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sabato 12 gennaio 2008

'Into the wild'

 

Sicurezza, conformismo , tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà sono la ricetta dell'infelicità; non esiste niente di più devastante che un futuro certo.Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in continuo cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso.

On the road with Christopher McCandless: INTO THE WILD

Christopher McCandless, morto a 24 anni, "cavaliere solitario che misura se stesso sulla capacità di sopportare la privazione. Di ogni cosa: della civiltà, delle comodità, del cibo, dell'amore, del consenso" pur di abbracciare la Natura. Nel 1992 Chris aveva vent'anni una famiglia pronta a dargli ogni bene di lusso e una brillante carriera davanti a sé. Ma girò le spalle a tutto. Non gli interessava. Anzi, peggio: lo allontanava da se stesso, dal significato di essere Uomo. Così bruciò la macchina, regalò i suoi risparmi e senza nulla se ne andò verso l'Alaska per vivere, anzi sopravvivere, solo grazie alla forza e alla capacità di capire la natura. (tratto da il Venerdì di Repubblica, numero 1034 11 Gennaio 2008)

Locandina del film "Into the Wild"
Finalmente un film, "Into the Wild", che intercetta i pensieri di tanti giovani. Quei sogni che la politica, il potere, non saranno mai in grado di cogliere.
Il film è tratto dal best seller di Jon Krakauer, Nelle terre estreme, (Corbaccio).
Chi non ha per una volta pensato, "appena mi laureo, me ne vado" oppure "vado a lavorare all'estero, in un paese lontano"? Chi si sente veramente libero?
Io ci penso continuamente e so che presto o tardi avverrà, sto solo aspettando, come sempre che passi il treno giusto con dentro le persone... che sto aspettando. Nel frattempo mi godo "Into the Wild", che è fantastico ancora prima di vederlo..
Potrei scrivere tantissimo, a riguardo, di quelli che sono i miei sogni, i miei progetti, ma in fondo, è più la paura che parlandone evaporino...quindi preferisco limitarmi a riportare quanto scritto da altri: Angelo Calianno.
Angelo Calianno di 26 anni, sono pugliese, e viaggio per passione da quando avevo 18 anni, ho vissuto due anni a Londra e una volta l'anno scappo in Africa o in Sud America per minimo un mese. Per il momento non ho un lavoro fisso, perchè questo mio prendere e lasciare lavori per poi partire mi crea qualche problema, quindi faccio una miriade di lavori, l'interprete, il barista, lo scrittore Free Lance, e il collaboratore con agenzie di viaggio e Tour Operator. Tratto da: http://www.inafrica.it/
CORAGGIO DI PARTIRE (di Angelo Calianno) http://senzacodice.blog.co.uk/
Nell’agosto 1992, a nord del monte Mckinley, in Alaska, un cacciatore di alci trovò in un vecchio autobus abbandonato, il corpo di un ragazzo, ormai in decomposizione. Accanto al corpo senza vita, qualche libro e un diario. Un diario firmato con uno pseudonimo che il ragazzo aveva usato fino a quel momento, Alexander Supertramp, ma il vero nome del ragazzo come si sarebbe scoperto poco dopo era Chris McCandless. Ma chi era Chris McCandless e cosa ci faceva una ragazzo così giovane, solo e sperduto nelle foreste dell’Alaska? Nel 1990 dopo aver conseguito con il massimo dei voti una laurea, Chris, un ragazzo di 22 anni e di buona famiglia, prese tutti i suoi risparmi (25 000 dollari) e gli diede in beneficenza, bruciò la sua auto e sparì dalla circolazione, per sempre, uniche tracce, i suoi appunti sul diario e la gente che incontrò sul suo cammino. Con poche righe spiegò ad amici e famiglia che non ne poteva più della sua vita normale e voleva abbracciare la natura. John Krakauer, uno scrittore americano ma prima di tutto un avventuriero ed un alpinista, affascinato dalla storia di Chris, decise tramite gli appunti nel diario e gli indirizzi annotati, di intervistare chiunque avesse incontrato Chris, chi gli aveva dato un passaggio, le persone per cui aveva lavorato in piccoli fast food o in fattorie sperdute dell’American del nord, chi l’aveva ospitato o semplicemente, fatto una chiacchierata e preso il suo indirizzo, raccolse tutto questo in uno splendido libro, ormai quasi introvabile “Into the Wild” (Nelle Terre Estreme, nella versione italiana) Quello che ne emerse fu incredibile, tutti, nessuno escluso ricordavano quel ragazzo con grande affetto, Chris