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lunedì 10 gennaio 2011

Gli orrori del comunismo. Cronache dal gulag


Jacques Rossi, "Com'era bella questa utopia.
Cronache dal gulag", Marsilio Editori.

Ho letto "Com'era bella questa utopia" di Jacques Rossi, un sopravvisuto in condizioni estreme ai Gulag, i campi di concentramento comunisti. Dopo averlo letto ti chiedi come mai non sia ancora stato istituito un giorno della memoria per le vittime dei regimi comunisti; allo stesso tempo ti chiedi perchè non si combatta il «negazionismo» dei crimini comunisti con la stessa forza con la quale vengono combattuti (giorno della memoria ogni 27 gennaio) quelli nazisti contro gli ebrei. Il comunismo reale al potere si trasforma, come accade in Urss, in una dittatura sanguinaria che nulla a che  vedere con gli ideali per i quali si è sentito impegnato a combattere: difesa dei più deboli, dei contadini, della classe operaia, giustizia sociale, uguaglianza, tolleranza, etc.
Secondo lo storico del comunismo Stéphane Courtois che scrisse il famoso "Il libro nero del comunismo" al movimento comunista internazionale si può attribuire la responsabilità di quasi 100 milioni di morti. Berlusconi, a cui comoda evocare sempre lo spettro di questo tipo di comunismo, ce lo ricorda in ogni campagna elettorale. Un'ombra nera incancellabile nel libro dell'Umanità.

Urss fino a 20 milioni (2 milioni si devono ai famigerati Gulag)
Cina fino a 20 milioni
Vietnam, circa 1 milione
Corea del Nord 2 milioni
Cambogia 2 milioni
Europa dell'Est fino a 1 milione
America latina 150.000
Africa quasi 2 milioni
Afghanistan 1,5 milioni

L'orrore non ha banchettato soltanto ad Auschwitz, ma anche a Kolyma in Siberia (uno dei gulag con il tasso di mortalità più alto). Miseria insopportabile, intrisa di menzogne, di ingiustizie, di delusioni, di umiliazioni, di provocazioni, di arroganza, di perversioni, di ipocrisia, di fame, di freddo e di terrore.
Il gulag, il campo di concentramento del sistema sovietico. Filo spinato e pastori tedeschi. 

I detenuti per motivi politici, imprigionati senza limiti di tempo, "nemici  del popolo", vengono sottoposti ad un regime di detenzione molto duro ed a lavori forzati pesanti. Soltanto sotto i 38 gradi sotto zero i detenuti venivano dispensati dal lavoro coatto. Esattamente come durante il Regime del Terrore durante la Rivoluzione Francese, si liquidavano i liquidatori. Dopo ogni ondata di repressione di massa, si procedeva incompresibilmente a sistematiche eliminazioni di taluni degli esecutori della precedente purga. I testimoni imbarazzanti dovevano sparire. Gli aguzzini e le vittime prima o poi ciclicamente si ritrovavano nel medesimo Gulag, perchè nel frattempo gli aguzzini erano catturati nell'ingranaggio della Grande purga.
Le celle di rigore, tre passi per il lungo e tre passi per il largo, non hanno finestre e sembra fatta apposta per contenere le esalazioni della tinozza per i bisogni, sozza e maleodorante. Gli internati rapati, tenuta zebrata, vi arrivavano con dei convogli ferroviari identici a quelli nazisti. In alcuni casi si provocavano delle menomazioni permanentio o delle amputazioni per evitare i lavori forzati.

