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mercoledì 12 ottobre 2011

"Home", quando ti bitumano i sogni di una vita.

Un fotogramma di "Home".

Ho visto "Home", un film che non mi ha lasciato indifferente. Per chi intendesse cercarlo, basta cliccare sulla locandina riportata, ingrandendola, e segnarsi il nome del regista, Ursula Meier. Il film scuote. Tocca una parte di tutti noi, molto remota ed ancestrale, dove regna il diritto naturale di difendere ad ogni costo la proprietà dei nostri sogni da qualsiasi espropriazione. Se foste andati ad abitare in un paradiso, un angolo di pace immerso in distese verdeggianti, la casa dei vostri sogni insomma, come reagireste se improvvisamente qualcuno decidesse nel nome del "bene comune" di costruire una autostrada che accarezza il vostro giardino? Il film sposa la prospettiva dell'espropriato; la cinepresa entra nella psiche di chi si vede privare violentemente del proprio isolamento rotto dall’inevitabile arrivo del progresso. Avete mai rotto un uovo per farvi una  frittata? Bene, il film ha le cineprese dentro l'uovo e mostra la prospettiva di chi si vede infrangere la propria esistenza per soddisfare la fame altrui. La famiglia decide cocciutamente di resistere, diventando borderline, sprofondando sempre più nella casa che diventa un bunker buio, insonorizzato nel vano tentativo di non sentire i rumori e le vibrazioni provenienti dall'autostrada. Lì dove c'era la luce, lentamente cala il buio della depressione ed il deterioramento patologico della psiche dei personaggi che si chiudono in sé stessi diventa insopportabile anche per lo spettatore. Il film disturba. Il tema è più che mai attuale. Chi fugge dal progresso, prima o poi viene raggiunto. Una cava, una discarica, un superstrada, una industria. Il progresso, in tal senso, può intendersi anche come quella distesa di bitume che asfalterà prima o poi anche i vostri sogni.


mercoledì 5 ottobre 2011

Se il lavoro diventa totalizzante, la tentazione è diventare eremiti. La nostra vita è sommersa dai bisogni secondari indotti dal sistema in cui viviamo.

Marco Puchetti, 37 anni vive senza corrente elettrica, coltivando l'orto.

La storia di Marco Puchetti (vedi articolo del corriere.it), manager Yamaha laureatosi alla Bocconi ed ora eremita in Abruzzo in valle Pezzata, lì dove osano i lupi e gli orsi, è la prova dell'esistenza di persone che non vivono per lavorare, non inseguono meramente il denaro e se le condizioni di lavoro diventano totalizzanti, li perdiamo, dispersi nei boschi. «Al di là delle otto ore di ufficio, il lavoro assorbiva completamente la mia vita. Era difficile staccare la spina quando tornavo a casa. Invece io volevo stabilire un contatto più profondo e più armonico con l’ambiente circostante». 


Marco ha rifiutato il consumismo e le comodità e ha abbracciato un’esistenza da eremita fatta di cose elementari; si è accorto che la sua vita era sommersa dai bisogni secondari indotti dal sistema in cui viveva. Era pieno di cose che non gli servivano e di cui pian piano sentiva di doversi liberare. L’ex manager ha trascorso circa otto lunghi anni nell’ecovillaggio della Valle degli Elfi, sull’Appennino tosco-emiliano e da due anni, in pieno inverno, si è spostato in Abruzzo per dar vita ad un’altra comunità. L’alimentazione? «Si basa sul selvatico, cioè su quello che ci offre spontaneamente la terra. Coltiviamo l’orto, seguendo i consigli degli anziani contadini, e l’acqua la prendiamo dal torrente. Pensa, noi qui non produciamo quasi rifiuti… altro che Napoli!». E mentre il mondo vive con il fiato sospeso per l’incubo default, Marco offre la sua versione della Storia: «Se ognuno eliminasse il superfluo e attraverso l’introspezione cominciasse a soddisfare i bisogni primari, capirebbe più facilmente cosa lo può appagare…».

Il luogo selvaggio dove vive Marco Puchetti.
Una cascina rurale - Valle Pezzata - Abruzzo

martedì 4 ottobre 2011

L'unica guerra possibile, quella contro il cancro.


Anna Lisa aveva già perso il fratello Alessandro morto sul lavoro a 19 anni. Una delle tanti morti bianche. Ora, apprendo dal corriere, che Anna Lisa è morta di cancro a 33 anni condividendo la sua malattia sul suo coraggioso blog. "Mi chiamo Anna staccato Lisa, ho 33 anni, sono nata e abito in Toscana. Nel 2008, all’età di 30 anni, avevo un lavoro che tutto sommato mi piaceva, un fidanzato fantastico conosciuto da soli sei mesi, tante amicizie meravigliose e un rapporto stupendo con la mia Mamy.
Ero in ottima forma fisica, facevo regolarmente sport ed ero corteggiatissima, coltivavo i miei hobbies, ridevo, mi divertivo, viaggiavo, sognavo, raccontavo la mia vita sul blog, facevo progetti e stavo bene: era decisamente un periodo positivo, tranquillo, sereno.
Poi, il 21 novembre 2008, mi hanno diagnosticato un tumore al seno.
Per oltre un anno ho lottato contro quel cancro cattivo, aggressivo, “vivace” (come lo definì poi il mio chirurgo), contro la “bestiaccia” come la chiamo io. Ho fatto 11 cicli di chemio e due interventi. Ho combattuto tanto, è vero, ho sofferto, ma ho anche raccontato e condiviso tutto e proprio grazie alla mia mamma, al mio fidanzato, alle mie amicizie, ai miei affetti e al mio blog, posso dire di avere avuto un grande aiuto. Lo diceva anche Shakespeare: “Quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze.”
Nel marzo del 2010, all’età di 32 anni, quando avevo ricominciato a prendere in mano la mia vita, mi hanno diagnosticato una seconda “bestiaccia”: metastasi ai polmoni e ai linfonodi del torace. Ho fatto altra chemio, ho fatto radioterapia e terapia ormonale. Ho dovuto fare trasfusioni di sangue, di piastrine. Ho preso e sto prendendo una marea di farmaci, ma nonostante tutto so che non potrò mai guarire. Non ci sono cure, non ci sono terapie per il mio cancro. Posso solo sperare di cronicizzare la malattia, di conviverci.
E quindi continuo a lottare, continuo a condividere, continuo a raccontare la malattia sul mio blog e continuo a considerarmi una malata coccolata, viziata, amata e fortunata. E se la “bestiaccia” è così vivace… beh, io lo sono di più!"