aveva come unica filosofia, quella di lasciare il posto in cui si trovava, appena ci si fosse trovato bene, la sua sfida era….mettersi alla prova ogni giorno, e come ultima destinazione, arrivare nella fredda Alaska, lì dove finalmente avrebbe potuto abbracciare la natura che da tanto cercava. Chris si muoveva per l’ovest americano lavorando ovunque gli capitasse, fino a mettere da parte i soldi necessari per la partenza successiva, da tutti veniva ricordato come un ragazzo taciturno e lavoratore, e sempre con il sorriso sulle labbra. Il corpo di Chris venne ritrovato nell’estate del 1992, nel vecchio pullman abbandonato c’erano graffiti e passi sottolineati di alcuni libri come quelli di Tolstoj, Kerouac, Jack London ecc. Il motivo della morte di Chris tutt’ora non è stato chiarito, lo stato di decomposizione non permise una autopsia accurata, Chirs potrebbe essere morto di stenti, freddo oppure avvelenato da alcune radici di cui si era cibato.Lo scherzo del destino fu che la salvezza per Chris era soltanto a pochi kilometri dall’autobus abbandonato, infatti a un’ora di cammino avrebbe trovato sia la strada, che un capannone per i rifugi usato dai Rangers, ma lo spirito di Chris gli aveva sempre imposto di viaggiare senza una mappa, quindi, lui ignorava tutte queste cose. Tra le tante persone con cui parlò, ci fu qualcuno che affezionò al ragazzo più degli altri, un anziano signore che incontrò Chris mentre faceva autostop, insieme viaggiarono da Salton City fino a Grand Juction in California. L’uomo si chiamava Ronald A. Franz, (uno pseudonimo su richiesta dell’uomo) una persona sola, in pensione e molto insoddisfatta della propria vita, Ron non voleva più separarsi dal suo nuovo giovane amico, ma sapeva di non poterlo fermare. Ecco alcuni stralci delle lettere che Chris scrisse a Ron: “Ron, apprezzo sinceramente l’aiuto che mi hai dato e i momenti che abbiamo trascorso insieme. Spero che la nostra separazione non ti abbia depresso troppo. Potrebbe passare molto tempo prima di rivederci ma, ammesso che io superi l’affare Alaska tutto d’un pezzo, riceverai di sicuro mie notizie. Vorrei ripeterti solo il consiglio che già ti diedi in passato, ovvero che secondo me dovresti apportare un radicale cambiamento al tuo stile di vita, cominciando con coraggio a fare cose che mai avresti pensato di fare o che mai hai osato. C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo , dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà, non esiste niente di più devastante che un futuro certo.Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura.La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in continuo cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. "Spero davvero, Ron, che non appena ti sarà possibile, lascerai Salton City, attaccherai una roulotte al camion e comincerai a goderti il grande lavoro che il Signore ha compiuto nell’ovest americano,vedrai cose, conoscerai gente, e ti insegneranno molto. Dovrai farlo in regime d’economia, niente motel, preparati da mangiare da solo e, come regola generale, spendi il meno possibile, perché così ti ritroverai ad apprezzare immensamente ogni cosa.Spero che la prossima volta che ti vedrò sarai un uomo con una sfilza di nuove esperienze e avventure alle spalle.Non esitare o indugiare in scuse.Prendi e vai, Sarai felice di averlo fatto.Riguardati." Alex.
L’ottantenne Ron, venne così colpito dalle parole del giovane vagabondo che vendette la sua casa e i mobili per comprarsi un Caravan, ci mise dentro un letto, un’attrezzatura da campeggio e cominciò a viaggiare lungo l’ovest Americano, Ron arrivò fino alla Bajada, stesso posto dove si era accampato mesi prima Chris, si fermò lì, in attesa del ritorno del suo amico, che purtroppo non avvenne mai.
Molti furono i giovani impressionati dalle gesta di Chris, qualcuno lo paragonò ad un moderno profeta, altri usarono parole taglienti accusandolo di dare cattivo esempio per i giovani che cercano di farsi strada nella società. Per me invece, come per tanti altri, Chris fu la prima spinta a viaggiare, per me come per tanti altri, Chris rappresenta il coraggio di mettersi uno zaino sulle spalle per affrontare realtà che non avrebbe mai immaginato, questa di Chris, è solo una delle tantissime storie, che si può incontrare viaggiando. Angelo Calianno

