sciretti Alberto sulla Riviera del Brenta

lunedì 17 marzo 2008

Ippolito Caffi: travel along the mediterranean

Per chi ha dipinto Ippolito Caffi, se quanto raffigurato viene tutti i giorni obliterato con cemento armato ed infrastrutture alienanti?
Video di Sciretti Alberto su Ippolito Caffi (1809 - 1866)

"Per chi, si chiese a un tratto, scriveva quel diario? Per il futuro, per gli uomini non ancora nati. La sua mente indugiò per un attimo su quella data dubbia fissata sulla pagina, poi andò a cozzare contro la parola in neolingua bipensiero [1]. Solo allora si rese pienamente conto di quanto fosse temerario ciò che aveva intrapreso. Come fare a comunicare col futuro? Era una cosa di per se stessa impossibile. O il futuro sarebbe stato uguale al presente , nel qual caso non l'avrebbe ascoltato, o sarebbe stato diverso, e allora le sue asserzioni non avrebbero avuto senso". George Orwel, 1984.
"For whom, it suddenly occurred to him to wonder, was he writing this diary? For the future, for the unborn. His mind hovered for a moment round the doubtful date on the page, and then fetched up with a bump against the Newspeak word doublethink [1]. For the first time the magnitude of what he had undertaken came home to him. How could you communicate with the future? It was of its nature impossibile. Either the future would resemble the present, in which case it would not liste to him: or it would be different from it, and his predicament would be meaningless." George Orwel, 1984

[1] La guerra è pace; La libertà è schiavitù; L'ignoranza è forza (War is peace; Freedom is slavery; Ignorance is strength)

Il Santuario e il porto di Genova in un olio di Ippolito Caffi (Veduta di Genova, 1853, Roma, Galleria d'Arte Moderna)

Un giornalista scientifico, Alan Weisman, ha ipotizzato nel suo libro Il mondo senza di noi (Einaudi), la fine della nostra specie, provando ad immaginare le conseguenze: acque pulite, rovine poetiche (i romani antichi hanno fatto costruzioni molto resistenti), verde lussureggiante, ma anche eterni ammassi di plastica (ce n'è oltre un miliardo di tonnellate nel solo Oceano Pacifico, ovvero sei volte la quantità del plancton).
In The World Without Us, Alan Weisman offers an utterly original approach to questions of humanity's impact on the planet: he asks us to envision our Earth, without us.In this far-reaching narrative, Weisman explains how our massive infrastructure would collapse and finally vanish without human presence; what of our everyday stuff may become immortalized as fossils; how copper pipes and wiring would be crushed into mere seams of reddish rock; why some of our earliest buildings might be the last architecture left; and how plastic, bronze sculpture, radio waves, and some man-made molecules may be our most lasting gifts to the universe

"La verità è che, senza di noi, il mondo starebbe una favola. La prospettiva non antropocentrica, ovvio, costa una fatica immane a qualsiasi essere umano. Ma mettendosi per una volta dalla parte del Pianeta è proprio così. Come inquilini del condominio Terra siamo un disastro. Un esercito di locuste, al confronto, sembra educato a Oxford. Scambiamo gli oceani per discariche, trasformiamo i ghiacciai in ghiaccioli. E a forza di pompare allegramente gas serra nell'atmosfera, stiamo arroventando il forno in cui ci siamo infilati, aspettando che il timer ci avverta che la cottura è terminata" (Tratto dall'articolo su Alan Weisman dal Venerdi di Repubblica 14 Marzo 2008)
La materia organica, quella specie di compost involontario prodotto dai rifiuti nelle strade, germinerebbe. La vegetazione prenderebbe il sopravvento. Le città sarebbero punteggiate da incendi. Senza spazzini ci sarebbe in giro un sacco di materiale combustibile. E senza pompieri in circolazione, i fulmini innescherebbero roghi continui. La ceramica di lavandini e water è,dal punto di vista geologico, quasi un fossile: tendenzialmente non si deteriora. Anche il bronzo è un altro materiale estremamente duraturo: statue e fontane sopravviverebbero


Floods in New York's subways. The big cities would crumble with remarkable ease. London or New York, like all large towns near the sea, would start to rot from their foundations up, as underground tunnels and conduits that carried trains and cables, roadways and sewage, started to fill up with water within days. The pumps that keep them dry would have simply ceased to operate.
Manhattan è circondata dall'acqua e una potente struttura di pompaggio che funziona di continuo evita che i tunnel della metropolitana ne siano invasi. Basterebbe uno stop al sistema di 48 ore perchè avesse inizio l'allagamento.
Ponti sbriciolati da ruggine e sale. Anche l'ingegneria civile più solida, in assenza di manutenzione, ha una data di scadenza. I tiranti di acciaio dei ponti verrebbero per esempio mangiati nel tempo dalla ruggine, lasciando crollare la campata di cemento in acqua, dove verrebbe corrosa dal sale.

Grass shoots would begin to shatter every road surface in the worl. The drawing above is what Fifth Avenue/St. Patrick's Cathedral would look like
Il traguardo dei 500 anni sarebbe tagliato da pochissimi manufatti umani. Solo gli edifici più antichi, in pietra, potrebbero farcela. Tra gli altri materiali invece, porcellana e pneumatici sarebbero quelli con maggiori probabilità di sopravvivenza nel lungo periodo.