Il Consumismo è l'agente segreto del Cancro, perché distoglie le risorse dalle battaglie vere per la vita, come la donazione per la ricerca contro il cancro.
Solo leggendo Anna Lisa, si può capire la stupidità degli Stati contemporanei che ancora investono la maggior parte delle loro risorse nelle lobbies politiche e nella corsa agli armamenti. Se soltanto avessimo avuto il coraggio umano di destinare le risorse che destiniamo alle cose futili e inutili, probabilmente il cancro sarebbe già stato sconfitto. L'unione fa la forza. Invece, ognuno di noi gioca questa vita in modo egoistico sperando di scamparla. Abbracciate la vita, abbracciamo la vita, restiamo umani.

lunedì 3 ottobre 2011

Se solo la scuola ci mandasse in gita in Africa..

"Mamma, vado in gita con la scuola" "Parigi, Londra, Praga; Dove?" "Mamma vado in Africa." Le nuove generazioni, anestetizzate e rovinate dai modelli consumistici proposti dalla televisione, sono cresciute nell'assenza totale di quella verità nuda e cruda rappresentata dall'Africa. Se la scuola avesse mandato i propri studenti in Africa a sentire i morsi della fame, forse molti di noi sarebbero cresciuti più veri e solidali con il proprio prossimo. Bisogna anche dire che Walter Veltroni nel 2004 fu l'unico a mettere in pratica questo metodo educativo; con gli studenti delle scuole romane diede il via ad una serie di viaggi in paesi dell'Africa volti a sensibilizzare gli studenti sul tema della povertà nel Terzo Mondo e per donare, con i soldi raccolti dagli studenti, nuove strutture, specialmente scuole, ai paesi visitati. Il primo viaggio, svoltosi nel 2004, ha avuto come meta il Mozambico, il secondo, del 2005, si è svolto in Rwanda, il terzo, del 2007, è stato in Malawi. Dall'altro, devo dire che Walter Veltroni promise anche di rinunciare alla politica per andare in Africa ad aiutare i bisognosi e vai a capire perché questa "passione" per la politica italiana lo costringe a vegetare ancora in Italia.

Un agnellino appena nato. Mio fratello ha scattato questa foto, che voglio condividere su google in un formato ad alta risoluzione con il seguente monito: tanti di voi hanno un palato esigente che cerca e vuole a tavola carne sempre più tenera;  l'agnello da latte, cioè con poco più di un mese di vita, viene da molti preferito per la carne tenera (chiamato abbacchio); inoltre è tradizione diffusa quella di mangiare carne d'agnello nel giorno di Pasqua. Io sono fortunatamente arrivato a 32 anni senza mai mangiare queste povere creature e chiuderò la mia vita non sentendomi un pervertito della tavola. Proprio perché ci sono persone in Africa che muoiono di fame, credo che spezzare la vita di un animale appena nato e non ancora adulto solo per appagare il palato di qualche pervertito è un gesto barbarico di una società che cerca gratificazioni superflue.  

mercoledì 4 maggio 2011

Quando muori, ricordati di spegnere proprio tutte le luci. Anche la lampada votiva.

Lampada votiva 24h/24h
Qualche giorno or sono tra i commenti di questo blog qualcuno ha scritto una poesia. Il verso che più mi è piaciuto, "ci sono luci che non si spengono neanche al tramonto" mi ha fatto volare tra i fuochi fatui ma allo stesso tempo scendere terra terra a riflettere tra i loculi di un cimitero. Noi occidentali abbiamo una strana pretesa. Da morti una luce perennemente accesa giorno e notte sulle nostre tombe continua ad affermare materialmente la nostra presenza, consumando. Quanto petrolio abbiamo dovuto bruciare per mantenere vivo questo privilegio? Quante guerre per soddisfare fabbisogni sempre più strampalati?  Lampade votive per le quali paghiamo una tassa annua. Siamo tutti un po' faraoni. Spegniamoci un po' ed evitiamo il nucleare. Se anche gli Africani o gli Asiatici iniziassero a vantare il diritto di illuminarci della loro presenza anche dopo il trapasso, le risorse energetiche di questo pianeta dovrebbero in parte essere destinate a mantenere vivo il ricordo dei morti. Ora, posto che sia vero che ci sono luci che non si spengono neanche al tramonto (l'anima), perchè il nostro egoismo materialista costringe i posteri a mantenere viva una luce che non fa che consumare delle risorse che sono finite? Fosse per me, impedirei con una legge a chiunque di imporre ai posteri un qualsiasi tipo di consumo. Non dovrebbe essere nella disponibilità di chiunque, consumare anche da morto. Perciò quando muori, ricordati di spegnere proprio tutte le luci.

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