mercoledì 28 novembre 2007

Il nucleare rispetta il valore di una vita?

Micheal e Vladimir due fratelli, a cui il nucleare ha spezzato la vita

Un mio pensiero. Uno Stato serio, non insegue ed asseconda gli usi e costumi, e quindi i vizi del proprio popolo. Se il popolo spreca l'energia, se ne consuma troppa, dovrebbe restare al buio, a meno che non si voglia imitare la California che in preda sempre più ai black out ed agli incendi, è un enorme condizionatore, che butta fuori aria calda senza preoccuparsi del perchè cresca la temperatura all'esterno esponenzialmente. E' il gatto che si morde la coda: fa caldo? allora abbasso la temperatura producendo calore. Lo Stato dovrebbe promuovere energie alternative, premiare concretamente i comportamenti di coloro che rispettano il pianeta che abitiamo; invece c'è chi, non preoccupandosi delle ricadute delle proprie dichiarazioni, ancora propone l'utilizzo di energie, che poco hanno a che fare con la dimensione dell'uomo e della natura. Ci sono delle forze, che non andrebbero rianimate. La forza di un vulcano, è temuta dall'uomo, altrimenti il Vesuvio non sarebbe continuamente monitorato. Il nucleare va temuto.

Il leader udc Casini si era detto pronto a far costruire una centrale anche a roma «Vado in piazza per dire sì al nucleare» «Domani sarò in piazza per dire torniamo al nucleare, facciamo una scelta coraggiosa anche se impopolare» Clicca qui per vedere l'articolo completo.

Adriano Celentano - Sognando Chernobyl

Il nucleare. Il nucleare, non è il fuoco scoperto da Prometeo. Magari fosse un elemento amico dell'uomo. E' una forza che nel momento in cui è stata annessa dall'uomo ne ha sancito anche la possibile estinzione. Le scorie radioattive non si spengono, come si fa per un incendio. E' come se un incendio durasse centinaia d'anni. Il nucleare è una forza mostruosa e spaventosa, capace di spazzare via le coscienze; è inumana. E' il nulla.
Spaventa che la storia non insegni nulla. Spaventa che il disastro di Chernobyl sia già stato dimenticato dai più, nel nome di un finto progresso, che sta invece distruggendo questo pianeta. le istituzioni non si fermano a riflettere sui comportamenti reali delle persone e sulla loro sostenibilità per il pianeta.

No grazie, preferisco campi di grano, un cavallo ed una allegra vendemmia in compagnia.


Gli attivisti di Greenpeace entrano in azione al congresso del WEC - il Consiglio Mondiale dell'Energia (20° Congresso mondiale dell'energia Roma 11 - 15 novembre 2007 ) - per dire NO al nucleare come risposta ai cambiamenti climatici.
Esplosione nucleare di Hiroshima.

Hiroshima, durante la seconda guerra mondiale, fu risparmiata dai bombardamenti americani ma il 6 agosto 1945 alle 8:16 (ora locale) Little Boy, la prima bomba atomica ad essere utilizzata in un conflitto militare, esplose ad un altitudine di 576 metri con una potenza pari a 12.500 tonnellate di TNT. Little Boy provocò: circa 130.000 morti, 177 mila persone sfollate, e morte negli anni successivi, dovuta alle radiazioni.

Esplosione nucleare.

martedì 20 novembre 2007

"Esperanza" è l'unica speranza per fermare la "caccia alle balene per scopi di ricerca scientifica"


Come vengono uccise le balene? Un arpione esplosivo penetra nel corpo dell’animale e poi esplode provocando squarci di almeno 20 centimetri che vanno via via ampliandosi. Le balene muoiono tra atroci sofferenze e, spesso, dopo una lunga agonia. Si stima che, in media, il tempo minimo in cui sopraggiunge la morte per l’animale ferito è di almeno due minuti, ma si registrano moltissimi casi di agonia durata più di un’ora e, addirittura, fino a cinque ore.
Ogni anno il governo giapponese è autore di una mattanza ingiustificata nelle acque dell'Oceano Meridionale Articolo tratto da ANSA 2007-11-20 ore 17:31
SYDNEY - Peggiora invece di migliorare, la sorte delle balene del Pacifico. Domenica una flotta baleniera giapponese è salpata per quella che potrebbe diventare la caccia più vasta degli ultimi 20 anni, con un obiettivo di oltre mille grandi cetacei, tra i quali per la prima volta figurano anche le megattere, a rischio di estinzione secondo gli ambientalisti, e particolarmente amate dai whales watchers per i loro caratteristici salti acrobatici fuori dall'acqua. La mossa dei giapponesi ha suscitato le ire della Nuova Zelanda e dell'Australia, che hanno presentato formale protesta attraverso i propri ambasciatori a Tokyo. "L'Australia è contro ogni forma di caccia delle balene, chiediamo formalmente al Giappone di riconsiderare le proprie decisioni", ha detto il ministro degli Esteri australiano Alexander Downer. Altri in Australia sono stati meno diplomatici. Da Canberra il ministro ombra per gli Affari esteri, Robert McClelland, ha invocato l'uso della marina militare come deterrente contro le baleniere giapponesi, che spesso pescano anche dentro i confini delle aree protette, soprattutto nei mari antartici. La premier neozelandese Helen Clark ha usato parole durissime: "I pescherecci giapponesi avrebbero fatto meglio a restarsene a casa loro, invece di venire qui nascondendosi sotto l'imbroglio di una missione scientifica, quando vogliono semplicemente uccidere mille balene". Il Giappone aveva ufficialmente abbandonato la caccia commerciale alle balene nel 1986, ubbidendo alla moratoria internazionale, per passare dall'anno successivo a quello che continua a chiamare caccia per scopi di ricerca scientifica. Il portavoce di Greenpeace, Steve Shallhorn, ha sottolineato oggi che i biologi marini d'Australia e altri paesi del Pacifico hanno più volte sostenuto che le informazioni scientifiche sulle balene si possono ottenere senza uccidere gli animali. Greenpeace ha promesso di tallonare le sei navi peschereccio con la loro nave ammiraglia Esperanza, già posizionata al largo delle coste giapponesi.

La nave di Greenpeace, l'Esperanza. 


Per quattro mesi - tanto durerà la stagione - l'organizzazione ambientalista cercherà di ostacolare i giapponesi, chiedendo la sospensione della caccia e impegnandosi in azioni di lotta non violenta, come ha già fatto in passato. "Questa non è scienza, è un business mascherato da scienza. Le balene sono animali protetti e noi vogliamo che la legge sia rispettata", ha detto dalla Esperanza il capo della spedizione Karli Thomas, all'agenzia di stampa australiana Aap. La piccola flotta che ha lasciato il porto di Shimonoseki setaccerà per quattro mesi le acque dei mari del sud del Pacifico fino all'Antartide, e si teme che sconfinerà nella zona che l'Australia ha dichiarato parco marino dedicato proprio ai cetacei. L'obiettivo è la pesca di 935 balenottere dal rostro, 50 balenottere azzurre e 50 megattere, queste ultime fino ad ora mai cacciate. Il passaggio delle megattere lungo le coste dell'Australia è uno degli appuntamenti più attesi da turisti e animalisti, per i salti spettacolari fuori dall'acqua, e per la docilità dei grandi cetacei, che si lasciano avvicinare dalle barche e, in alcuni casi, persino dai surfisti. Quattro anni fa una di queste balene era entrata nella baia di Sydney, nuotando tra i traghetti e le barche fino all'Opera House. Ora la nuova stagione delle baleniere giapponesi mette a rischio di sopravvivenza, oltre alle balene stesse, anche l'industria australiana del whale-watching, che ha un giro d'affari di 180 milioni di euro l'anno. Sono migliaia le persone che ogni anno arrivano sulle coste orientali del continente per osservare il passaggio delle megattere che dall'Antartide risalgono le coste per partorire nelle acque più calde della barriera corallina, ridiscendendo poi alla fine dell'estate accompagnate dai piccoli.

sabato 17 novembre 2007

Kuki Gallmann, una veneta africana, cittadina del mondo.