Dopo qualche migliaio di anni ogni costruzione sarebbe coperta da una nuova glaciazione. Sopravviverebbero nella loro forma originaria gli edifici sotterranei, come il tunnel che, attraversando la Manica, collega la Francia alla Gran Bretagna.

giovedì 13 marzo 2008

Giovinezza di spirito e di cuore a Parco Giardino Sigurtà

Dall'8 Marzo 2008 Parco Giardino Sigurtà è aperto. Ne propongo una rassegna fotografica (foto di aprile 2007)



Il Parco Giardino Sigurtà ha una superficie di 560.000 metri quadrati e si estende ai margini delle colline moreniche, nelle vicinanze del Lago di Garda, a soli otto chilometri da Peschiera. Per la storia completa sul Parco visita il sito internet
Iscrizione anonima che si trova su una lapide nel parco. Un inno alla giovinezza.
Giovinezza di spirito e di cuore

La giovinezza non è un periodo della vita, è uno stato d'animo che consiste in una certa forma della volontà, in una disposizione dell'immaginazione, in una forza emotiva; nel prevalere dell'audacia sulla timidezza e della sete dell'avventura sull'amore per le comodità. Non si invecchia per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero di anni, ma solo quando si abbandona il proprio ideale. Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo, la rinuncia all'entusiasmo li traccia sull'anima. La noia, il dubbio, la mancanza di sicurezza, il timore e la sfiducia sono lunghi anni che fanno chinare il capo e conducono lo spirito alla morte. Essere giovani significa conservare a sessanta o settant'anni l'amore del meraviglioso lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri luminosi; la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti, il desiderio insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo, il senso del lato piacevole e lieto dell'esistenza. Resterete giovani finché il vostro cuore saprà ricevere i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di grandezza e di forza che vi giungono dalla terra, da un uomo o dall'infinito. Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate e su di esse si saranno accumulati le nevi del pessimismo e il ghiaccio del cinismo, è solo allora che diverrete vecchie possa Iddio aver pietà della vostra anima
Video di Parco Sigurtà
Dal Parco Giardino di Sigurtà si può vedere Borghetto di Valeggio sul Mincio che consiglio di visitare perchè unico con le sue case medioevali sospese sulle acque del Mincio.

domenica 9 marzo 2008

ETH Zurigo: Politecnico di Zurigo dove il ricercatore è veramente il protagonista

Uno scorcio da me fotografato del lago di Zurigo che bagna l'omonima città. Il lago è pulito e nella bella stagione vi si può fare il bagno. I camminamenti lungo il lago sono particolarmente curati e la cittadinanza nelle belle giornate vi si riversa festosamente a passeggiare.
Sono stato in Svizzera un paio di giorni (1), in particolare a Zurigo, la città più grande della confederazione. La città è servita perfettamente da molteplici linee di tram e filobus (13 linee di tram per la precisione e 6 di filobus dell'azienda Verkehrsbetriebe Zürich ) che hanno la precedenza sul traffico automobilistico. Il tram non è vissuto come una anomalia da dedicarvici un'unica linea un po' come è successo nelle mie zone (a Padova ed ora a Mestre), ma è lo standard che scoraggia l'uso dell'auto propria garantendo l'abbattimento dell'inquinamento dovuto alle polveri sottili. Tutte le principali vie a Zurigo quindi, hanno una trama infinita di cavi elettrici sospesi che forniscono elettricità ai tram, che realmente sono puntuali fino alla noia. Ecco, la Svizzera può forse deludere per questo: la perfezione può stancare. Nei tram, la gente è fredda e composta, non si formano campanelli di persone che discorrono tra loro, e gli svizzeri sono austeramente e compostamente seduti sui loro posti, in un silenzio assordante.

Uno scorcio di Zurigo dalla terrazza panoramica dell'Università di Zurigo
Ma ciò di cui intendo parlare in questo articolo è l'istituto politecnico federale di Zurigo (ETHZ), fondato nel 1855, che ho visitato rimanendo impressionato.
Da questa Università sono usciti decine e decine di premi nobel: uno per tutti Albert Einstein che qui si laureò, dall'ottobre 1896 all'agosto 1900.

Albert Einstein
La parte più dinamica ed in espanzione del politecnico è sicuramente il campus di Hönggerberg, collocato in mezzo al verde, ma comunque velocemente raggiungibile dal centro, sulle alture poco distanti dal centro di Zurigo. Gli spazi aperti e verdi, favoriscono l'intelletto ed un clima sereno.

Gli edifici universitari del politecnico sono inseriti in un paesaggio ameno.
Il Politecnico di Zurigo, che a mano a mano negli anni ha acquisito fama mondiale, conta circa 13'000 studenti e 7'500 collaboratori, e punta a diventare una vera e propria Science City, dotata di alloggi e molti altri servizi, come palestre e zone ricreative dedicate agli studendi. (il fatto di vedere le mucche pascolare ad un centinaio di metri dalle strutture universitarie mi ha ricordato l'Agripolis, il campus universitario della Facoltà di medicina veterinaria e della Facoltà di Agraria dell'Università degli studi di Padova).
Come potrete evincere dal video che vi propongo con immagini da me girate, il politecnico offre agli studenti e ai ricercatori infrastrutture fra le più moderne e laboratori di ricerca tra i più all'avanguardia nel mondo. Il protagonista è il ricercatore Scienziato. Nei laboratori che si vedono nel video, dotati di strumentazioni costosissime, si attua la ricerca sul Cancro.

Video sul Politecnico di Zurigo. La prima canzone di sottofondo era (ho dovuto poi sostituire l'audio) Comptine d'un autre été: L'après-midi di Yann Tiersen ; come seconda canzone avevo scelto un remix creato a partire dalla famosa telefonata tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà , che fa da sfondo alle immagini dei laboratori svizzeri dove si concretizza la ricerca sul Cancro; questo per denunciare, se mai ce ne fosse bisogno, che l'attuale sistema politico italiano che bene è rappresentato da questa schifosa telefonata, impedisce all'Italia di crescere, non investendo nella ricerca e nella cultura, veri assi portanti di una società civile. Forse a qualcuno, fa comodo avere telespettatori ignoranti e inebetiti. 


La mensa dell'ETH, con panchine e tavoli in pietra posizionati in un giardino che circonda gli edifici.