Una frase sottolineata da Chris nel libro "La felicità familiare" di Lev Tolstoj : “Volevo il movimento, non un esistenza quieta, volevo l’emozione, il pericolo, la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di energia, che non trovava sfogo, in una vita tranquilla”

Per approfondire l'intera vicenda di Chris McCandless puoi visitare http://www.inesplorazione.it/2008/04/una-storia-vera-un-viaggio-nella-natura.html

domenica 23 dicembre 2007

La morte bianca: Robert Falcon Scott


Robert F. Scott's camp at the South Pole, c. 1912.
Robert Falcon Scott (Plymouth, 6 giugno 1868 – Antartide, 29 marzo 1912) è stato un marinaio e esploratore britannico.
Il tentativo di raggiungere il Polo Sud
Il 1 novembre 1902 Scott, accompagnato da Edward Wilson e da Shackleton, lasciò Hut Point per dirigersi a sud con le slitte trainate dai cani. Scott, nell'erronea convinzione che il terreno sarebbe stato pianeggiante e agevole da percorrere, aveva previsto dei quantitativi di razioni alimentari molto ridotti. La spedizione incontrò all'inizio bufere con caduta di neve fresca che resero difficile il cammino, al punto che i tre erano costretti a trasportare metà del loro carico per mezzo miglio e poi tornare indietro per recuperare l'altra metà. I tre commisero inoltre alcuni errori tecnici: uno di questi fu quello di spostare i cani da una muta all'altra, scatenando feroci liti e diminuendo così l'efficacia delle mute. Inoltre i cani non erano preparati per l'impresa e per le condizioni climatiche, avendo passato l'inverno al riparo a bordo della nave con pochissime uscite di allenamento. Nessuno dei tre aveva esperienza di sopravvivenza in ambienti estremi come quello antartico: si pensi che Shackleton non aveva mai montato una tenda né dormito in un sacco a pelo. Quando i tre erano già sfiniti dalla cecità da neve, dalle scarse razioni, dal clima avverso e, nel caso di Shackleton, dallo scorbuto, avvistarono le catene montuose antartiche che eliminarono le speranze di poter raggiungere il Polo. Nonostante ciò Scott decise di proseguire e solo intorno all'82° parallelo si arrese all'evidenza dell'impossibilità di proseguire. Dai suoi diari si evince che Scott attribuì l'intera colpa del fallimento ai cani e non agli errori tecnici nella preparazione. Scott, Wilson e Shackleton raggiunsero il punto più meridionale il 31 dicembre 1902, a 480 miglia dal Polo.
La spedizione Terra Nova (1910 - 1912)
Secondo Scott il raggiungimento del Polo da parte di un britannico non era importante solo per questioni di prestigio nazionale. Scott lo considerava anche un opportunità di arricchimento e di miglioramento di status per la sua famiglia. Dopo il matrimonio con la scultrice Kathleen Bruce il 2 settembre 1908 e la nascita del loro unico figlio nell'anno 1909, partì per la sua seconda spedizione nell'Antartico. Il 1 giugno 1910 la nave Terra Nova salpò da Londra alla volta dell'Antartide. Fin da subito fu chiaro a Scott che il raggiungimento del Polo sud sarebbe stato una sorta di gara con il norvegese Roald Amundsen. Entrambe le spedizioni partirono nell'ottobre 1911 dai rispettivi campi base. Ma mentre Amundsen e i suoi quattro compagni erano in viaggio con sci e cani da slitta, Scott e i suoi utilizzarono pony e motoslitte che si rivelarono ben presto difettose, nonché cani da slitta che anche stavolta nessuno sapeva condurre. La spedizione composta da Scott, Edward Wilson, Edgar Evans, Lawrence Oates e dal tenente Henry Bowers, raggiunse il Polo Sud tra il 17 e il 18 di gennaio del 1912. Ma qui la delusione fu enorme, quando i cinque si resero conto che Amundsen li aveva preceduti di diversi giorni: sul ghiaccio svettava ancora la bandiera norvegese, lasciata da Amundsen già il 14 dicembre 1911.
Amundsen con la bandiera norvegese piantata al polo sud
Purtroppo per Scott e i suoi, la migliore organizzazione della spedizione di Amundsen fu evidente anche (e soprattutto) nel durissimo viaggio di ritorno. Se infatti il norvegese era riuscito a percorrere tra le 15 e le 20 miglia al giorno (pur avendo previsto di percorrerne 30 al giorno), Scott raggiunse una prestazione massima di 13 miglia al giorno. Mentre Amundsen riuscì a rientrare al campo base senza difficoltà, per Scott e i suoi il rientro divenne ben presto una lotta disperata. In gran parte contribuirono anche le pessime condizioni meteorologiche con temperature talmente rigide che, dall'introduzione delle moderne stazioni meteo negli anni '60, furono nuovamente registrate una sola volta. Il primo che perse la vita nel corso della marcia di rientro fu Evans che si era infortunato in seguito ad una caduta ed ebbe un crollo fisico e psicologico. Poco dopo peggiorarono le condizioni di Lawrence Oates tanto da ostacolare la marcia degli altri membri della spedizione. Quando Oates si rese conto di avere poche possibilità di sopravvivenza, ma soprattutto di rappresentare un fattore di rischio per i rimanenti membri della spedizione, abbandonò volontariamente la tenda durante una tempesta di neve. Il suo corpo non fui mai ritrovato. Il gesto di Oates fu inutile. I cadaveri dei rimamenti membri della spedizione furono trovati sei mesi dopo a sole 11 miglia da un grande deposito di viveri allestito appositamente per la loro spedizione. Rimasero i loro diari nei quali descrissero nel dettaglio le sofferenze patite. É celebre la frase di Scott:
(EN) « Had we lived I should have had a tale to tell of the hardihood, endurance and courage of my companions which would have stirred the heart of every Briton. » (IT) « Fossimo sopravvissuti, avrei avuto una storia da raccontarvi sull'ardimento, la resistenza ed il coraggio dei miei compagni che avrebbe commosso il cuore di ogni inglese. »