Tratto da un articolo a cura di sandro murtas Pubblicato il 28/08/2004

"Trasferitasi dall'Italia In Kenya negli anni '70, seguendo l'amore per Paolo Gallmann, suo secondo marito, ma anche il suo istinto e..... forse già da allora, il suo destino. Portò con sè anche Emanuele, suo figlio, e un pò di nostalgia per la campagna veneta, dove aveva passato la sua infanzia. Penso che lei abbia sempre avuto il Kenya dentro, l'amore per gli spazi sconfinati e la natura allo stato puro; infatti al suo arrivo a "Ol Ari Nyiro", scrutando oltre la casa da riassestare e vedendosi la maestosità dell'antica Rift Valley, esclamò qualcosa come: "sono a casa!" Aveva trovato ciò che stava cercando! Dal quel momento, niente l'avrebbe più sradicata da quell'"Eden", neppure le peggiori tragedie che possano capitare ad una persona : la perdita della persona che si ama e, ancor più, del proprio figlio!! Perchè "perdere l'amato compagno è un dolore atroce, ma perdere il proprio figlio è contro natura".
Paolo Gallmann morì nel 1980, in un incidente stradale, qualche mese prima della nascita di Sveva, loro figlia. Emanuele si spense tre anni dopo a soli 17 anni, nelle braccia della madre, a causa di un morso di vipera dalla quale stava estraendo il veleno; i serpenti erano la sua passione fin dal primo momento che mise piede in Kenya: una specie d'attrazione mistica e fatale! Mi piace pensare che la prima parola di swahili che Ema abbia imparato sia "nyoka"( serpente ).
Sembrerebbe la tragica fine di una storia finita, invece è soltanto l'inizio di una grande impresa, di una missione che solo la caparbietà e la forza di una grande donna aiutata dalla onnipresenza di due spiriti che l'hanno sostenuta e le danno man forte nei momenti difficili. Si, perchè Paolo ed Emanuele sono scomparsi solo materialmente, ma i loro spiriti dimorano sotto due alberi di acacia nel giardino di Kuti; gli stessi alberi simbolo della ovvero la causa per cui la famiglia Gallmann si è sempre battuta da quando è arrivata in Kenya: la salvaguardia del patrimonio naturale e faunistico e la sua coesistenza con l'uomo ed il suo progresso. Nel 1980, quando l'uccisione di rinoceronti ed elefanti divenne una grande minaccia, Paolo e Kuki fecero diventare Ol Ari Nyiro, 100 mila acri di terreno sugli altopiani kenioti, ai piedi della Grift Valley, una riserva naturalistica, intenti a preservare la vita e le bellezze del posto. Nel 1984, dopo la scomparsa di Ema, Kuki Gallmann fondò in memoria del figlio e del marito, il GMF (Gallmann Memorial Foundation), volendo dimostrare l'armoniosa coesistenza dell'uomo con la natura e la vita selvaggia; infatti nella tenuta vivono e lavorano diverse tribù indigene e trovano spazio elefanti, rinoceronti, leopardi e tantissime altre specie di animali immersi in una ricchisssima e varia vegetazione. Il GMF è oggi anche un centro studi ed educazione ambientale per i giovani kenioti che affrontano dei corsi per prepararsi a difendere l'ambiente in cui vivono. Tutto questo senza scopo di lucro! Questa donna è riuscita a superare mille ostacoli e le asperità di una terra, il Kenya, che tanto dà, ma che tantissimo pretende; è riuscita a fare di una tragedia familiare una ragione di vita, e ogni giorno onora la memoria di Paolo e Emanuele con il duro lavoro di chi ama profondamente quella terra. Dal 1997 cittadina Keniota, può contare sull'aiuto di sua figlia Sveva, oramai ventenne, e di tuuti coloro che hanno capito quanto grande e giusta è la sua impresa. Kuki Gallmann ha scritto alcuni libri, di tipo biografico, che oltre a farci conoscere la sua esistenza, ci danno una immagine reale del Kenya degli ultimi 25 anni: la vita, le persone e i fantastici paesaggi di un posto dove il tempo sembra essersi fermato. I libri sono : "Sognando l'Africa"(tradotto in 21 lingue e fonte d'ispirazione dell'omonimo film); "Notti Africane"; "Il colore del vento"; "Elefanti in giardino".

Sveva Gallman

La successiva intervista alla poetessa e scrittrice Kuki Gallmann è stata realizzata da Valentina Acava Mmaka, una giovane sociologa, che ha vissuto dalla nascita in Sud Africa.

Cara Kuki, ti ringrazio di questo incontro. Siamo sulle colline del Mukutan, davanti a noi le gole della Grande Rift Valley. Le nostre schiene appoggiate sul tronco nodoso di un'acacia della febbre gialla, è qui che vieni spesso a ricevere le suggestioni che madre Africa dispensa ai suoi "figli" e a scrivere. Invitiamo i tuoi lettori a sederci accanto nel cerchio caro alle tradizioni dei cantastorie, per ascoltare e confrontarsi.Da trent'anni vivi in Africa, in Kenya. Nei tuoi libri questa straordinaria terra è raccontata sempre, anche nei momenti di reale drammaticità, con uno sguardo positivo, come se inevitabilmente essa fosse dispensatrice di bene. Dici di aver sempre amato la scrittura. Quando hai cominciato a scrivere con l'intenzione di uscire allo scoperto e cercare il confronto con i lettori?

Il mio primo libro è stato una catarsi. Non avevo intenzione di pubblicarlo. Lo scrissi per me, per mia figlia così che potesse capire cos'era accaduto, vedere con i miei occhi un padre che non aveva conosciuto, essendo nata qualche mese dopo la sua morte, e un fratello che aveva adorato. Lo scrissi per Paolo e per Emanuele per onorare la loro memoria. Un amico inglese, editore, mi convinse a pubblicarlo. Mi disse che altri genitori forse sarebbero stati aiutati dal mio atteggiamento positivo nel reagire alle tragedie. Allora mi sembrava impossibile. Ma si è rivelato vero.

C'è qualcuno o qualcosa che ha influito sulla tua necessità di scrivere?

Sono cresciuta in una famiglia colta dove artisti, pittori e soprattutto scrittori erano di casa. Fin dalla prima infanzia, sono stata affascinata dal suono e dalla musica delle parole. Con mio padre, leggevamo poesie a due voci, momenti magici. Mia madre è una nota storica d'arte. Mio padre scriveva. Amava i viaggi nel Sahara e si occupava di archeologia.Sono estroversa, e scrivere è sempre stato il mio modo di esprimermi, e anche un rifugio. Giovanni Comisso e Goffredo Parise erano amici della mia famiglia e commensali abituali alla nostra tavola. Io ascoltavo. Non mi sfuggiva niente. Scrissi la mia prima poesia a sei anni. S'intitolava La sera.

Tu scrivi i libri in inglese. Molti scrittori, mi vengono in mente Joseph Conrad o Samuel Beckett, hanno scelto di scrivere in una lingua diversa dalla loro lingua madre. Tu come mai scrivi in inglese? Perché secondo te si fa la scelta di una lingua letteraria diversa da quella madre?

È la lingua corrente del luogo dove ho scelto di vivere ed è ricchissima di sfumature, sintetica e precisa, che spiega benissimo dettagli e nuances in una parola sola. È una lingua internazionale che si può parlare raffinatamente, come ogni altra lingua, e forse gli studi di lingue classiche del liceo mi hanno aiutata a carpirne i segreti, perché dopo tutto, le parole più belle provengono dal latino.

Lo scrittore keniota Ngugi wa Thiong'o da anni ha fatto la scelta di scrivere solo nella lingua kikuyu, accendendo una intensa discussione sulla opportunità di "abbandonare" la lingua dei colonizzatori, in quanto scrittore africano, perché portatrice di falsi valori e soprattutto incapace di rappresentare lo spirito della gente africana. Come scrittrice e osservatrice dell'attività letteraria africana, che cosa ne pensi?

È una scelta personale, certamente dettata da motivi profondi e come ogni scelta va rispettata. Ma se si vuole che ciò che si dice sia ascoltato da molti e non solo da un numero ristretto di lettori, credo che un linguaggio universale sia più efficace. Non dimentichiamoci che in Kenya ci sono 43 tribù e ognuna ha una lingua diversa. Il kikuyu è una di queste lingue ma non è la lingua nazionale del Kenya. Posso tuttavia dire che le traduzioni dei libri non sempre riescono a trasmettere con successo il senso profondo del testo, talvolta si travisano i significati o si traduce troppo alla lettera, è anche per questo motivo che io traduco personalmente in italiano tutti i miei libri. Per quanto riguarda l'esempio di Ngugi wa Thiong'o credo che politica ed estremismo non abbiano alcuna parte nell'arte dell'espressione.

La scrittura è un esercizio che richiede solitudine. L'Africa dei grandi spazi offre questa condizione ideale per chi scrive. Qual è il tuo rapporto con la solitudine?

Io vivo sola - con i miei cani - e le mie giornate sono pienissime; scrivo di notte. Amo molto "ascoltare" il silenzio come diceva Emanuele. Il silenzio in Africa è pieno di voci e la solitudine è piena di presenze.

Che cosa rappresenta per te la scrittura? Hai sempre scritto di te, dei tuoi incontri, delle tue emozioni, dei tuoi affetti. Hai mai pensato di scrivere altre esperienze, storie che abbiano per protagonisti personaggi di invenzione?

Giovanni Comisso diceva che tutti i libri - quelli buoni - sono autobiografici. Finora i miei libri sono stai raccontati in prima persona, ma ci sono anche molti personaggi nati da persone che ho incontrato, conosciuto e amato. Ho altre storie e quando verrà il tempo giusto, le racconterò.

Come nascono i tuoi libri?

Mi siedo alla mia scrivania o sotto un albero e lascio venire i ricordi. Amo raccontare e dipingere con le parole.

Hai composto anche poesie. Cosa esprimi di diverso rispetto alla narrativa quando scrivi poesia?

Immediatezza. Cogliere l'essenza di un attimo.

Chi scrive ha sempre a che fare con la memoria. Platone diceva che la memoria è come un albero sui cui rami si posano gli uccelli. L'albero è la mente e gli uccelli sono i ricordi che vanno e vengono all'albero quando meno ce l'aspettiamo, senza preavviso. Condividi questa descrizione? Qual è il tuo rapporto con la memoria?

È una descrizione bellissima, che non conoscevo e che condivido. Spesso i ricordi ci colgono impreparati, sono inevitabili. Tutto ciò che abbiamo vissuto è scritto per sempre dentro di noi e può riemergere in ogni istante.

Nella tua vita, quella che emerge dai racconti, c'è una forte presenza di simboli, di ritualità: il fuoco, il racconto, la musica sono "forze" che hai acquisito confrontandoti quotidianamente con la civiltà africana?


Può darsi.

Nei tuoi libri si parla molto di musica. Che rapporto c'è tra musica e letteratura?


La musica è evocativa, immediata. La musica classica, il flauto delle Ande, la musica veneziana del settecento sono spesso il sottofondo delle mie sere. O il concerto impeccabile delle voci della natura, che non disturba, è nobile e aiuta il fluire dei pensieri.

La memoria dell'Africa è colma di perdite e di dolori. Qual è il tuo rapporto con il dolore?

Il dolore psicologico è una reazione a una ferita del destino. Si deve vivere il dolore fino in fondo per superarlo e andare avanti, trovare uno scopo, vivere le proprie sfide fino in fondo..

Cosa ti ha insegnato l'Africa in quanto donna, madre, moglie, figlia?

Ad accettare, ad imparare le lezioni della vita, ad andare avanti.

Quali sono le ore della giornata che dedichi alla scrittura?

La notte, di solito, o le lunghe sere.

Come scrivi? (a mano, a macchina, con il computer)

Dipende da dove mi trovo. Spesso a mano e poi in un secondo momento riporto tutto sul computer.