Le organizzazioni universitarie italiane non sono preparate culturalmente ed organizzate concretamente per ricercare finanziamenti negli utili di quelle società commerciali, che invece potrebbero grazie proprio alla ricerca, riuscire a competere in un mercato ormai globalizzato. In Italia, si tende per forma mentis, ad aspettare i finanziamenti dallo Stato come nell'avamposto di Dino Buzzati si aspettavano i Tartari. L'organizzazione universitaria è spesso una macchina burocratica autoreferenziale, vittima dei suoi stessi procedimenti che crea e distrugge, in cui il dipendente confinato perimetralmente nel suo ufficio, è come se fosse prigioniero all'interno di una fattoria senza però poter andare a mietere il grano o a falciare l'erba per poter contribuire concretamente ad un surplus. L'idea di squinzagliare nel territorio le proprie risorse umane a procacciare finanziamenti per l'università è considerata ancora eversiva. Lo fanno tutte le grandi aziende per loro natura con reti commerciali fatte di agenti e rappresentanti, perchè non farlo per una nobile causa quale la cultura? Ed ecco quindi che se uno Stato indebitato come l'Italia non funziona, ecco che si tira dietro anche tutte le Università, che galleggiano nella mediocrità finanziaria. Ho trovato sostegno alle mie idee su http://www.valeriomelandri.it/ , un Blog dedicato al Fund Raising, il cui autore è il direttore del Master universitario in fund raising per il nonprofit e gli enti pubblici dell'Università di Bologna.
Per ulteriori info sul Politecnico di Zurigo:
L'edifico in cui sono stato ospite, aveva al piano sottointerrato un bunker antiatomico, residuo del periodo della guerra fredda. Il bunker tuttavia è ancora attrezzato con porte blindate di spessore generoso all'esterno e all'interno ed un sistema di depurazione e riciclo dell'aria e dell'acqua.
In Svizzera una legge degli anni '70 obbliga ogni cittadino ad avere un posto in un rifugio antiatomico. Per legge i bunker devono avere i solai di 40 cm di spessore e i muri di trenta, ed essere autosufficienti per almeno sei mesi per quello che riguarda cibo, acqua e aria. Chi non dispone di un bunker, che può essere condominiale o relativo alla singola abitazione, deve pagare una tassa l'anno per garantirsi un posto nei rifugi collettivi.
Si può verificare quanto sopraccitato al Cap. 5 Sezione 1 della Legge federale sulla protezione della popolazione e sulla protezione civile (LPPC) del 4 ottobre 2002 che così recita:
Capitolo 5: Costruzioni di protezione
Sezione 1: Rifugi
Art. 45 Principio Ogni abitante deve disporre di un posto protetto raggiungibile in tempo utile dalla sua abitazione.
Art. 46 Obbligo di costruire 1. I proprietari d’immobili sono tenuti a realizzare ed equipaggiare rifugi in tutti i nuovi edifici abitativi, negli istituti e negli ospedali nonché a occuparsi della loro manutenzione. 2. I Comuni sono tenuti a realizzare rifugi pubblici equipaggiati nelle zone in cui non vi sono posti protetti a sufficienza. 3. I Cantoni possono obbligare i proprietari e i possessori di beni culturali mobili e immobili ad adottare o tollerare misure edilizie per la protezione di tali beni.
Art. 47 Gestione, contributi sostitutivi
1. Per garantire un’offerta equilibrata di posti protetti, i Cantoni gestiscono la costruzione di rifugi in base alle prescrizioni federali. 2. I proprietari di edifici abitativi che non realizzano un rifugio privato devono versare contributi sostitutivi. I contributi sostitutivi vengono impiegati in primo luogo per il finanziamento dei rifugi pubblici comunali. Se tutti i rifugi richiesti sono realizzati o finanziariamente garantiti mediante contributi sostitutivi, i contributi rimanenti possono essere destinati ad altre misure nel campo della protezione civile. 3 .Se il fabbisogno di posti protetti è coperto, i Cantoni decidono in che misura devono essere realizzati rifugi oppure versati contributi sostitutivi. 4. I Cantoni determinano l’ammontare dei contributi sostitutivi in base alle prescrizioni della Confederazione. 5. I contributi sostitutivi restano di proprietà dei Comuni che li hanno ricevuti. Il Cantone disciplina l’utilizzazione dei contributi sostitutivi versati alle strutture organizzative regionali e cantonali.
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(1) Il bollo obbligatorio per attraversare le autostrade svizzere l'ho acquistato direttamente alla frontiera a Chiasso al costo di 30 euro. Quindi si può tranquillamente arrivare alla dogana sprovvisti del bollo. Dopo aver oltrepassato il confine nelle aree di sosta si trovano i cambi, dove poter ottenere eventualmente i franchi svizzeri di cui si abbisogna.

lunedì 3 marzo 2008

Ai Piombi di Venezia con Silvio Pellico: "luogo infelice ma stupendo"