mercoledì 28 novembre 2007

Il nucleare rispetta il valore di una vita?

Micheal e Vladimir due fratelli, a cui il nucleare ha spezzato la vita

Un mio pensiero. Uno Stato serio, non insegue ed asseconda gli usi e costumi, e quindi i vizi del proprio popolo. Se il popolo spreca l'energia, se ne consuma troppa, dovrebbe restare al buio, a meno che non si voglia imitare la California che in preda sempre più ai black out ed agli incendi, è un enorme condizionatore, che butta fuori aria calda senza preoccuparsi del perchè cresca la temperatura all'esterno esponenzialmente. E' il gatto che si morde la coda: fa caldo? allora abbasso la temperatura producendo calore. Lo Stato dovrebbe promuovere energie alternative, premiare concretamente i comportamenti di coloro che rispettano il pianeta che abitiamo; invece c'è chi, non preoccupandosi delle ricadute delle proprie dichiarazioni, ancora propone l'utilizzo di energie, che poco hanno a che fare con la dimensione dell'uomo e della natura. Ci sono delle forze, che non andrebbero rianimate. La forza di un vulcano, è temuta dall'uomo, altrimenti il Vesuvio non sarebbe continuamente monitorato. Il nucleare va temuto.

Il leader udc Casini si era detto pronto a far costruire una centrale anche a roma «Vado in piazza per dire sì al nucleare» «Domani sarò in piazza per dire torniamo al nucleare, facciamo una scelta coraggiosa anche se impopolare» Clicca qui per vedere l'articolo completo.