Hai degli autori, dei "padri" e delle "madri" letterarie che ti accompagnano nella tua crescita personale e professionale?

Sì, penso alla poesia di Giovanni Pascoli; a Leopardi; a Dante, soprattutto il quinto canto dell'Inferno; e poi St. Exupery; Wilfred Thesiger; Llewellyn Powys; Karen Blixen.

Hai dei rapporti diretti con la letteratura africana?

In Africa orientale la tradizione è soprattutto orale. I canti delle donne Pokot , Turkana, Sambuu sono come un suono della natura.

Qual è l'immagine o l'incontro più bello che ti lega all'Africa?


Mille ricordi ... Cheptosai Selale, la vecchia donna delle erbe. Una vera amica. Ne parlo nel mio ultimo libro. Joseph, Michael. Incontri speciali. Sedermi tra la tomba di Paolo e quella di Emanuele, sotto gli alberi che sono diventati, e poterli sentire vicinissimi. Sveva, la sua bellezza radiosa la sua mente vivace e intelligentissima. La foresta di Enghelesha protetta con le sue creature e i suoi misteri e il lago Baringo, uguale nella lontananza della valle del grande Rift. La luna piena sul mio prato e gli storni, come usignoli.

Sei fondatrice della Gallmann Memorial Foundation che si occupa di salvaguardare il territorio africano, coinvolgendo i giovani in corsi di educazione ambientale e sviluppo sostenibile. In che modo la letteratura c'entra con l'impegno di tutelare l'ambiente?
Ritieni che i tuoi libri contengano anche un messaggio in tal senso?


Spero proprio di sì altrimenti avrei fallito nel mio intento. Tutto ciò che faccio dalla morte di mio figlio, è cercare di proteggere l'ambiente in cui lui - e Paolo- era vissuto e dove ora vivo io e sua sorella- sua figlia. Cerco di fare qualcosa per lasciare un segno; qualcosa che non sarebbe avvenuto se Paolo e Ema non fossero vissuti e morti qui in Africa. Attraverso i miei libri si respira la vitalità della natura e delle sue infinite specie che vanno salvate dalla distruzione umana perché tutte contengono la nostra storia.

La tua Fondazione ha recentemente istituito dei concorsi letterari. Come ti è venuta questa idea e a chi sono rivolti?

Aiutare la creatività è importante, perché è al di la della politica, del tempo della guerra. Amo e rispetto i giovani e voglio aiutarli. Questo è per giovani poeti Kenyoti.

mercoledì 7 novembre 2007

Un palo fa paluo: butterflies' wings are very fragile -- please don't touch


Barene in prossimità di Passo Campalto (VE), attualmente arginate, perché quasi irrimediabilmente inquinate, dalla permanenza nell’area per decenni di un tiro al piattello sportivo. Emblematico esempio, di una generica banalizzazione delle aree di margine [1], un foro di proiettile sul cartello illustrativo della “barena”.

"L’ecosistema più produttivo al mondo, un paesaggio unico al mondo quale quello della laguna, non è ancora un parco naturale a tutti gli effetti. Soltanto le Dolomiti, o i Colli Euganei o Lessini meritavano di essere salvaguardati attraverso un Ente Parco. Il nostro primo cittadino è dagli anni ’90 che ne parla, ne parla e ne parla. Quando si tratta di istituire un parco naturale si parla solamente, quando però tanti anni fa’ c’era da costruire il Petrolchimico, l’aeroporto sul bordo della laguna, ed ora possibili sublagunari, nuovi ponti inutili, grandi centri commerciali od un enorme hotel\centro congressi, porticcioli per barche lussuose, allora, tutto ciò si realizza.
Passeggiando sulle rive del Lago di Garda (Riva del Garda ad esempio) ci sono camminamenti paesaggistici, piste ciclabili, ed il paesaggio è fruibile da parte della gente attraverso innumerevoli punti di osservazione, ed invece qui nel veneziano non solo per decenni si è negato alla popolazione della terraferma un qualsiasi rapporto con la laguna (il parco di San Giuliano ha cercato di rimediare ad una epocale ingiustizia), ma abbiamo concepito opere impattanti con conseguente irrigidimento della gronda lagunare e sua marginalizzazione e scomparsa delle aree umide, fondamentali zone di transizione tra terra e acqua, capaci di sviluppare una fauna e una flora uniche; poco importa se le barene scompaiono lentamente erose dal moto ondoso di veri e proprio motoscafi che diventano “ferri da stiro”; poco importa se Mestre, è ancora una città caotica e congestionata, senza un’anima, con i livelli di pm10 nell’aria che giornalmente superano i livelli di guardia; poco importa se in centro a Mestre, lì dove una volta arrivavano gioiosi campi di grano, siano rimasti pochi fazzoletti d’erba con i nuovi “alberi antenne” della telefonia mobile, questi sono dettagli. Va tutto bene, sorridiamo alla vita, a quei magnifici tramonti rossastri nei cieli di Marghera."

Video da me girato della laguna Nord, attraversata con una barca a fondo piatto, quindi incapace di creare onde dannose capaci di erodere le barene e costruita con i vecchi criteri. Appena potrò renderò disponibile il materiale fotografico e video sulla laguna di Venezia accumulato in quest'ultimi anni. http://www.sciretti.it/tesi.pdf

[1] Un esempio per tutti: il tiro al piattello sportivo nella barena presso Passo Campalto (VE); il gestore dell’impianto, che era privo di autorizzazioni comunali e del Magistrato alle acque, realizzava abusi edilizi, e in pieno dispregio alle normative ambientali, disturbava con il rumore ossessivo delle gare di tiro i residenti, ma cosa ben più grave, inquinava la laguna con il piombo sparato; i resti di piattelli disseminati a milioni sulle barene circostanti, testimoniano ancora questa poca lungimiranza. Il gestore ha tentato un’ opera di bonifica, fallita miseramente per le inadeguatezze del progetto, per il quale ha comunque ricevuto 100.000.000 £ dalla Regione Veneto. Dal 2002 l'impianto è stato chiuso dopo una ulteriore diffida del Magistrato alle acque, su pressione del Comitato per la salvaguardia dell’ambiente di Campalto "La Salsola", ma le strutture abusive non sono state smantellate. Fonte: Pino Sartori, biologo, cofondatore del Comitato per la salvaguardia dell’ambiente di Campalto "La Salsola".

sabato 3 novembre 2007

Fortezze marine e le prime radio pirata

Ad integrazione dell'articolo Megaprojects e la nuova frontiera delle isole artificiali: “Palm Island” e The World”, la colonizzazione del mare è iniziata pubblicato su questo Blog il 01/09/2007

Red Sands Maunsell Towers

Five of Red Sands Fort's 7 towers. The seven towers of Red Sands were placed approximately six miles off Minster, Isle of Sheppey, over the period July 23rd to September 3rd 1943. They appear as tiny blocks on the horizon from the shore but close up they exude an eerie, almost ominous presence. The tower in the foreground would have been a gun tower, with a gun placed on the flat section that protrudes from the front. Other towers would have different functions such as search lights and accommodation. Hundreds of soldiers would live on these towers in six week placements which were very unpopular due to the remoteness of the placement.
Queste installazioni militari, divennero nel 1964 in seguito alla loro dismissione, la location delle prime radio pirata (Radio Invicta) in acque internazionali e quindi non soggette ad alcuna giurisdizione, che consentirono la penetrazione del rock’n’roll e del pop americano in Europa; per approfondimenti http://www.offshore-radio.de/fleet/redsands.htm ; http://www.redsandonline.co.uk/index.html
"Le radio pirata rappresentano, senza dubbio, uno dei simboli più significativi della ribellione e della voglia di cambiamento che permeò tutti gli anni ’60. Con esse il variegato mondo giovanile ebbe modo di diffondere i propri ideali e stili di vita, ma anche di rompere un sistema della comunicazione rigido e burocratico, che non permetteva una libera concorrenza tra le emittenti.
Le trasmissioni radio, fino ad allora quasi esclusivamente nelle mani dei monopoli degli enti pubblici, fatta eccezione per Radio Luxembourg, venivano ora gestite da privati che operavano da stazioni al di fuori del territorio di un paese e delle sue leggi in materia di comunicazione di massa. Queste radio trasmettevano illegalmente da vecchie navi, spesso registrate negli elenchi navali di paesi tradizionalmente disponibili ad offrire bandiere di comodo, oppure da piattaforme risalenti alla II guerra mondiale situate al largo delle coste scandinave e inglesi, in condizioni precarie ed esposti alle intemperie e ai pericoli che il mare del Nord poteva riservare." Fonte Tesi di laurea "I PIRATI CHE SOLCARONO L’ETERE. STORIA DELLE RADIO OFFSHORE CHE DAI MARI DEL NORD SFIDARONO LA BBC E L’INFLUENZA CHE QUESTE EBBERO SULLA MUSICA DEL PERIODO" del Dott. Federico Lusi,Relatore Prof. Michele Sorice,Correlatore Prof. Andrea Vianello, Anno Accademico 2005/2006.