Carlo Felice Biscarra, la Nuit du 26 mars 1822, Museo Civico, Casa Cavassa, Saluzzo.
Il dipinto di Giovan Battista Biscarra (1790-1851) ritrae il momento della partenza da Venezia di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, diretti al carcere duro dello Spielberg (Brno in Moravia).
"La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. Ci fu permesso d'abbracciare il dottor Cesare Armari nostro amico. Uno sbirro c'incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinché ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina." Silvio Pellico, Le mie prigioni, Cap. LV
In questi giorni ho finito "Le mie prigioni" di Silvio Pellico. Per lungo tempo si è pensato che Metternich avesse detto che questo libro aveva danneggiato l'Austria più di una battaglia perduta. Ho pensato di riportarne i passaggi che più mi hanno colpito. Prima di tutto alcune parti (da CAPO XII a LV), relative al periodo in cui Silvio Pellico trascorse la sua detenzione a Venezia (dal 20/02/1821 al 26/03/1822), ai Piombi ed all'isola di San Michele, e poi alcuni passi che ho ritenuto notevoli. Nei Piombi e nei Pozzi di Venezia sono stati imprigionati molti personaggi famosi, fra i quali Vi furono imprigionati personaggi famosi, fra i quali Giordano Bruno, Silvio Pellico, Daniele Manin, Nicolò Tommaseo e Giacomo Casanova.
Estratto da "Le Mie Prigioni" di Silvio Pellico in cui si possono catturare immagini di Venezia...
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"Viaggiammo per posta senza fermarci, e giungemmo il 20 febbraio a Venezia. Nel settembre dell'anno precedente, un mese prima che m'arrestassero, io era a Venezia, ed aveva fatto un pranzo in numerosa e lietissima compagnia all'albergo della Luna. [...] Pranzammo, indi fui condotto al palazzo del Doge, ove ora sono i tribunali. Passai sotto quei cari portici delle Procuratie ed innanzi al caffè Florian, ov'io avea goduto sì belle sere nell'autunno trascorso [...] Si traversa la piazzetta... E su quella piazzetta, nel settembre addietro, un mendico mi avea detto queste singolari parole “Si vede ch'ella è forestiero, signore; ma io non capisco com'ella e tutti i forestieri ammirino questo luogo: per me è un luogo di disgrazia, e vi passo unicamente per necessità” [...] E fu ancora su quella piazzetta, che l'anno seguente io ascesi il palco donde intesi leggermi la sentenza di morte e la commutazione di questa pena in quindici anni di carcere duro! [...] Seguii in silenzio il carceriere. Dopo aver traversato parecchi ànditi e parecchie sale, arrivammo ad una scaletta che ci condusse sotto i Piombi, famose prigioni di Stato fin dal tempo della Repubblica Veneta.
Uno dei più celebri ponti di Venezia, il Ponte dei Sospiri. Il suo nome è ingannevolmente romantico, in realtà non ha niente a che vedere con i sospiri degli innamorati che si fanno fotografare in gondola nel canale sottostante. Ebbe questo soprannome nell'Ottocento, poiché si immaginava che i prigionieri che di qui transitavano andando dai tribunali ospitati in Palazzo Ducale alle prigioni, guardando fuori la meravigliosa veduta sulla laguna e sull'isola di S. Giorgio, sospirassero sapendo che molto probabilmente non avrebbero mai più rivisto la luce del sole.
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Ivi il carceriere prese registro del mio nome, indi mi chiuse nella stanza destinatami.I così detti Piombi sono la parte superiore del già palazzo del Doge, coperta tutta di piombo. La mia stanza avea una gran finestra, con enorme inferriata, e guardava sul tetto parimente di piombo della chiesa di San Marco. Al di là della chiesa, io vedeva in lontananza il termine della piazza, e da tutte parti un'infinità di cupole e di campanili. Il gigantesco campanile di San Marco era solamente separato da me dalla lunghezza della chiesa, ed io udiva coloro che in cima di esso parlavano alquanto forte. Vedevasi anche, al lato sinistro della chiesa, una porzione del gran cortile del palazzo ed una delle entrate. In quella porzione di cortile sta un pozzo pubblico, ed ivi continuamente veniva gente a cavare acqua. Ma la mia prigione essendo così alta, gli uomini laggiù mi parevano fanciulli, ed io non discerneva le loro parole se non quando gridavano. [...]

Veduta da una fenditura di una prigione.
I secondini venivano poco perché attendevano alle prigioni di polizia, collocate ad un piano inferiore, ov'erano sempre molti ladri. [...] Fossero quelli stati i soli insetti che m'avessero visitato! Eravamo ancora in primavera, e già le zanzare si moltiplicavano, posso proprio dire, spaventosamente. L'inverno era stato di una straordinaria dolcezza, e, dopo pochi venti in marzo, seguì il caldo. È cosa indicibile, come s'infocò l'aria del covile ch'io abitava. Situato a pretto mezzogiorno, sotto un tetto di piombo, e colla finestra sul tetto di S. Marco, pure di piombo, il cui riverbero era tremendo, io soffocava. Io non avea mai avuto idea d'un calore sì opprimente. A tanto supplizio s'aggiungeano le zanzare in tal moltitudine, che per quanto io m'agitassi e ne struggessi io n'era coperto; il letto, il tavolino, la sedia, il suolo, le pareti, la volta, tutto n'era coperto, e l'ambiente ne conteneva infinite, sempre andanti e venienti per la finestra e facienti un ronzio infernale. [...] Non esagero dicendo che le ore così impiegate m'erano talvolta deliziose, malgrado la difficoltà di respiro ch'io pativa per l'enorme caldo e le morsicature dolorosissime delle zanzare. Per diminuire la moltiplicità di queste ultime, io era obbligato, ad onta del caldo, d'involgermi bene il capo e le gambe, e di scrivere, non solo co' guanti, ma fasciato i polsi, affinché le zanzare non entrassero nelle maniche. [...] Io non posso parlare del male che affligge gli altri uomini; ma quanto a quello che toccò in sorte a me dacché vivo, bisogna ch'io confessi che, esaminatolo bene, lo trovai sempre ordinato a qualche mio giovamento. Sì, perfino quell'orribile calore che m'opprimeva, e quegli eserciti di zanzare che mi facean guerra sì feroce! [...] ovvero solamente che quel soffocante calore della mia stanza valesse a prostrare persino le forze del mio dolore? Ah! non le forze del dolore! Mi sovviene ch'io lo sentiva potentemente nel fondo dell'anima, - e forse più potentemente, perché io non avea voglia d'espanderlo gridando e agitandomi. [...] Io era ritto sul finestrone, le braccia tra le sbarre, le mani incrocicchiate: la chiesa di San Marco era sotto di me, una moltitudine prodigiosa di colombi indipendenti amoreggiava, svolazzava, nidificava su quel tetto di piombo: il più magnifico cielo mi stava dinanzi: io dominava tutta quella parte di Venezia ch'era visibile dal mio carcere: un romore lontano di voci umane mi feriva dolcemente l'orecchio. In quel luogo infelice ma stupendo [...] E chiudea la mia orazione intenerito, confortato, e poco curante delle morsicature che frattanto m'aveano allegramente dato le zanzare. Quella sera, dopo tanta esaltazione, la fantasia cominciando a calmarsi, le zanzare cominciando a divenirmi insoffribili [...] Passeggiai, finché intesi canterellare: “Sognai, mi gera an gato, E ti me carezzevi”. [...] Finì la state; nell'ultima metà di settembre, il caldo scemava. Ottobre venne; io mi rallegrava allora d'avere una stanza che nel verno doveva esser buona. Ecco una mattina il custode che mi dice avere ordine di mutarmi di carcere.“E dove si va?” “A pochi passi, in una camera più fresca.” “E perché non pensarci quand'io moriva dal caldo, e l'aria era tutta zanzare, ed il letto era tutto cimici? [...] Bench'io avessi assai patito in quel carcere, mi dolse di lasciarlo; non soltanto perché nella fredda stagione doveva essere ottimo [...] Il luogo ove mi posero era pur sotto i Piombi, ma a tramontana e ponente, con due finestre, una di qua, l'altra di là; soggiorno di perpetui raffreddori, e d'orribile ghiaccio ne' mesi rigidi. La finestra a ponente era grandissima; quella a tramontana era piccola ed alta, al disopra del mio letto. M'affacciai prima a quella, e vidi che metteva verso il palazzo del patriarca. Altre prigioni erano presso la mia, in un'ala di poca estensione a destra, ed in uno sporgimento di fabbricato che mi stava dirimpetto. In quello sporgimento stavano due carceri, una sull'altra. La inferiore aveva un finestrone enorme [...] Volli quindi esaminare dove guardasse l'altra mia finestra. Posi il tavolino sul letto e sul tavolino una sedia, m'arrampicai sopra, e vidi essere a livello d'una parte del tetto del palazzo. Al di là del palazzo appariva un bel tratto della città e della laguna. Mi fermai a considerare quella bella veduta [...] Dalla finestra grande io vedeva, oltre lo sporgimento di carceri che mi stava in faccia, una estensione di tetti, ornata di camini, d'altane, di campanili, di cupole, la quale andava a perdersi colla prospettiva del mare e del cielo. Nella casa più vicina a me, ch'era un'ala del patriarcato [...] Era un grande incendio, a un tiro di schioppo dalle nostre carceri. Prese alla casa ov'erano i forni pubblici, e la consumò. La notte era oscurissima, e tanto più spiccavano que' vasti globi di fiamme e di fumo, agitati com'erano da furioso vento. Volavano scintille da tutte le parti, e sembrava che il cielo le piovesse. La vicina laguna rifletteva l'incendio. Una moltitudine di gondole andava e veniva. Io m'immaginava lo spavento ed il pericolo di quelli che abitavano nella casa incendiata e nelle vicine, e li compiangeva. Udiva lontane voci d'uomini e donne che si chiamavano: Tognina! Momolo! Beppo! Zanze!. Anche il nome di Zanze mi sonò all'orecchio! Ve ne sono migliaia a Venezia [...] non essere arsi se non i forni e gli annessi magazzini, con grande quantità di sacchi di farina. [...]