Adriano Celentano - Sognando Chernobyl

Il nucleare. Il nucleare, non è il fuoco scoperto da Prometeo. Magari fosse un elemento amico dell'uomo. E' una forza che nel momento in cui è stata annessa dall'uomo ne ha sancito anche la possibile estinzione. Le scorie radioattive non si spengono, come si fa per un incendio. E' come se un incendio durasse centinaia d'anni. Il nucleare è una forza mostruosa e spaventosa, capace di spazzare via le coscienze; è inumana. E' il nulla.
Spaventa che la storia non insegni nulla. Spaventa che il disastro di Chernobyl sia già stato dimenticato dai più, nel nome di un finto progresso, che sta invece distruggendo questo pianeta. le istituzioni non si fermano a riflettere sui comportamenti reali delle persone e sulla loro sostenibilità per il pianeta.

No grazie, preferisco campi di grano, un cavallo ed una allegra vendemmia in compagnia.


Gli attivisti di Greenpeace entrano in azione al congresso del WEC - il Consiglio Mondiale dell'Energia (20° Congresso mondiale dell'energia Roma 11 - 15 novembre 2007 ) - per dire NO al nucleare come risposta ai cambiamenti climatici.
Esplosione nucleare di Hiroshima.

Hiroshima, durante la seconda guerra mondiale, fu risparmiata dai bombardamenti americani ma il 6 agosto 1945 alle 8:16 (ora locale) Little Boy, la prima bomba atomica ad essere utilizzata in un conflitto militare, esplose ad un altitudine di 576 metri con una potenza pari a 12.500 tonnellate di TNT. Little Boy provocò: circa 130.000 morti, 177 mila persone sfollate, e morte negli anni successivi, dovuta alle radiazioni.

Esplosione nucleare.

sabato 27 ottobre 2007

Vajont e Petrolchimico di Marghera: morire in Veneto all'improvviso o lentamente.


Un binario divelto dalla furia delle acque. Vajont, 1963. Siamo più forti noi o la natura?

Le caratteristiche salienti che accomunano i due tra i più gravi disastri umani ed ecologici della nostra Repubblica, sono incredibilmente tanti e principalmente sono questi:
1) L'essere stati voluti ed ideati dal medesimo capitano d'industria, uomo di spicco del regime fascista;
2) Aver causato migliaia di morti;
3) Aver sfruttato impropriamente o inquinato uno dei quattro elementi della terra, l'acqua, ed esser stati due tra i più gravi disastri ambientali della nostra repubblica.

Per quanto riguarda la tragedia del Vajont consiglio la visione del film capolavoro italiano Vajont, del sito internet http://www.vajont.net/ , della denuncia civile di Marco Paolini http://vajont.org/vajont_static/paolini.html
Per quanto riguarda il disastro del Petrolchimico consiglio il sito dell'associazione Gabriele Bortolozzo http://agb.provincia.venezia.it/bortolozzo/gabriele.htm
Uno dei momenti più belli , tratto dal Film "Vajont"
Questo articolo è tratto dalla tesi di laurea "Paesaggio della Gronda lagunare della Laguna Nord" di Sciretti Alberto

L’idea iniziale di un porto industriale in terraferma, cominciò a prendere forma alla fine del XIX secolo, dopo che a Venezia si era ormai capito che lo sviluppo di un moderno sistema industriale e portuale, indispensabile alle sorti economiche della città, e peraltro in essa già presente, poneva problemi insormontabili di accessibilità e di compatibilità con il tessuto urbano esistente [1]. Porto Marghera sorse concretamente nel 1917 da un’ idea di Giuseppe Volpi [2], e cioè quella della ‘grande Venezia’, industriale e moderna, frutto di ‘genialità’; costui rappresentava perfettamente l’espressione della cultura coraggiosa e spregiudicata dei capitani d’industria moderni, ignari dei rischi connessi all’evocazione delle forze sconosciute del progresso. Quando si pensa a Giuseppe Volpi come ad un d’annunziano uomo d’azione, ispirato da ideali protesi al bene della comunità, non si conosce probabilmente fino in fondo, il conflitto d’interessi insito nella volontà del Volpi di creare un distretto industriale in questa fascia delle gronda lagunare; Volpi che aveva a disposizione una abbondante liquidità di denaro, profitti eccezionali ottenuti con la guerra, dalle principali imprese energetiche e metallurgiche italiane, fu a lungo presidente della S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità) [3], da lui costituita nel 1905. Aveva dunque tutto l’interesse perché nascesse un distretto industriale a cui poter fornire in seguito l’elettricità, in regime di monopolio. Se il Petrolchimico si è rilevato il più grave disastro ambientale di sempre della storia italiana, non è stato da meno, la costruzione da parte della stessa S.A.D.E., della diga del Vajont [4], pensata negli anni '40, ma realizzata solo alla fine degli anni '50 [5].