No Man's Land Fort

Su "Il Venerdì" di Repubblica numero 1024 del 2 Novembre 2007 è comparso l'articolo "A.A.A. vendesi fortezza di sua maestà" in cui si dice "Fortezza galleggiante vendesi. Succede al largo di Portsmouth, lungo le coste inglesi. Il forte in questione è un piccolo isolotto artificiale. Grande abbastanza, però, per ospitare un faro, diversi appartamenti e un campo da tennis. Fu costruito intorno al 1860 come primo baluardo contro un eventuale attacco da parte della flotta francese. Ma Londra e Parigi non avrebbero più fatto la guerra tra loro e quindi il No Man's Land Fort non è mai servito al suo scopo. Negli ultimi anni c'è stato chi ha cercato di trasformarlo in albergo, ma senza successo. Anzi, gli ultimi due proprietari hanno fatto bancarotta e sono finiti in prigione. Ora torna in vendita. Il prezzo di partenza sarebbe quattro milioni di sterline (quasi sei milioni di euro). Ma l'agenzia immobiliare smentisce: "Non abbiamo ipotizzato alcun prezzo. Aspettiamo le offerte degli interessati".
Per capire la collocazione spaziale delle fortezze marine di Portsmouth (England) è interessante visitare questo sito http://www.palmerstonforts.org.uk/map/pomap.htm

Altre informazioni in inglese su No Man's Land Fort:
No Man's Land Fort was built in the Solent 2.2 kilometres off the coast of the Isle of Wight between the years 1867 and 1880 to protect Portsmouth. It was built for a cost of £462,500, a considerable sum if adjusted for inflation.
It is now a luxury home/hospitality centre for high-paying guests – due to the privacy it offers – boasting an indoor swimming pool and two helipads. In July 2007, the Fort was put on sale to raise funds for creditors following a company collapse and the jailing of the current owner, who reportedly had debts of £100 million (See links below).The 1972 Doctor Who serial The Sea Devils used the fort as a filming location for several scenes.
Other sea forts include Spitbank Fort, St Helens Fort and Horse Sand Fort.


Spitbank Fort
Horse Sand Fort

giovedì 1 novembre 2007

Delo: lì dove nuotavano i cigni di Apollo


Particolare dei resti archeologici di Delo (Isole Cicladi) 14/08/2007 ore 11.21

Voglio parlare un attimo di Delo, che ho visitato quest'estate ma che è difficile dimenticare.
Delo, (Delos) è un'isola della Grecia, nel Mar Egeo. Fa parte dell'arcipelago delle Cicladi ed è situata vicino all'isola di Mykonos, dalla quale è raggiungibile tramite battelli.

  1. L'isola è oggi praticamente disabitata ed è un un immenso sito archeologico che richiama turisti ed appassionati di archeologia da ogni parte del mondo. È inserita nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO


  2. I reperti archeologici hanno dimostrato che l'isola era già abitata fin dal 3000 a.C.


  3. I coloni dell'isola (circa nel 1000 a.C.) probabilmente vi portarono il culto di Apollo, dio della luce e della musica.

I motivi per i quali valga la pena visitare l'isola, spero di sintetizzarli in queste foto scattate il 14/08/2007.


Teatro che aveva una capienza di 5.500 posti, costruzione del II sec. a.C


Una strada porta alla famosa Via dei Leoni, ex-voto dei Nessi del VII sec. a.C., consistente in 9 leoni di marmo dei quali se ne conservano solo cinque.

Lago sacro dove, nell'antichità, nuotavano i cigni di Apollo, coperto con terra nel 1926 dopo un'epidemia di malaria. Qui scavando per caso, ho trovato una splendida pietra. E' un luogo mozzafiato. E' uno dei pochi luoghi d'ombra, dove è possibile percepire la presenza d'acqua.

Il Monte Cinzio ( in Greco Kynthos)si trova sull'isola di Delo nell'arcipelago delle Cicladi. Notevole ed emozionante, il sentiero lastricato che conduce alla sommità (che si può scorgere ingrandendo la fotografia), in cui si può ammirare il paesaggio delle cicladi tra i resti di un santuario.

sabato 27 ottobre 2007

Vajont e Petrolchimico di Marghera: morire in Veneto all'improvviso o lentamente.


Un binario divelto dalla furia delle acque. Vajont, 1963. Siamo più forti noi o la natura?

Le caratteristiche salienti che accomunano i due tra i più gravi disastri umani ed ecologici della nostra Repubblica, sono incredibilmente tanti e principalmente sono questi:
1) L'essere stati voluti ed ideati dal medesimo capitano d'industria, uomo di spicco del regime fascista;
2) Aver causato migliaia di morti;
3) Aver sfruttato impropriamente o inquinato uno dei quattro elementi della terra, l'acqua, ed esser stati due tra i più gravi disastri ambientali della nostra repubblica.

Per quanto riguarda la tragedia del Vajont consiglio la visione del film capolavoro italiano Vajont, del sito internet http://www.vajont.net/ , della denuncia civile di Marco Paolini http://vajont.org/vajont_static/paolini.html
Per quanto riguarda il disastro del Petrolchimico consiglio il sito dell'associazione Gabriele Bortolozzo http://agb.provincia.venezia.it/bortolozzo/gabriele.htm
Uno dei momenti più belli , tratto dal Film "Vajont"
Questo articolo è tratto dalla tesi di laurea "Paesaggio della Gronda lagunare della Laguna Nord" di Sciretti Alberto

L’idea iniziale di un porto industriale in terraferma, cominciò a prendere forma alla fine del XIX secolo, dopo che a Venezia si era ormai capito che lo sviluppo di un moderno sistema industriale e portuale, indispensabile alle sorti economiche della città, e peraltro in essa già presente, poneva problemi insormontabili di accessibilità e di compatibilità con il tessuto urbano esistente [1]. Porto Marghera sorse concretamente nel 1917 da un’ idea di Giuseppe Volpi [2], e cioè quella della ‘grande Venezia’, industriale e moderna, frutto di ‘genialità’; costui rappresentava perfettamente l’espressione della cultura coraggiosa e spregiudicata dei capitani d’industria moderni, ignari dei rischi connessi all’evocazione delle forze sconosciute del progresso. Quando si pensa a Giuseppe Volpi come ad un d’annunziano uomo d’azione, ispirato da ideali protesi al bene della comunità, non si conosce probabilmente fino in fondo, il conflitto d’interessi insito nella volontà del Volpi di creare un distretto industriale in questa fascia delle gronda lagunare; Volpi che aveva a disposizione una abbondante liquidità di denaro, profitti eccezionali ottenuti con la guerra, dalle principali imprese energetiche e metallurgiche italiane, fu a lungo presidente della S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità) [3], da lui costituita nel 1905. Aveva dunque tutto l’interesse perché nascesse un distretto industriale a cui poter fornire in seguito l’elettricità, in regime di monopolio. Se il Petrolchimico si è rilevato il più grave disastro ambientale di sempre della storia italiana, non è stato da meno, la costruzione da parte della stessa S.A.D.E., della diga del Vajont [4], pensata negli anni '40, ma realizzata solo alla fine degli anni '50 [5].

---------------Note-------------

[1] Divenuto ben presto necessario l'ampliamento della Stazione Marittima, si sviluppò un ampio dibattito dal quale emerse già nel 1902, ad opera di Luciano Petit, l'idea rivoluzionaria e decisiva per l'avvenire della città, di un nuovo porto in terraferma. Camillo Pavan, Porto Marghera, le origini , ristampa anastatica, dalla rivista “Le Tre Venezie”, giugno 1932. (http://www.camillopavan.it/)
[2] Lettera di Giuseppe Volpi al direttore di “Le tre Venezie”, Palazzo San Beneto, Venezia 24 maggio 1932.
[3] La S.A.D.E., a cui partecipavano alcuni personaggi del mondo economico veneziano, iniziò la sua attività di elettrificazione, acquistando alcuni impianti a Belluno, Cividale e Palmanova. Nel giro di pochi anni, grazie anche all'opera dell' ingegnere Achille Gaggia, chiamato dal Volpi a dirigere tecnicamente la società, attraverso una politica di acquisizione di piccole centrali locali, giunse a controllare un' area che andava dai confini orientali del paese fino a Verona e a Bologna. A metà degli anni '20, la S.A.D.E. aveva già raggiunto una dimensione di primo piano tra i grandi gruppi elettrici italiani. Anche se la produzione idroelettrica fu a lungo dominante (circa 320.000 KW alla fine degli anni '30), la S.A.D.E. era dotata di una serie di centrali termiche nel Veneto a Venezia, Padova, Soria (VR), nel Friuli e in Emilia Romagna. L'impegno maggiore nel settore termico, si ebbe tuttavia tra 1926 e il 1930, quando fu realizzata la grande centrale a carbone e nafta di Porto Marghera con una potenza di 57.000 Kw. L'impianto era stato chiaramente programmato da Volpi in relazione allo sviluppo del polo industriale di Marghera, di cui fu uno dei principali promotori (nel polo erano presenti industrie chimiche, elettrochimiche ed elettrometallurgiche con aziende come la Montecatini, la Vetrocoke, la Società Anonima Veneta Alluminio e più tardi l'AGIP). La stessa SADE era presente in alcune industrie metallurgiche come la San Marco e la Metallurgica Feltrina. Nel 1944, dopo l'arresto e la fuga di Giuseppe Volpi in Svizzera, per i suoi stretti legami con il governo fascista, la presidenza della S.A.D.E. passò ad Achille Gaggia, uomo di fiducia di Giuseppe Volpi. (http://www.enel.it)
[4] Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, nei pressi di Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno. La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò una giganteca ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime. Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti. La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere. (http://www.vajont.net/ - Sito ufficiale a cura del Comune di Longarone)
[5] Il 30 gennaio 1929, la S.A.D.E. di Giuseppe Volpi chiese la concessione di derivazione del torrente Vajont per la produzione di energia elettrica, corredata dal progetto dell'ingegnere Carlo Semenza. Il 22 giugno del 1940, la S.A.D.E. del capitano d'industria Giuseppe Volpi chiese al Ministero dei lavori pubblici l'autorizzazione per utilizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vajont e altri minori, nonchè la costruzione di un serbatoio della capacità di 50 milioni di metri cubi creato mediante la costruzione nel Vajont, presso il ponte del Colombèr, di una diga alta 200 metri. Il 15 ottobre 1943 Giuseppe Volpi, nella sua qualita' di ministro dell'Industria in carica, grazie alla confusione di quei giorni di una Roma allo sbando, convoca e ottiene per la sua S.A.D.E. il voto favorevole del Consiglio Superiore Fascista dei Lavori Pubblici: alla riunione sono presenti 13 componenti sull'organico dei 34, dunque senza che neanche aver raggiunto il numero legale. Gli scavi, iniziarono nel settembre 1956 senza autorizzazione, e la diga fu pronta nel 1960.