F. Guardi, L'incendio di Santa Marcuola (1789)
- Addì 11 gennaio (1822), verso le 9 del mattino, Tremerello coglie un'occasione per venire da me, e tutto agitato mi dice:“Sa ella che nell'isola di San Michele di Murano, qui poco lontano da Venezia, v'è una prigione dove sono forse più di cento carbonari?” [...] “Sono il custode delle carceri di San Michele, dov'ella dev'essere tradotta.” Il custode de' Piombi consegnò a questo i denari miei, ch'egli avea nelle mani. Dimandai ed ottenni la permissione di far qualche regalo a' secondini. Misi in ordine la mia roba, presi la Bibbia sotto il braccio, e partii. Scendendo quelle infinite scale, Tremerello mi strinse furtivamente la mano; parea voler dirmi: "Sciagurato! tu sei perduto".Uscimmo da una porta che mettea sulla laguna; e quivi era una gondola con due secondini del nuovo custode. Entrai in gondola, ed opposti sentimenti mi commoveano: - un certo rincrescimento d'abbandonare il soggiorno dei Piombi, ove molto avea patito, ma ove pure io m'era affezionato ad alcuno, ed alcuno erasi affezionato a me, - il piacere di trovarmi, dopo tanti mesi di reclusione, all'aria aperta, di vedere il cielo e la città e le acque, senza l'infausta quadratura delle inferriate, - il ricordarmi la lieta gondola che in tempo tanto migliore mi portava per quella laguna medesima [...] Volgendo tai pensieri, giunsi a San Michele, e fui chiuso in una stanza che avea la vista d'un cortile, della laguna e della belle isola di Murano. [...] Scendemmo la magnifica scala de' giganti, ci ricordammo del doge Marin Faliero, ivi decapitato, entrammo nel gran portone che dal cortile del palazzo mette sulla piazzetta, e qui giunti voltammo verso la laguna. A mezzo della piazzetta era il palco ove dovemmo salire. Dalla scala de' giganti fino a quel palco stavano due file di soldati tedeschi; passammo in mezzo ad esse.Montati là sopra, guardammo intorno, e vedemmo in quell'immenso popolo il terrore. Per varie parti in lontananza schieravansi altri armati. Ci fu detto, esservi i cannoni colle micce accese dappertutto. [...] Il capitano tedesco gridò che ci volgessimo verso il palazzo e guardassimo in alto. Obbedimmo, e vedemmo sulla loggia un curiale con una carta in mano. Era la sentenza. La lesse con voce elevata. [...] Regnò profondo silenzio sino all'espressione: condannati a morte. Allora s'alzò un generale mormorio di compassione. Successe nuovo silenzio per udire il resto della lettura. Nuovo mormorio s'alzò all'espressione: condannati a carcere duro, Maroncelli per vent'anni, e Pellico per quindici. [...] La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. [...] Uno sbirro c'incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinché ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina.
Riporto qui di seguito alcuni passi notevoli, che ho trovato nel corso della lettura.
"Avviene in prigione come nel mondo. Quelli che pongono la lor saviezza nel fremere, nel lagnarsi, nel vilipendere, credono follia il compatire, l'amare, il consolarsi con belle fantasie, che onorino l'umanità ed il suo Autore". Capo XXII
"il mio impegno d'acquistare una calma costante, non movea tanto dal desiderio di diminuire la mia infelicità, quanto dall'apparirmi brutta, indegna dell'uomo, l'inquietudine. Una mente agitata non ragiona più: avvolta fra un turbine irresistibile d'idee esagerate, si forma una logica sciocca, furibonda, maligna: è in uno stato assolutamente antifilosofico, anticristiano. [...] Non v'è grandezza d'animo, non v'è giustizia senza idee moderate, senza uno spirito tendente più a sorridere che ad adirarsi degli avvenimenti di questa breve vita. non ha qualche valore, se non nel caso rarissimo, che sia presumibile d'umiliare con essa un malvagio e di ritrarlo dall'iniquità.[...] L'uomo si reputa migliore, aborrendo gli altri. Pare che tutti gli amici si dicano all'orecchio - Amiamoci solamente fra noi; gridando che tutti sono ciurmagli sembrerà che siamo semidei - Curioso fatto, che il vivere arrabbiato piaccia tanto! Vi si pone una specie d'eroismo. Se l'oggetto contro cui ieri si fremeva è morto, se e cerca subito un altro. - Di chi mi lamenterò oggi? chi odierò? sarebbe mai quello il mostro?...Oh gioia? l'ho trovato. Venite, amici, laceriamolo!" Capo XVII
"L'uomo infelice ed arrabbiato è tremendamente ingegnoso a calunniare i suoi simili e lo stesso Creatore. L'ira è più immorale, più scellerata che generalmente non si pensa. Siccome non si può ruggire dalla mattina alla sera, per settimane, e l'anima, la più dominata dal furore, ha di necessità i suoi intervalli di riposo, quegli intervalli sogliono risentirsi dell'immoralità che li ha preceduti. Allora sembra d'essere in pace, ma è una pace maligna, irreligiosa; un sorriso selvaggio, senza carità, senza dignità; un umore di disordine, d'ebbrezza, di scherno." Capo XXIV
"Ogni volta che l'uomo cede alquanto alla tentazione di snobilitare il suo intelletto, di guardare le opere di Dio colla infernal lente dello scherno, di cessare dal benefico esercizio della preghiera, il guasto ch'egli opera nella propria ragione lo dispone a facilmente ricadere." CAPO XXV
"Il conversare cogli uomini degradati degrada, se non si ha una virtù molto maggiore della comune, molto maggiore della mia." CAPO XL
"La somma delle viltà è d'essere schiavo de' giudizi altrui, quando hassi la persuasione che sono falsi" CAPO LXX
L'ultimo passo secondo me notevole, esprime il pensiero di Silvio Pellico, quando un cittadino è sottoposto ad un "governo cattivo". Argomento attuale, quindi...
"Fra i motivi che mi faceano condannare le ultime rivoluzioni compiute o tentate, certamente è necessario annoverare la mia piena adesione ai principii dell'Evangelo, il quale non permette siffatte imprese della violenza. Non già che fossi divenuto fautore della servitù, e nemico dei lumi; ma io ero convinto che i lumi non debbono diffondersi se non con mezzi legittimi e giusti, mai coll'abbattere un potere costituito, e coll'inalzare la bandiera della guerra civile. Da punto in cui cessarono i miei dubbi intorno alla religione, e credei fermamente alla verità della fede cattolica, non potei più ammettere che l'amor della patria possa derivare altronde le sue inspirazioni che dal cristianesimo, che vuol dire odio profondo contro l'ingiustizia congiunto all'amore del bene pubblico, ma colla ferma risoluzione di non commettere il male per la speranza di un bene. Un governo è cattivo? non v'è altro compenso che l'andarsene, o restare soggetto alle sue leggi senza aver parte ne' suoi errori, e perseverare nella pratica di ogni virtù, non escluso il sacrifizio della vita se occorra, anzichè rendersi complice di qualsiasi iniquità. Del resto, se nella mia gioventù i miei principi politici erano più esaltati, io non li aveva mai spinti fino alla demagogia e al disprezzo di tutte le antiche leggi. Gli adepti del giacobismo mi erano odiosi. L'ardente amore della mia patria non eccedeva in me il desiderio di un governo nazionale, e della cacciata dello straniero che vi fa da padrone." Cap. aggiunto IV