---------------Note-------------

[1] Divenuto ben presto necessario l'ampliamento della Stazione Marittima, si sviluppò un ampio dibattito dal quale emerse già nel 1902, ad opera di Luciano Petit, l'idea rivoluzionaria e decisiva per l'avvenire della città, di un nuovo porto in terraferma. Camillo Pavan, Porto Marghera, le origini , ristampa anastatica, dalla rivista “Le Tre Venezie”, giugno 1932. (http://www.camillopavan.it/)
[2] Lettera di Giuseppe Volpi al direttore di “Le tre Venezie”, Palazzo San Beneto, Venezia 24 maggio 1932.
[3] La S.A.D.E., a cui partecipavano alcuni personaggi del mondo economico veneziano, iniziò la sua attività di elettrificazione, acquistando alcuni impianti a Belluno, Cividale e Palmanova. Nel giro di pochi anni, grazie anche all'opera dell' ingegnere Achille Gaggia, chiamato dal Volpi a dirigere tecnicamente la società, attraverso una politica di acquisizione di piccole centrali locali, giunse a controllare un' area che andava dai confini orientali del paese fino a Verona e a Bologna. A metà degli anni '20, la S.A.D.E. aveva già raggiunto una dimensione di primo piano tra i grandi gruppi elettrici italiani. Anche se la produzione idroelettrica fu a lungo dominante (circa 320.000 KW alla fine degli anni '30), la S.A.D.E. era dotata di una serie di centrali termiche nel Veneto a Venezia, Padova, Soria (VR), nel Friuli e in Emilia Romagna. L'impegno maggiore nel settore termico, si ebbe tuttavia tra 1926 e il 1930, quando fu realizzata la grande centrale a carbone e nafta di Porto Marghera con una potenza di 57.000 Kw. L'impianto era stato chiaramente programmato da Volpi in relazione allo sviluppo del polo industriale di Marghera, di cui fu uno dei principali promotori (nel polo erano presenti industrie chimiche, elettrochimiche ed elettrometallurgiche con aziende come la Montecatini, la Vetrocoke, la Società Anonima Veneta Alluminio e più tardi l'AGIP). La stessa SADE era presente in alcune industrie metallurgiche come la San Marco e la Metallurgica Feltrina. Nel 1944, dopo l'arresto e la fuga di Giuseppe Volpi in Svizzera, per i suoi stretti legami con il governo fascista, la presidenza della S.A.D.E. passò ad Achille Gaggia, uomo di fiducia di Giuseppe Volpi. (http://www.enel.it)
[4] Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, nei pressi di Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno. La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò una giganteca ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime. Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la previdibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Ora Longarone ed i paesi colpiti sono stati ricostruiti. La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, quanto mai attuale, che da esso si può apprendere. (http://www.vajont.net/ - Sito ufficiale a cura del Comune di Longarone)
[5] Il 30 gennaio 1929, la S.A.D.E. di Giuseppe Volpi chiese la concessione di derivazione del torrente Vajont per la produzione di energia elettrica, corredata dal progetto dell'ingegnere Carlo Semenza. Il 22 giugno del 1940, la S.A.D.E. del capitano d'industria Giuseppe Volpi chiese al Ministero dei lavori pubblici l'autorizzazione per utilizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vajont e altri minori, nonchè la costruzione di un serbatoio della capacità di 50 milioni di metri cubi creato mediante la costruzione nel Vajont, presso il ponte del Colombèr, di una diga alta 200 metri. Il 15 ottobre 1943 Giuseppe Volpi, nella sua qualita' di ministro dell'Industria in carica, grazie alla confusione di quei giorni di una Roma allo sbando, convoca e ottiene per la sua S.A.D.E. il voto favorevole del Consiglio Superiore Fascista dei Lavori Pubblici: alla riunione sono presenti 13 componenti sull'organico dei 34, dunque senza che neanche aver raggiunto il numero legale. Gli scavi, iniziarono nel settembre 1956 senza autorizzazione, e la diga fu pronta nel 1960.

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