venerdì 19 ottobre 2007

In memoria di Angelo D'Arrigo: dove osano solo le aquile

Angelo d'Arrigo guidò per 5.300 km uno stormo di gru siberiane, specie in via d'estinzione, nate in cattività, reintroducendole così nel loro habitat naturale. Nel 2004 volò sopra l'Everest con un'aquila nepalese. Ha lottato per la salvaguardia dei Condor.
Ci sono persone che rimpiangi di non aver mai conosciuto, Angelo d'Arrigo è per me sicuramente tra queste. Il sito che ne ricorda le gesta e l'Uomo è http://www.angelodarrigo.com/
Ma chi è Angelo d'Arrigo? Ne riporto la biografia tratta da Wikipedia, l'enciclopedia gratuita:

Angelo D'Arrigo (Catania, 3 aprile 1961 - Comiso 26 marzo 2006), nato da madre francese e padre italiano, è stato un pilota di deltaplano detentore di vari record mondiali di volo sportivo.
Laureato all'Università dello Sport di Parigi nel 1981, dopo aver ottenuto i brevetti di istruttore di volo libero con deltaplano e parapendio, di guida alpina e di maestro di sci, si distingue in gare internazionali vincendo campionati mondiali ed europei di volo libero. Abbandona poi il circuito agonistico dedicandosi a progetti che uniscono la sua passione per il volo con la ricerca scientifica aeronautica e sugli uccelli migratori, segnando vari record mondiali di traversata in volo senza motore.
Nel 2001 sorvola il Sahara e il Mar Mediterraneo seguendo la rotta dei falchi migratori.
Nel 2002 compie la traversata in deltaplano sulla Siberia. Il progetto, in collaborazione con il Russian Research Institute for Nature and Protection di Mosca, vede D'Arrigo guidare per 5.300 km uno stormo di gru siberiane, specie in via d'estinzione, nate in cattività, reintroducendole così nel loro habitat naturale.
Nel 2004 vola sopra l'Everest con un'aquila nepalese, un altro record mondiale. L'avventura è raccontata nell'emozionante ''Flying Over Everest'' di Fabio Toncelli.
Nel 2006 segue la rotta migratoria dei condor sulle montagne dellAconcagua nella Cordigliera delle Ande.
Muore nel 2006 in un incidente durante una dimostrazione di volo a Comiso: l'aereo da turismo su cui si trovava come passeggero, pilotato da un Generale dell'Aeronautica Militare Italiana, precipita da un'altezza di 200 metri per cause ancora da stabilire.
In memoria di suo marito, la vedova Laura Mancuso ha istituito la
Fondazione Angelo d'Arrigo, un ente di benificenza.
La Doc Lab - National Geographic Channel in associazione con Rai Uno,hanno prodotto il documentario di Marco Visalberghi "Nati per volare", dedicato ad Angelo d'Arrigo e alla sua battaglia per la salvaguardia dei condor, che è stato presentato in anteprima mondiale nel marzo 2007.

I record:

Angelo d'Arrigo è attualmente detentore dei seguenti record:
Prima traversata in solitario del Mediterraneo in deltamotore: Catania (IT) / Il Cairo (EG)
Prima traversata in solitario del Sahara in deltamotore: Il Cairo (EG) / Casablanca (MA)
Prima traversata del Sahara in deltaplano
Prima traversata del Mediterraneo in deltaplano
Prima traversata della Siberia in deltaplano
Primo sorvolo dell'Everest in deltaplano
Record di distanza deltamotore no stop: 1830 km
Record di altitudine con deltamotore: 9.100 mt
Record di altitudine con delta idrovolante: 6.500 mt
Record di velocita ascensionale in deltamotore
Record di altitudine in deltaplano sull'etna 6.480mt

Anch'io amo i volatili. Non oso immaginare quali emozioni si possano provare nel vedere volare un'aquila od un condor, come ha potuto provare Angelo. Ma chissà, la vita è bella proprio per questo, perchè è piena di sorprese. A proposito di sorprese. Nell'Aprile del 2006 è entrato nella mia vita un pappagallo davvero speciale, che ho chiamato Isidoro. La cosa incredibile che è entrato lui nella mia vita, atterrando sulla spalla dei miei genitori che in quel momento passeggiavano per Viale Garibaldi, un grande viale alberato di Mestre.

Isidoro, nelle sue tipiche pose maestose. Viene trattato come un Imperatore. Lui chiama, io corro.


L'estate del 2006 è scappato in maniera rocambolesca, ed è volato libero per il cielo di Mestre per 10 giorni. Era Luglio, e non si respirava dal caldo che faceva. Il Comune di Venezia aveva allertato i cittadini informando circa ondate di calore pericolose per la salute. Faceva un caldo atroce. Al decimo giorno da quando era volato via, quando proprio non nutrivo più nessuna speranza, mi son svegliato improvvisamente sentento cantare la sua compagna, Isabel. Erano le 7 del mattino, troppo strano. Mi sono affacciato al balcone e ho visto Isidoro che volteggiava intorno al mio palazzo. Ho cosparso il balcone di pannocchiette e di recipienti pieni d'acqua, ho messo la gabbia con la sua compagna Isabel per attirarlo e sono riuscito a riprenderlo, in modo rocambolesco, e giusto in tempo: stava morendo disidratato. Proprio perchè rispetto anche gli animali non mostro il video, in cui si vede che iniziò a cantare per ringraziarmi, quando subito dopo gli feci un bagno d'acqua fresca con lo spruzzatore, dopo i 10 giorni di calura. Ma è un video straziante; dove si capisce quanto un animale, possa volerti bene, se ti prendi cura di lui. Per parecchi mesi, ha avuto sintomi da schock, dovuti ai 10 giorni in cui non ha ne mangiato ne bevuto, e non è stato facile recuperarlo. C'erano dei momenti dove proprio si assentava,nascondendosi e mostrandosi ombroso. Ora si è ripreso completamente, e ha dato alla luce due splendidi pappagallini, che proprio in questi giorni stanno muovendo i primi passi.



18/10/2007 I piccoli di Isidoro

Mi è capitato di vedere macchine veloci, sfrecciare per le strade e colpire uccelli che niente possono con una società che si evolve a ritmi sempre più frenetici che non tengono conto dei ritmi della natura. La velocità ormai è tutto. Il treno deve andare sempre più veloce. Gli uccelli non popolano più le nostre città. Sono ben lontani i tempi in cui si raccontava ai bambini delle cicogne sui tetti o che si sentivano le rondini arrivare in città con la Primavera. Ora si sentono solo rombare i clacson delle persone che schiave delle loro stesse nevrosi cittadine, neanche più possono immaginare quali emozioni si possano provare nel vedere uno stormo di migratori in volo.
Nella mia tesi ho parlato molto degli uccelli, in particolare di quelli migratori, che non trovano più nella nostra laguna veneta un punto di riferimento sicuro. Ho scritto nella mia tesi, tra le tante considerazioni:

"Abbiamo una rappresentazione ben precisa di cosa sia un filo spinato, elemento a cui associamo immagini infelici, ma nella sostanza molto spesso nella progettazione della modernità applicata ai nostri usi e costumi, creiamo delle barriere subdole, senza preoccuparci minimamente delle conseguenze. Incentiviamo e ricerchiamo la velocità nelle autostrade, le linee ferroviarie ad alta velocità, i rapidi spostamenti attraverso i vettori aerei, e perdiamo dall’altro lato, la vista di un lento stormo di gru [1] alzarsi in volo, piuttosto che la vista di qualche rara cicogna [2]. I volatili sono in queste zone ad esempio, ovviamente visti e percepiti soltanto come un pericolo per i vettori aerei [3]."

[1] AA.VV, Venezia e le sue Lagune, II, Stab. Tip. Antonelli, Venezia 1847, p. 218.
[2] AA.VV, Venezia e le sue Lagune, II, Stab. Tip. Antonelli, Venezia 1847, p. 2005; C. G. Filiasi, Memorie storiche dei Veneti primi e secondi, VI, Fenzo, Venezia 1796-98 , p. 176.
[3] Un Decreto del Ministero dei Trasporti, ha costituito in quest’ultimi anni la Bird Strike Committee Italy (BSCI), un'apposita commissione per il controllo del livello di popolazione dei volatili negli aeroporti e per lo studio dei sistemi di prevenzione e di allontanamento. Nella realtà aeronautica, le collisioni tra uccelli ed aeroplani non comportano un grosso pericolo per i passeggeri. Dalle casistiche, non risultano casi d'impatto conclusi in modo drammatico. Questi inconvenienti avvengono quasi esclusivamente nelle fasi di atterraggio e decollo. Per ovviare a ciò, qualche aeroporto è ricorso allora ad un metodo che può essere definito ‘ecologico-naturale’. Si tratta dell'impiego dei falchi in funzione di ‘gendarmi’ aeroportuali. Quest'attività non ha riscontrato successo sul territorio nazionale, al punto che solo tre aeroporti usano questo sistema. Il primo esperimento fu fatto nell'aeroporto di Milano; gli attivi attualmente sono Torino Caselle, Ronchi dei Legionari in Friuli ed il Marco Polo di Tessera (VE). In quest’ultimo, i falchi ‘arruolati’ (della specie pellegrini, sacri ed altri) vivono in un particolare regime di semi-libertà. Passano abitualmente il loro tempo su un piccolo e anatomico supporto circolare, al quale sono simbolicamente assicurati da una cordicella. Una volta al giorno, anche se non c'è una reale necessità operativa, il falconiere fa volare, a turno, ogni soggetto. Prima viene controllato il peso e poi, con un cappuccetto in testa, vengono portati in una zona idonea dell'aeroporto. Fonte: Gianni di Lenardo, Responsabile del servizio di falconeria presso l'aeroporto "Marco Polo" di Venezia Tessera.

sabato 13 ottobre 2007

Blog Action Day: le emozioni che può dare solo e soltanto la Natura incontaminata

Quest' articolo è dedicato all'Ambiente.