Detenuti del lager del Mar Bianco-Mar Baltico (Belbaltlag) al lavoro nel 1932 

I Gulag, paiono dei laboratori per degli esperimenti socio-culturali e polizieschi, in vista della creazione del "perfetto cittadino sovietico". L'orrore nell'orrore è che in questi posti dimenticati da Dio, oltri ai "fessi" ci fossero anche veri e proprio criminali senza scrupoli e regolamenti di conti a non finire tra delinquenti di bande rivali; ed ecco "l'uomo vacca". L'uomo vacca è quell'individuo, scelto a sua insaputa dai compagni di una evasione che lo useranno come provvista per il viaggio; se ne berranno il sangue e se ne mangeranno i reni. I delinquenti più anziani selezionano, per il ruolo di "vacca", un giovane che, ben lungi dal sospettare qualcosa, è ben contento di essere in compagnia dell'elite della malavita in un progetto d'evasione. I Gulag pertanto come enormi camerate erano consegnate agli equilibri di potere dei boss della malavita russa.
Il libro racconta efficacemente quel mondo che anche Orwel in 1984 seppe descrivere senza pari. Scrive Jacques Rossi: "Poco per volta, presi coscienza che le idee comuniste, così seducenti, erano di fatto illusioni irrealizzabili. E che coloro che si erano impegnati a realizzarle dovevano ricorrere inevitabilmente all'inganno, cosa che implicava obbligatoriamente la censura, in definitiva l'instaurazione di un terrore di Stato. Il primo Stato operaio e contadino del mondo, la speranza di tante anime belle, divenne il Paese della menzogna totale.

Una baracca con le donne in un Gulag.

venerdì 7 gennaio 2011

Angelo Calianno: "L'uomo bianco che mentiva nel Paese più ospitale della Terra"


Angelo Calianno nel villaggio di Niafunké, nel Mali in Africa. Classe 1979, profondo conoscitore del continente nero, fin dall'età di 18 anni ha attraversato  in lungo ed in largo paesi africani quali il Botswana, Zimbawe, Zambia, Sud Africa, Gambia, Guinea, Sierra Leone, Tunisia, Marocco, Mali, Algeria; in medioriente il Kurdistan, Palestina, Israele, Syria, Libano ed in Sud America l’Argentina, Cile e Bolivia. L’Europa ovviamente se l’era bevuta già a colazione. Lavora come tour director e contemporaneamente scrive come freelance per Peace Reporter. Notevole il suo reportage da una terra maledetta "Lettere dalla Palestina" ed il racconto di una avventura in solitaria nel parco del Matese, completamente immerso nella natura.  

Il racconto che segue è stato scritto da Angelo Calianno ed è stato ritenuto meritevole di pubblicazione dai docenti della Scuola del viaggio e quindi pubblicato nel 2010 nel libro "Partire" edito da A. Vallardi.
Da dove vieni?
Sierra Leone…
Sierra Leone? E cosa facevi lì? Perché hai scelto quel posto? Quanto tempo ci sei stato?
Dovresti vederla, l’Africa, risposi.