La fortezza dello Spielberg, in un dipinto, laddove fu condotto Silvio Pellico. In epoca risorgimentale fu tristemente noto come luogo di prigionia di vari patrioti italiani.

venerdì 29 febbraio 2008

Giustizia per Federico Aldrovandi:renovatio nella Polizia di Stato


C'è una madre in Italia, che chiede dal suo Blog, di "accendere una luce sul buio che doveva coprire la morte di suo figlio". Un lumicino provo ad accenderlo anch'io sulla vicenda, cercando con l'occasione di capire perchè la maggior parte delle persone quando viene fermata dalla Polizia di Stato, ha paura, invece di sentirsi protetta.

Il corpo tumefatto di Federico Aldrovandi, un giovane nato a Ferrara il 17 luglio 1987 e mortovi il 25 settembre 2005 all'età di 18 anni, dopo una collutazione con 4 agenti della Polizia di Stato. La madre di Federico Aldrovandi, è stata costretta a pubblicare sul suo Blog questa foto del figlio scattata in obitorio, perchè all'inizio la tesi della questura tendeva a sostenere che il giovane fosse morto a causa di una overdose dovuta alle droghe che aveva ingerito (francobolli all’Lsd o ecstasy). In effetti la foto, che evidenzia le ecchimosi dovute alle percosse, si commenta da sola.
All’alba del 25 settembre 2005 il diciottenne Federico Aldrovandi, incesurato, muore ammanettato a faccia in giù, in una pozza di sangue durante un controllo di polizia. Purtroppo in una simile vicenda ovviamente i contorni sono poco chiari. Non voglio qui ripercorrere l'intera vicenda che peraltro è complessa e largamente trattata nel web (vedi l'articolo "Uno squillo nell'alba di Federico" del Corriere della Sera ), ma nel documentarmi mi sono soffermato su due elementi oggettivi, che mi paiono importanti ed inconfutabili:
  1. Due manganelli furono rotti nella collutazione tra i 4 agenti e Federico. (vedi dichiarazione dell'allora Ministro Giovanardi in Parlamento nel corso di una interrogazione parlamentare)
Nel prossimo video, con Federico ormai morto ed accasciato sull'asfalto si sente distintamente un poliziotto dire "eh, sono l'unico che ha il portafoglio" (di federico) e poi una fragorosa risata.
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Da questi due fatti oggettivi, e quindi non confutabili dalla accusa e dalla difesa, credo che nascano delle considerazioni spontanee. Possibile che 4 agenti siano costretti ad usare e quindi a rompere dei manganelli sulla testa di un 18 enne disarmato pur di immobilizzarlo? La cultura del manganello, è l'unica parola della polizia? Se 4 poliziotti sono costretti a usare il manganello per immobilizzare un giovane disarmato, non è meglio che cambino mestiere? Non mi risulta che nessuno dei 4 polizziotti abbia riportato alcuna contusione. Ipotizziamo anche che Federico, fosse in preda ad una crisi a causa delle droghe che pare avesse assunto, il comportamento di 4 professionisti delle forze dell'ordine è quello di rompergli 2 manganelli sulla testa? E poi, possibile che la morte di un ragazzo di 18 anni, una giovane vita spezzata, dia la possibilità ad un poliziotto a pochi metri dal corpo esamine di ridere in modo fragoroso dopo una battuta di un collega? No, davvero, la madre di Federico ha ragione a gridare che qualcosa in questa faccenda davvero non torna.