Da sempre, fin da quando ero piccolo, coltivo una passione sconfinata per la natura ed il paesaggio, intesi nella lora accezione più pura e incontaminata; da anni nei weekend ricerco le emozioni più vere visitando i nostri borghi veneti e limitrofi (in questi ultimi anni mi sono recato decine di volte ad Asolo (TV), Arquà Petrarca (PD), Borghetto (VR), Montagnana (PD), Sirmione (BS) ma anche Portobuffolè (TV), Soave (PD), Monselice (PD), Este (PD), Riva del Garda e tanti altri); può essere d'aiuto visitare http://www.borghitalia.it/ e http://www.touringclub.it/bandiere_arancioni/comuni.asp?area=comuni .
Mi sono innamorato dei colli asolani, dei colli euganei, dei monti lessini, del monte Baldo..(e della laguna veneta naturalmente); se avete voglia di visitare i parchi del veneto è utilissimo http://www.parchiveneto.it/ ; per quanto riguarda l'approccio con la laguna consiglio Valle Averto http://www.wwf.it/oasi/schedeoasi.asp e la passeggiata sull'argine destro del Taglio del Sile da Portegrandi a Caposile, dal quale è possibile ammirare la laguna Nord. Parallelo all'argine sinistro c'è la cosidetta strada Jesolana e il paesaggio di bonifica con i suoi casolari (Ca' Risorta, Ca' Speranza...); e perchè non spendere una parola per la Riviera del Brenta http://www.riviera-brenta.it/ con la stupenda Villa Pisani, che resiste con il suo fascino all'industrializzazione selvaggia?
L'ultimissima sopresa è stata Lazise sul lago di Garda, http://www.lazisecomune.it/ visitata il 06/10/2007 prima di festeggiare la chiusura di una famosa discoteca di Bardolino (VR), che consiglio http://www.hollywood.it/ per la sua splendida location (riaprirà primavera prossima).
Sono sempre più intollerante ai plastificati centri commerciali, coacervi di insegne pubblicitarie e manifestazioni di marketing aggressivo, ai galattici hotel con sale congressi, ai palazzi delle banche; sono sempre più attirato dai borghi storici, dalla casupola diroccata del contadino, dai castelli medioevali, dai paesaggi ancora incontaminati (sempre più rari), da tutto ciò che è stato costruito dall'uomo non in un'ottica economica; il mio pensiero si può sintetizzare in una frase bellissima di Francesco Petrarca, lettera a Francesco Bruni, 24 maggio 1371

"Fuggo la città come ergastolo e scelgo di abitare in un solitario piccolo villaggio, in una graziosa casetta, circondata da un uliveto e da una vigna, dove trascorro i giorni pienamente tranquillo, lontano dai tumulti, dai rumori, dalle faccende, leggendo continuamente e scrivendo."

Ora riporto un video, delle sequenze che ho tratto dal film il Gladiatore; questo è il paesaggio che veramente mi emoziona, e purtroppo invece, paradossalmente è il paesaggio che stiamo perdendo; un campo di grano, semplice e calmo, è sostituito da qualcosa di cemento, plastica, vetro, che sia frenetico ed alienante.


Riporto un appunto mio di qualche anno fa'

"passeggiando sui camminamenti paesaggistici di Riva del Garda e di Sirmione era percettibile come si sia creato un ciclo virtuoso turismo / paesaggio, per cui torpedoni di turisti, apprezzano i percorsi che costeggiano il lago, dove panchine paesaggistiche, percorsi "vita" per fare ginnastica e jogging, cura del verde pubblico fanno da padroni..insomma a Riva del Garda, veramente si rischia la perfezione in termini di "fruibilità del paesaggio". Tale perfezione non si è applicata, anche ai bordi lagunari. Il paesaggio delle laguna non è fruibile al grande pubblico se non in parte nell'oasi WWF Valle Averto e sporadicamente in altre zone sparse a macchia di leopardo, non in continuata comunicazione tra di loro".

E' notizia di ieri, che Al Gore abbia vinto il premio nobel per la pace, per "gli sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall'uomo e per porre le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti"; ne esce ancora una volta sconfitta la politica del presidente G. Bush, cui fece bene il presidente Venezuelano a dire:
Dear Mr Danger, You are a donkey

Fra circa una settimana, il 15 Ottobre 2007, si celebrerà in tutto il mondo il Blog Action Day, ed il tema di quest'anno sarà l'ambiente. Se possiedi un blog e vuoi partecipare anche tu a questa iniziativa, tutto quello che dovrai fare sarà creare, per quel giorno, un post relativo all'ambiente, usando lo stile, forma o modo che meglio preferisci. Potrai scegliere un qualsiasi argomento legato all'ambiente e raccontarcelo. Organizza una giornata per la pulizia del tuo parco o della tua spiaggia, e condividi la tua storia. Se ti piace scrivere, inventati un racconto sul tema dell'ambiente. Hai un podcast, un videoblog o un fotoblog? Partecipa anche tu! L'idea alla base dell'iniziativa è proprio quella di creare un effetto di massa, condividendo più storie e idee possibili tutti insieme.Se hai intenzione di partecipare, registra ora il tuo blog assieme agli altri 7000 che l'hanno già fatto! Puoi inoltre visitare il sito ufficiale del Blog Action Day blog per maggiori informazioni su come anche i blogger possono cambiare il mondo.

domenica 30 settembre 2007

La carica dei seicento: "C'est magnifique, mais ce n'est pas la guerre"

Le informazioni qui riportate sono state desunte dal seguente sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Balaclava



The Charge of the Light Brigade at Balaklava by William Simpson, 1855. From Simpson's The Seat of War in the East, second series.

Nel dipinto, si può chiaramente notare, come i 673 (secondo alcune fonti 661) cavalieri inglesi (nel dipinto al centro), si ritrovarono nella valle in mezzo alla fanteria, artiglieria e cavalleria russa che li circondavano sui fianchi dei monti.


Battaglia_di_Balaclava.svg

Nel file qui sopra la ricostruzione storica della Battaglia di Balaclava

1.Carica della brigata pesante

2.Sottile linea rossa

3.Carica della brigata leggera

4.Carica degli Chasseurs d'Afrique

Il terreno di battaglia consisteva di due valli divise da basse colline e creste e consisteva di prateria aperta. La forza britannica era divisa tra le due valli, in quella meridionale si trovava la brigata pesante di cavalleria britannica, mentre in quella settentrionale si trovava la brigata leggera (il 4° e 13° Light Dragoons, 17° Lancers, e l'8° e 11° Hussars), al comando del major general James Thomas Brudenell, marchese di Cardigan. Il comando globale della cavalleria britannica era di George Charles Bingham, marchese di Lucan. Era presente anche una forza francese. Sulle alture Causeway correva la strada Woronzoff, importante perché collegava Balaclava alle fortificazioni di assedio intorno a Sebastopoli. Su di esse si trovavano sei ridotte sorvegliate da truppe Turche e protette da cannoni navali da 12 libbre. Da notare che mentre il comandante in capo britannico Lord Raglan trovandosi sulla cresta Sapounè aveva piena visuale del campo di combattimento, i comandanti della cavalleria trovandosi nelle valli avevano una conoscenza della situazione più limitata. L'esercito russo era significativamente maggiore di quello degli alleati, ma era ostacolato da una cattiva disciplina, cattivi comandanti e armi inferiori. Liprandi comandava direttamente una forza di 25 battaglioni di fanteria, 23 squadroni di cavalleria, 13 squadroni di cavalleria leggera Cosacca e 60 cannoni. Ulteriori forze russe di appoggio si trovavano sulle colline di Fedyukhin al comando del generale Jabrokritski (7 battaglioni e 14 cannoni).

Siamo nell' Ottobre 1854 in Crimea. La carica dei 600 (cavalleggieri inglesi) è un episodio cruento della battaglia di Balaclava, durante la Guerra di Crimea, in cui si scontrarono le forze alleate del Regno Unito, della Francia e dell'Impero Ottomano contro la Russia. Fu il primo dei due tentativi della Russia di rompere l'assedio di Sebastopoli, attaccando il campo britannico di Balaclava, importante base di rifornimento, e prendendo alle spalle le forze assedianti. Nella battaglia si verificarono due famosi episodi della storia militare britannica: la sottile linea rossa (il 93° Highlanders rimase saldo di fronte ad una carica della cavalleria russa) e la carica della brigata leggera/Carica dei 600 quando la brigata leggera britannica caricò frontalmente una batteria russa, completamente circondata sui fianchi dalla fanteria e artiglieria russe. Per capire il contesto della battaglia, durante la quale si sviluppò la disastrosa carica dei 600 cavalleggieri inglesi, può essere utile guardare l'immagine precedente, soprattutto al punto 3. Andiamo per ordine: furono i russi ad attaccare il campo inglese di Balaclava.

Campo Inglese di Balaclava

Balaclava è un piccolo porto a sud di Sebatopoli, nella penisola di Crimea: l'esercito europeo corso in aiuto dei turchi ottomani attaccati dai russi, ha qui la sua base logistica. Dalla sua piccola insenatura parte il cordone ombelicale che collega le forze assedianti Sebastopoli alla madrepatria.Per tagliare quel cordone, il 25 ottobre del 1854 i russi sferrarono un deciso attacco contro le difese di Balaclava. Gli alleati sono colti di sorpresa: la prima cerchia difensiva, un gruppo di ridotte poste sul crinale di una collina, è tenuta da poche truppe turche, e venne conquistata di slancio. L'avanzata russa fu arrestata quando ormai era quasi alle porte di Balaclava da una "sottile linea rossa" formata dal 93mo reggimento Scozzese, che resistette saldamente agli attacchi nemici.




Ma cos'è "la sottile linea rossa"?