Due mesi prima.
Conoscevo il mondo, o almeno pensavo di conoscerne parte di esso.
Avevo visto già molti paesi Africani, ero stato presente durante la guerra civile in Zimbabwe, avevo attraversato le distese della savana del Botswana, partecipato alle sommosse campesine in Bolivia, ero in quella fase dell’esistenza, in cui pensi che il tuo posto sia solo in viaggio. Ero in quel momento in cui, ci si sente come un satellite, in cui si può essere qualsiasi tipo di persona, purché non complice delle malefatte del mondo.
Eppure nessuna delle esperienze precedenti mi avrebbe preparato alla Sierra Leone, io non so se un viaggio possa davvero portare alla maturità o possa cambiare la vita. Non credo che le persone cambino davvero mai. Ma so che esistono paesi i quali  risvegliano parti di noi assopite o troppo represse, esistono persone che con la loro esistenza, diventano i nostri maestri più importanti.
In Sierra Leone ci arrivai per caso, ero in Gambia quando, l’incontro con un contrabbandiere di diamanti ed un ex capitano della SAS inglese, che guidava elicotteri per una compagnia di estrazione mineraria, mi incuriosirono su questo paese.
Che fine aveva fatto la Sierra Leone dopo la guerra che per 10 anni l’aveva dilaniata? Perché era sparita dai satelliti dell’informazione?
Tutte domande irresistibili, che si mischiano ai racconti magici e suggestivi dei sierraleonesi lontani da casa, che vorrebbero tanto tornarci.
“Benvenuti nel paese più ospitale del mondo”, un murale al porto di Freetown mi accolse così. Quale disegno c’è nella povertà? Nella disgrazia? Chi decide quali posti devono essere tormentati da guerre e carestie mentre gli altri si godono la bella vita? In Africa questo accento è più marcato, perché le enormi ricchezze e bellezze della terra, si accompagnano quasi sempre a guerre intestine causate dall’avidità occidentale.
La Sierra Leone con i 30,000 mutilati, ne è solo un esempio.
“Io sono stato fortunato, mi hanno tagliato solo una mano” racconta Samiel parlando del periodo in cui c’erano i ribelli del RUF. “Mi hanno detto, hai la faccia simpatica, ti toglieremo solo la mano o un piede, a molti amici è andata peggio, e allora gli veniva tolto un braccio e una gamba a colpi di machete”.
Questa è solo una delle storie del paese più ospitale del mondo. Raccontata da Samiel e dai suoi amici con una naturalezza impressionante. Sono storie che farebbero tremare il più cinico dei cuori, immagini che farebbero finire il cielo dall’altro capo del mondo, se non fossimo in Africa.
Dopo alcuni giorni nella capitale Freetown, decido di ripartire, addentrarmi verso est, verso il confine con la Guinea.
Il viaggio, splendido quanto duro, su logore panche di legno messe come sedili in un vecchio scuolabus inglese, ci portò tra frutta e noccioline all’altro capo della nazione, dove l’umidità delle foreste si fa opprimente, dove l’unico uomo bianco che si intravede è qualche missionario, dove la gente ha bisogno di fermarti la mattina al mercato, per raccontarti la sua storia.
“Ho viaggiato molto nella mia vita: Senegal, Marocco, ho studiato anche l’arabo a Taroudant, ma nessun posto è come Kabala”. Kabala è una città vicino al confine con la Guinea, dove la terra rossa Africana si mischia con i cieli puliti senza elettricità ed il verde delle foreste.
La frutta è più fresca, la persone passano i pomeriggi a chiacchierare, sorseggiando un imbevibile intruglio, distillato di foglie di palma, e fumando al fresco, nelle ore più calde.
Kabala sembrava il posto migliore per ripararmi dai troppi racconti di guerra e mutilazioni, caduti sulle mie piccole spalle da europeo.
Ma i racconti non hanno una pausa, hanno un luogo e un momento ben preciso, questo era quel momento, che io fossi pronto o meno. Ma i racconti non fanno pausa, hanno un luogo e un momento ben preciso per arrivare: questo era il momento, che io fossi pronto oppure no. “I caschi blu dell’Onu, che in teoria avrebbero dovuto difenderci, qui venivano dal Bangladesh, nazione più povera al mondo allora e preceduta solo…dalla Sierra Leone. I soldati quando arrivarono con la loro politica di non intervento, si limitarono a guardare quello che i ribelli del Ruf facevano a questa gente. Loro se ne stavano al riposo nella nostra casa, violentando le donne e facendo razzia dei cibi che trovavano. Ma il decidere di non intervenire, non è già una presa di posizione ben precisa?". Questo mi racconta uno dei padri missionari da 25 anni in Sierra Leone.