Federico, alla sera andava a distribuire le pizze per non gravare troppo sull'economia della famiglia. Meritava uno Stato che funziona, che capisce i giovani e le loro problematiche (alle 5 del mattino purtroppo è pieno di giovani impasticcati che ritornano a casa, ed il manganello non è il modo per dialogare con loro) e che punisce in modo trasparente chi tra i suoi rappresentanti compie abusi di potere. Anche nella sventurata ipotesi che Federico cantasse e sbraitasse in preda a sostanze dopanti, che fosse aggressivo o manesco (come riportano le fonti della polizia), resta il fatto che Federico era disarmato, e quindi i lividi sul suo volto, il suo sangue, sono le immagini di un omicidio.
La madre di Federico nel suo Blog dice tra le tante cose "Si pensi che la macchina della polizia contro la quale si sarebbe fatto male mio figlio, non è stata sequestrata ed è stata lavata e riparata sottraendola all’esame dei periti del GIUDICE. Si pensi che i manganelli rotti sul corpo di mio figlio non sono stati sequestrati ma sono stati consegnati, ripuliti, solo dopo l’esplosione del blog."
Quella mattina in una delle volanti c'era un defibrillatore. Uno degli agenti aveva anche fatto il corso per poterlo utilizzare. Invece di sentire degli agenti di Polizia ridere maneggiando il portafoglio di Federico, sarebbe stato bello sentirli concitati nel cercare di salvargli la vita con il defibrillatore dopo averne accertato l'arresto cardiaco. Questo significa essere dei professionisti, degli uomini. I picchiatori, non sono degli uomini.

Punto GPS N 14°24.644 W 003°19.699. La solidarietà accesasi intorno al caso di Federico si è materializzata nella costruzione di pozzo per l'approvigionamento di acqua in Mali. Il pozzo, entrato in funzione nell'agosto 2007 e costato 5050 € , è stato finanziato dagli amici di Federico.
Che la Polizia di Stato abbia un bisogno estremo di rinnovarsi e di far emergere dentro di se personale altamente qualificato, lo si evince dai numerosi filmati che ho raccolto. Il fatto che sia un mestiere difficile e pericoloso, sottopagato piuttosto che dimenticato dallo Stato, non può diventare una eterna scusante che giustifichi innumerevoli episodi in cui la reazione delle forze dell'ordine è risultata sproporzionata alla minaccia se non del tutto arbitraria.
In Italia, ci sono tanti altri lavori che sono molto più pericolosi e sottopagati: penso a quei "cavatori" che ricorda Luis Sepulveda nel suo "Le rose di Atacama", in cui peraltro si rammenta che nella zona di Carrara muoiono da sei a otto cavatori all'anno (la polvere di marmo è una maledizione bianca che pian piano pietrifica i polmoni), penso ai lavoratori edili generici nei tanti cantieri italiani, che cadono come mosche nell'indifferenza generale.
Gli episodi, che mi sono rimasti impressi particolarmente in questi anni, vanno dalle violenze della polizia e di altri corpi al G8 di Genova (2001), all'assassinio di Federico Aldrovandi (2005) e di Gabriele Sandri (2007).
Per quanto riguarda i fatti del G8 di Genova, io rimango convinto che un qualsiasi drappello di poliziotti o carabinieri non debba in nessun caso, mai e poi mai, arretrare di fronte a bande di facinorosi, a meno che la ritirata non possa perpetrarsi in modo del tutto composto e tale da alleggerire una situazione pesante. A Genova, nel 2001, ho visto drappelli delle forze dell'ordine ritirarsi in modo caotico e confuso, rendendo le orde di scalmanati ancora più aggressive, come se si stesse giocando al gatto che rincorre il topo. Carlo Giuliani, è morto proprio durante il ritiro caotico del 12° Battaglione Sicilia dei Carabinieri. Se una camionetta dei carabinieri non si fosse trovata isolata e i suoi occupanti non fossero stati colti dal terrore, forse Carlo Giliani sarebbe ancora vivo. Questo la dice lunga sull'impreparazione, delle nostre forze dell'ordine, e sulla responsabilità ancora più grave, di chi in quella occasione, ha messo personale senza esperienza (ad esempio Mario Placanica, il carabiniere che materialmente sparò uccidendo Carlo Giuliani) a fronteggiare una tale situazione. Nessuno mette in dubbio l'aggressività dei manifestanti, ma è anche vero che esistono gli strumenti dissuasivi idonei per non indietreggiare di fronte a centinaia di scalmanati, fino ad arrivare all'estremo rimedio, cioè sparare proiettili di gomma.
    Sequenze fotografiche della morte di Carlo Giuliani.
Oltre alle sopraccitate ritirate caotiche di molti reparti, che non hanno fatto altro che aumentare il disordine, la scarsa professionalità di una parte delle forze dell'ordine si è manifestata nella totale mancanza di coordinamento tra i reparti coinvolti (sembra non funzionassero bene le comunicazioni radio, figuriamoci in caso di conflitto), un atteggiamento sprezzante fascista politicamente orientato contro i manifestanti, l'abuso di potere concretizzatosi in percosse gratuite ed offese morali inutili. Testimonianza di quanto appena detto, sono i prossimi video. Ogni calcio in più ad un manifestante inerme, è un calcio all'onorabilità del corpo di cui fa parte il funzionario dello Stato; questo è il mio modo di pensare. Il primo filmato testimonia l'utilizzo criminale dei blindati contro i manifestanti. Questa non è professionalità. Basterebbe che uno di quei blindati sbandasse perchè un manifestante muoia.
Il secondo filmato testimonia l'utilizzo di armi improprie da parte dei carabinieri.
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Le nostre forze dell'ordine hanno suscitato anche perplessità all'estero, poichè duranti partite di calcio a livello europeo (Roma - Manchester United) si sono messe in evidenza per un utilizzo indiscriminato del manganello, che può causare lesioni interne anche molto gravi.
L'episodio che comunque, ha lasciato sconcertati molti italiani, credo sia stato non molti mesi fa, una conferenza stampa surreale, con il portavoce della Polizia Roberto Sgalla (lo stesso del G8 di Genova) che chiede ai cronisti di non fare domande e il questore di Arezzo Vincenzo Giacobbe che racconta una storia in cui un poliziotto della stradale ("un ottimo elemento che di solito opera benissimo") spara due colpi in aria ma colpisce un giovane tifoso laziale seduto sul sedile posteriore della Megane Scenic che stava lasciando l'area di servizio di Badia al Pino. Gabriele Sandri. 
Ora che un questore in Italia, si possa permettere di prendere in giro i cittadini dicendo che un agente ha sparato in aria ed un giovane di 28 anni, Gabriele Sandri, contemporaneamente viene colpito al collo da un proiettile e muore, forse diventa imbarazzante per quella che ufficialmente si dice essere una democrazia. Tale episodio la dice lunga sul clima omertoso e autoreferenziale che si respira nella Polizia di Stato.