Sir Colin Campbell comandante del 93° Highlander formò i suoi uomini in una linea profonda due uomini - la "sottile linea rossa". La linea normalmente avrebbe dovuto essere profonda quattro uomini, ma per coprire l'accampamento questa aveva dovuto essere allungata. Pare che Campbell abbia detto ai suoi uomini "Da qui non c'è ritirata uomini. Dovete morire là dove vi trovate", al che il suo aiutante di campo John Scott replicò "Sì, sir Colin. Se è quello che serve lo faremo". Colin ordinò il fuoco una prima volta alla distanza massima, ma i Russi continuarono la carica, quindi attese fino a che non furono distanti meno di 50 metri prima di ordinare di fare fuoco per la seconda volta. Questa volta i russi ruppero la carica e si ritirarono.
Fu il corrispondente del
Times William H. Russell che osservando l'azione dalla cresta di Sapouné coniò l'espressione "sottile linea rossa", quando scrisse che non poteva vedere nient'altro, tra i russi in carica e la base britannica di Balaclava, che una thin red streak tipped with a line of steel ("un sottile nastro rosso da cui spuntavano punte d'acciaio" ). Riassunta popolarmente in "la sottile linea rossa" la frase divenne un simbolo, giusto o sbagliato, per il sangue freddo dei soldati britannici.
I russi, però, rinnovarono la minaccia lanciando nella mischia la loro cavalleria, che venne a sua volta fermata dalla Brigata della cavalleria pesante inglese, con gravi perdite. Era il momento per lanciare una controffensiva e Lord Raglan, capo delle forze britanniche, ordinò al Duca di Lucan, comandante della Divisione di cavalleria, di "avanzare per recuperare le alture, con il sostegno della fanteria": questa decisione farà entrare nella storia la "Brigata leggera" con la famosa "Carica dei Seicento", uno degli eventi più eroici e futili della storia militare.
L'ordine scritto era il seguene: Lord Raglan wishes the cavalry to advance rapidly to the front, follow the enemy, and try to prevent the enemy carrying away the guns. Horse artillery may accompany. French cavalry is on your left. Immediate. ("Lord Raglan desidera che la cavalleria avanzi rapidamente, segua il nemico e tenti di impedirgli di portare via i cannoni. La cavalleria dell'artiglieria può accompagnarla. La cavalleria francese è alla vostra sinistra. Eseguite subito").
L'ordine venne affidato al capitano Louis Edward Nolan del 15° Hussars che si precipitò a consegnarlo al marchese di Lucan, comandante della brigata leggera. Questi non comprendendo che l'ordine si riferiva alle ridotte occupate dai russi sul fianco destro (che non erano visibili dalla sua posizione) chiese a Nolan a quali nemici e a quali cannoni si riferisse l'ordine. Questi rispose alzando il braccio in direzione dell'altra estremità della valle e dicendo
There is your enemy. There are your guns, My Lord. ("Là c'è il vostro nemico. Là ci sono i vostri cannoni, mio Signore").
In fondo alla valle si trovava una batteria di otto cannoni russi dietro cui si era raggruppata la cavalleria russa in precedenza respinta dalla carica della brigata pesante e dal 93° Highlander.
Il marchese di Lucan irritato dalla risposta di Nolan ordinò al marchese di Cardigan di condurre alla carica la sua brigata contro il fondo della valle e questi dopo un breve alterco ordinò alla sua brigata di montare conducendola nella valle. Dal suo posto di osservazione il comando britannico assistette inorridito all'avanzata del marchese di Cardigan che condusse i suoi 673 (secondo alcune fonti 661) cavalieri nella valle, in mezzo alla fanteria, artiglieria e cavalleria russa che li circondavano sui fianchi dei monti. La prima fila era formata dal 13° Light Dragoon (a destra) e dal 17° Lancers (a sinistra). In seconda linea cavalcava l'11° Hussars, in terza fila l' 8° Hussars e il 4° Light Dragon. Il marchese di Lucan seguì con la brigata pesante ma si arrestò quando si rese conto dell'intensità del fuoco lasciando che la brigata leggera caricasse da sola.
Pare che il capitano Nolan, che si era unito ai ranghi del 17° Lancers, essendo amico dell'ufficiale che li comandava si rese conto dell'errore e che cavalcò di fronte al marchese di Cardigan ondeggiando la spada, ma fu una delle prime vittime del fuoco russo. La valle era lunga circa 2 km ed al passo di trotto la brigata leggera rimase sotto il fuoco dei russi sui fianchi della valle per diversi minuti, giungendo infine di fronte alla batteria che occupava la bocca della valle che prese d'infilata la brigata. La brigata leggera riuscì comunque a caricare e ingaggiare le forze russe in fondo alla valle e a forzarle a ritirarsi dalla batteria, il 13° Light Dragoons con lo squadrone destro del 17° Lancers caricò direttamente la batteria attaccando gli artiglieri, mentre lo squadrone sinistro del 17° Lancers caricò la cavalleria russa dietro di esso, infine l'11° Hussars caricò anch'esso la cavalleria respingendola fino all'acquedotto. Comunque la brigata leggera venne ben presto forzata a ritirarsi venendo attaccata durante il ritorno da elementi della cavalleria russa che emersero dai fianchi delle colline..
Nel frattempo la cavalleria coloniale francese, il 4° Chasseurs d'Afrique ruppe la linea russa sulle colline Fedyukhin e successivamente coprì i rimanenti elementi della brigata leggera mentre questi si ritirarono.
La valle venne successivamente soprannominata "Valle della Morte" dal poeta Tennyson, che compose il famoso poema The Charge of the Light Brigade.
Il marchese di Cardigan sopravvisse alla battaglia e successivamente descrisse lo scontro in un discorso alla Mansion House in Londra, che successivamente venne citato alla Camera dei Comuni:
(EN) "We advanced down a gradual descent of more than three-quarters of a mile, with the batteries vomiting forth upon us shells and shot, round and grape, with one battery on our right flank and another on the left, and all the intermediate ground covered with the Russian riflemen; so that when we came to within a distance of fifty yards from the mouths of the artillery which had been hurling destruction upon us, we were, in fact, surrounded and encircled by a blaze of fire, in addition to the fire of the riflemen upon our flanks."(IT) "Avanzammo lungo il pendio declinante per più di tre quarti di miglio, con le batterie che vomitavano fuoco e fiamme su di noi, palle piene e a mitraglia, con una batteria sul nostro fianco destro e un'altra su quello sinistro e tutto il terreno in mezzo coperto di fucilieri russi; così che quando fummo ad una distanza di circa cinquanta metri dalle bocche di artiglieria che stavano scagliando distruzione su di noi, eravamo, in effetti, circondati da un alone di fuoco, in aggiunta agli spari dei fucilieri sui nostri fianchi"(EN) "As we ascended the hill the oblique fire of the artillery poured upon our rear, so that we had thus a strong fire upon our front, our flank, and our rear. We entered the battery - we went through the battery - the two leading regiments cutting down a great number of the Russian gunners in their onset. In the two regiments which I had the honour to lead, every officer, with one exception, was either killed or wounded, or had his horse shot under him or injured. Those regiments proceeded, followed by the second line, consisting of two more regiments of cavalry, which continued to perform the duty of cutting down the Russian gunners."(IT) "Mentre ascendevamo la collina il fuoco obliquo dell'artiglieria ci prese alle spalle così che avevamo un forte fuoco sul davanti, sui fianchi e dietro. Entrammo nella posizione della batteria - passammo attraverso la batteria - i due reggimenti di fronte abbattendo un grande numero di artiglieri russi nella loro carica. Nei due reggimenti che ho avuto l'onore di condurre, ogni ufficiale, con un'eccezione, fu ucciso o ferito o ebbe il suo cavallo ucciso o ferito sotto di lui. Questi reggimenti proseguirono, seguiti dalla seconda linea consistente in altri due reggimenti di cavalleria che continuarono a svolgere il loro dovere di abbattere gli artiglieri russi."(EN) "Then came the third line, formed of another regiment, which endeavoured to complete the duty assigned to our brigade. I believe that this was achieved with great success, and the result was that this body, composed of only about 670 men, succeeded in passing through the mass of Russian cavalry of - as we have since learned - 5,240 strong; and having broken through that mass, they went, according to our technical military expression, "threes about," and retired in the same manner, doing as much execution in their course as they possibly could upon the enemy's cavalry. Upon our returning up the hill which we had descended in the attack, we had to run the same gauntlet and to incur the same risk from the flank fire of the Tirailleurs [riflemen] as we had encountered before. Numbers of our men were shot down - men and horses were killed, and many of the soldiers who had lost their horses were also shot down while endeavouring to escape."(IT) "Quindi venne la terza linea, formata da un altro reggimento, che riuscì a completare l'incarico assegnato alla nostra brigata. Credo che questo fu un grande successo, e il risultato fu che questo corpo di soli 670 uomini riuscì ad attraversare la massa della cavalleria russa forte di, come apprendemmo in seguito, 5.240 uomini. Ed essendo passati attraverso quella massa, essi, come diciamo noi militari, andarono "threes about" e si ritirarono nella stessa maniera, infliggendo nel loro percorso quante più perdite poterono alla cavalleria nemica. Nel ritornare su per la collina che avevamo disceso nel nostro attacco, dovemmo affrontare la stessa sfida e incorrere nello stesso rischio del fuoco sui fianchi dei fucilieri già incontrati. Numerosi nostri uomini furono abbattuti - uomini e cavalli furono uccisi, e molti dei soldati che avevano perso il cavallo vennero uccisi mentre cercavano di scappare."(EN) "But what, my Lord, was the feeling and what the bearing of those brave men who returned to the position. Of each of these regiments there returned but a small detachment, two-thirds of the men engaged having been destroyed? I think that every man who was engaged in that disastrous affair at Balaklava, and who was fortunate enough to come out of it alive, must feel that it was only by a merciful decree of Almighty Providence that he escaped from the greatest apparent certainty of death which could possibly be conceived."
(IT)"Ma quale, mio Dio, fu il sentimento e quale il portamento di quegli audaci uomini che tornarono alle loro posizioni. Di ognuno di quei reggimenti non tornò che un piccolo distaccamento, due terzi degli uomini che diedero battaglia erano stati uccisi? Io penso che ogni uomo che fu coinvolto in quel disastroso affare a Balaclava, e che fu tanto fortunato da tornare vivo, debba aver provato che fu solo per un decreto pietoso della Divina Provvidenza che era sfuggito da quella che appariva come la più grande certezza di morte che si potesse concepire."
Camera dei Comuni, 29 marzo 1855
Nonostante la leggenda racconti che la brigata venne completamente annientata in realtà pur soffrendo pesanti perdite non venne completamente distrutta, in totale subì circa 118 morti, 127 feriti e 362 cavalli persi. Dopo essersi raggruppati solo 195 uomini erano ancora a cavallo. La futilità dell'azione e la sua audacia sconsiderata spinsero il Maresciallo di Francia Pierre Bosquet ad affermare:

(FR) « C'est magnifique, mais ce n'est pas la guerre »
(IT) « É stato magnifico, ma questa non è guerra »
Si dice che i comandanti russi abbiano inizialmente creduto che i soldati britannici fossero ubriachi. La reputazione della cavalleria britannica venne considerevolmente migliorata in conseguenza di questa carica, ma non si può dire lo stesso di quella dei loro comandanti. Nonostante l'arrivo dei rinforzi di fanteria inglese non vennero intraprese ulteriori azioni e i russi rimasero in controllo delle alture e della strada.

Per chi volesse approfondire, può visionare il film: I seicento di Balaclava (The Charge of the Light Brigade). Un film di Tony Richardson. Con David Hemmings, Trevor Howard, Harry Andrews, John Gielgud, Vanessa Redgrave, Jill Bennett. Genere Guerra, colore 141 (130) minuti. - Produzione Gran Bretagna 1968.

sabato 1 settembre 2007

Megaprojects e la nuova frontiera delle isole artificiali: “Palm Island” e The World”, la colonizzazione del mare è iniziata.

Con il termine megaprojects normalmente s’intendono quei progetti il cui costo è nell’ordine di miliardi di Euro. La realizzazione di grandi opere ha sempre accompagnato l’evoluzione delle civiltà umane; da quella egizia a quella babilonese, dalla greca alla romana, alla cinese e via via fino ai giorni nostri, queste opere o il loro ricordo è giunto fino a noi e ci ha spesso permesso di avere importanti informazioni sullo sviluppo dei popoli che le hanno realizzate.

L'île d'AZ

L’architetto francese Jean-Philippe Zoppini personaggio non nuovo a progetti ambiziosi (il suo studio ha partecipato a una gara d'appalto per la progettazione di un'isola artificiale a Dubai e altri progetti marittimi) ha disegnato una supernave o meglio, dato le sue misure, una vera e propria isola galleggiante. Questa “isola”, L'île d'AZ, sarà un enorme complesso turistico lungo 400 metri per 80 metri di altezza avrà forma ovoidale per una larghezza di 300 metri. Capace di ospitare 10 mila persone al suo interno conterrà addirittura un lago artificiale. Verrà mai costruita? Se qualche armatore, decide di costruirla, per incentivarlo, gli mando per posta la cassetta del Titanic...forza e coraggio!!! eh eh

La vita è una continua sequenza di situazioni in cui bisogna prendere delle decisioni. Molte di queste hanno conseguenze poco importanti, alcune vengono prese in maniera istintiva senza sviluppare pensieri coscienti. Ma vi sono diverse decisioni, molte delle quali prese in condizioni di incertezza, che ci impongono dei ragionamenti perché hanno delle conseguenze più rilevanti: la popolazione dell’ entroterra veneto, di fronte alle invasioni barbariche del V e VI secolo, scelse l’ ‘opzione insulare’ in risposta alle distruzioni ed al disordine; tale ‘valutazione’, ripagò gli astanti e le generazioni successive, assicurando in primis la protezione ed una mera sopravvivenza, e più tardi garantendo una impareggiabile prosperità commerciale e culturale, che perdurò per molti secoli; tuttora l’ ‘opzione insulare’, viene remunerata da un turismo internazionale costante e notevole.

Le zone costiere, aree “sensibili” in cui si registra un’ eccessiva densità demografica, sono saturate da attività spesso tra loro conflittuali, e debbono convivere con l’inquinamento, la distruzione degli habitat, la diminuzione della biodiversità, l’eutrofizzazione, l’erosione delle coste. Turismo, acquacoltura, pesca, diporto nautico e porti turistici, trasporti marittimi e intermodali e connesse infrastrutture, sfruttamento di giacimenti petroliferi e minerari, proprietà pubblica e privata.

Da alcuni anni, in alcune particolari zone del Mondo, vengono costruite vere e proprie isole artificiali.

Maldive: isola artificiale di Hulhumalé.
La neonata isola copre attualmente una superficie di 188 ettari, più o meno la dimensione dell' isola di Malé, la capitale, ma dovrebbe raddoppiare nella prossima fase di bonifica, che inizierà nel 2010. La creazione è costata finora 63 milioni di dollari tra bonifiche e lavori vari. L'area dell'isola di Malé era già stata raddoppiata con diverse tecniche, ma ora si è raggiunto il limite naturale: la barriera corallina, oltre la quale il fondale oceanico declina bruscamente. Malé, sovraffollata capitale dell'arcipelago, è un'isola di appena 800 metri di larghezza per 2 km di lunghezza, dove 75.000 persone vivono in condizioni spesso difficili a causa della congestione delle strade e della mancanza di spazi aperti. Il presidente delle Maldive Maumoon Abdul Gayoom, che ha promosso il "progetto Hulhumalé", sta offrendo incentivi e sconti fino al 40% sui terreni rispetto ai prezzi della capitale, per chi accetti di trasferirsi.
Ma la vera novità è rappresentata dalle isole artificiali di “Palm island” e “The world”, in fase di costruzione nell'incredibile Dubai.


Verrà realizzato al largo di Dubai sul Golfo Persico, sarà composto da 300 isole composte in modo tale che viste dall’alto formino l’intero planisfero terrestre. Volendo si potrà comprare una di queste isole il cui prezzo varia a seconda della dimensione tra 6,2 a 36,7 milioni di dollari. I lavori per la costruzione di questo paradiso artificiale sono già cominciati e sarebbero dovuti finire per la fine del 2005.Le 300 isole nel World copriranno un’area totale di più di 55.000.00 m2 ed assicureranno a Dubai ulteriori 200 km di costa

Fotografia aerea dello stato dei lavori delle isole artificiali di Palm Island. Verranno costruite delle isole artificiali sistemate in modo da formare un albero di palma. Esse alla fine formano un complesso dove troveranno posto 500 appartamenti, 2.000 ville, 25 hotels e 200 negozi di lusso. Alla fine dell’opera saranno creati 125 chilometri di costa artificiale in più lungo il litorale.

Ed in Italia? Qualcosa si muove anche in Italia. Nel nostro piccolo anche nella laguna veneta, le isole artificiali non mancano proprio. (basti pensare alle casse di colmata, predisposte negli anni '60 per l'espansione di Porto Marghera). L'ultima ad esempio è l'isola artificiale di 9 ettari (ed altri 4,5 sommersi), lunga 500 metri e larga 100-200, prevista dal progetto MO.S.E., per alloggiarvi edifici, serbatoi e officine necessari al funzionamento delle paratie. [1]

Anche a Genova, il mare ha le ore contate: il progetto del nuovo porto-fabbrica di Genova realizzato da Renzo Piano potrebbe cambiare radicalmente l’area portuale del capoluogo ligure raddoppiando la superficie già esistente, recuperando numerosi ettari di spiaggia per la città, creando nuove zone verdi e realizzando due isole artificiali, una per il nuovo aeroporto e l’altra per l’attività di cantieristica navale. Un lavoro molto complesso che richiederà 18 anni di lavori e 4 miliardi di euro di investimento. Per occuparsi del tutto è stata creata un’agenzia, Waterfront & Territorio. Il nuovo porto è stato progettato dall’architetto in soli 6 mesi, seguendo in linea le banchine già esistenti, raddoppiando la superficie attuale (da 200 a 435 ettari) con l’ allargamento dei diversi attracchi turistici inclusa l’area della Fiera navale, ma riguadagnando spazio. 33 ha di maree verranno così convertiti in spiagge per la città e il vecchio scalo aeroportuale verrà abbandonato in favore di una nuova isola artificiale (sul modello del progetto di Piano per lo scalo giapponese di Osaka), lunga 3.620m e larga 390, posizionata di fronte alla pista attuale, su pali e cassoni di cemento armato affondati, grazie alla quale il traffico aereo sarà incrementato del 30%. Sull’isola, oltre alle piste, agli hangar, agli spazi e alle attrezzature per gli aerei, troveranno posto anche la torre di controllo e un terminal per i passeggeri. Una seconda isola artificiale, lunga 2 Km e larga 150 m, verrà invece realizzata di fronte al Bacino di Sampierdarena. Essa sarà la nuova sede dei cantieri navali e sarà dedicata esclusivamente alle attività proprie del settore e alla riparazione di grandi navi. Entrambe le isole saranno collegate alla terraferma attraverso un tunnel in parte sotterraneo in parte sottomarino.

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[1] Il paesaggio della Gronda lagunare, del tutto peculiare, è uno tra i più ‘obliterati’ dalle infrastrutture dell'uomo, che hanno distrutto o ignorato tutti gli affacci lagunari, che permettevano un rapporto diretto tra terraferma e laguna. Queste zone umide, erano fondamentali, per l'avifauna selvatica e perchè abbattevano i carichi inquinanti attraverso processi di fitodepurazione, e fungevano da aree tampone, permettendo alla marea di avanzare e ritirarsi naturalmente; si sono ‘irrigiditi’ tutti gli affacci lagunari, con argini cementizi, con casse di colmata e imbonimenti, negando anche alla cittadinanza il rapporto con la laguna (fanno eccezione il Parco di San Giuliano, l’oasi di Valle Averto, il tratto Portegrandi – Caposile lungo l’argine del taglio del Sile, tutti punti non in continuata comunicazione tra di loro). Tratto da: Sciretti Alberto, Il Paesaggio della Gronda della laguna Nord, Università Ca’ Foscari di Venezia a.a. 2004/05.

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