Gli ultimi episodi hanno visto la polizia distinguersi particolarmente nel manganellare i cittadini che protestavano a Marigliano (NA) per questioni legate allo smaltimento dei rifiuti.
La Polizia, deve rinnovarsi. La cultura del manganello non paga. La violenza crea violenza. Anch'io nel lontano 2002, ho avuto un incontro ravvicinato alle 4 del mattino con una volante della Polizia impazzita. Avevo 22 anni. Voglia di chinarmi al potere arbitrario zero, orgoglio come sempre da vendere. Mi ero fermato dopo essermi imbattuto in un incidente stradale sul Terraglio (strada che collega Mestre a Treviso), in cui non ero minimamente coinvolto. Ero rimasto scioccato dal fatto che avevo visto una persona dolorante venire estratta dalle lamiere. Figuratevi cosa mi successe per aver avuto il coraggio di dire ai due poliziotti della volante che sopraggiunse, che erano in notevole ritardo. Per un paio d'ore, in modo arbitrario sono stato tenuto sotto le intemperie al freddo, anche dopo che i protagonisti dell'incidente e le loro autovetture erano state portate via. Denigrato, trattato come un criminale. Me la volevano far pagare. La pressione psicologica era fortissima. Quella notte era in corso una tempesta. Subii gravi ingiustizie, una per tutte la contestazione della guida in stato d'ebbrezza e relativo sequestro del veicolo, quando quei poliziotti non mi avevano mai visto guidare visto che erano stati chiamati li per un incidente stradale; ingiustizie che mi spinsero per fortuna a non firmare il verbale stillato da quel Poliziotto. Ma a questo mondo a volte esiste una Giustizia. Il medesimo poliziotto nell' Aprile del 2007 venne arrestato per concussione. 

Nel 2002 avevo lasciato depositato agli atti, tra le altre cose quanto segue "Io continuavo ad avere la sensazione che il funzionario ce l’avesse con me, per ciò che avevo detto riguardo il ritardo nell’arrivo del posto e che me la volesse far pagare, tant’è vero che ad un certo punto scoraggiato dall’atteggiamento del funzionario di Polizia, che a mio avviso si disinteressava dell’incidente per accanirsi su di me, ho chiamato i Carabinieri (112) e nuovamente la Polizia Stradale". Nel 2007 al medesimo poliziotto sono stati contestati decine di episodi dove terrorizzava gli automobilisti nel Veneto facendosi scudo della divisa. Gli atteggiamenti intimidatori, provocatori, persecutori e assurdi verso gli automobilisti, erano gli stessi che aveva assunto verso la mia persona nel 2002.Vi rendete conto, di quanti danni possa causare anche soltanto un agente corrotto?
La Polizia inoltre deve imparare a confrontarsi con i giovani. E' difficile trovare in Italia, un giovane che pensi che la Polizia sia amica del cittadino. Perchè una simile fama? Perchè quelle pantere sulle volanti ad intimorire, e non una politica di avvicinamento a quello che è il cittadino comune. Gli occhiali scuri, tipo rambo, i modi di fare bruschi ed arbitrari perchè, perchè, perchè? Non puoi chiedere ad un giovane di abbassare lo sguardo perchè è un poliziotto ad intimartelo. Io penso di capire la situazione nella quale è morto Federico Aldrovandi.
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Non ho mai capito perchè, le volanti con a bordo persone che detengono un potere enorme, tra cui anche quello di uccidere loro simili, non vengano dotate di telecamere in modo che il "controllore sia effettivamente a sua volta controllato", anche nel suo interesse. Chi impugna manganelli, pistole, o qualsiasi arma che possa arrecare offesa, e detiene il potere di preservare l'ordine, dovrebbe avere tutto l'interesse affinche vi sia una prova costante ed inconfutabile del pieno rispetto delle leggi. Finchè non verrà installata una telecamera per ogni volante, esisteranno sempre delle zone d'ombra, che vanno a discapito dei più deboli e di chi tra i poliziotti fa questo lavoro in modo onesto e non violento, per quanto possibile.

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