La sera ogni tanto portava un vento fresco che veniva da chissà dove fino a qui, lontano dal mare e dalle montagne. Si vedevano poche luci durante le mie passeggiate notturne, erano bagliori di piccoli cellulari di alcuni ragazzi, che servivano ad illuminare un po’ la strada. Ogni tanto si diffondeva una musica di una radiolina a batterie, unico mezzo di connessione con un mondo che ha dimenticato alcune delle sue terre, o se ne ricorda solo nel momento del bisogno.
Un predicatore a Freetown rivolgendosi ad alcuni bianchi disse:
“E voi che pensate di essere al sicuro, arriverà il vostro momento! Perché un giorno il vostro mondo finirà, e quando avrete perso le vostre comodità e non saprete più come fare, verrete a farvi insegnare la sopravvivenza da noi, che in queste condizioni abbiamo sempre vissuto. E allora forse potremo essere fratelli, oppure ancora una volta, ve ne andrete, non lasciando altro che morti e terra bruciata, perché, l’uomo bianco mente”.
L’uomo bianco mente, questa frase non l’ho più dimenticata.
In pochi gironi a Kabala diventai una specie di personaggio. Mentre giravo per il mercato la gente mi fermava per chiedermi una chiacchierata, informazioni sull’Italia, qualche tiro con il pallone, per bere un distillato di vino di palma, alcolicissimo, non certo la bibita ideale con 40 gradi all’ombra e l’80 % di umidità.
Diventai così famoso che, in occasione di una gara di atletica, consegnai io i premi.
Con affetto Kabala mi strinse nel suo cuore, i padri missionari mi offrivano pranzi gustosi con cibi africani cucinati all’Italiana, i ragazzi giocavano a calcio; chi era stato meno fortunato durante la guerra e aveva perso una gamba o un braccio, mi raccontava la sua storia, facendosi spingere la rudimentale sedia a rotelle di legno su per un’altura di sabbia.
Una delle principali regole tra viaggiatori dice di lasciare un luogo nel momento in cui ci si affeziona troppo. Perché quel posto potrebbe non lasciarci partire mai più, e le cose da fare ed i posti da vedere erano e sono ancora troppi.
Il momento di lasciare Kabala era arrivato. Lo feci mettendomi in una macchina con altre 7 persone, anche se ne poteva contenere solo 4. Lo feci alla mia maniera, all’alba, non guardando i visi di chi mi salutava, facendo un inchino al luogo che mi ha accolto, uscendo di scena, almeno per il momento.
Il viaggio diventò un’altra splendida avventura: la macchina si rompe, in soccorso venne un mercante che vendeva qualsiasi cosa: dall’oro ai diamanti, dalle batterie per telefoni cellulari alla benzina.
“E tu che ci fai qui? Diamanti? Ne vuoi portare qualcuno in Europa?"
“No, sa, non vorrei avere problemi in aeroporto.”
“Con me non ne avrai, e poi ti basta pagare qualcosa.”
Ovviamente rifiutai.
I miei due mesi in Sierra Leone non si possono riassumere facilmente: le persone incontrate, le storie raccontate. Ma i miei due mesi in Sierra Leone non mi hanno reso una persona migliore. Quelle storie e quei racconti mi hanno bastonato e mi hanno lasciato amore per le persone e molti dubbi. Perché spremere una terra, usurpandola fino a quando non ci sarà più niente da estrarre?
Avrei dovuto scrivere di un viaggio che mi ha dato la maturità, maturità che non credo di aver raggiunto nemmeno dopo tutte le altre piccole grandi imprese affrontate.
Quello che però l’ Africa ci può insegnare è essere sempre gentili con il prossimo, con gli stranieri; il modo in cui venni e vengo trattato in ogni singola spedizione è qualcosa che avevamo ed abbiamo dimenticato, una benedizione che cerco di meritarmi nella vita di tutti i giorni, essendo sempre e comunque in debito verso quei luoghi.
E se mai ci saranno strade e pozioni magiche ingurgitate sotto forma di alcool o cibi esotici che ricorderò, questi saranno sicuramente quelli della Sierra Leone, “il paese più ospitale del mondo”.
“E tu”, come mi disse mister J prima di partire, “Torna a casa, racconta che la guerra è finita, racconta quanto è bella la Sierra Leone e quanto è ospitale la sua gente. Va tra la tua gente e racconta queste cose.”

Due mesi dopo all’aeroporto di Bruxelles ero l’unico ad avere addosso colori diversi, che non fossero il grigio o il nero. O forse i colori c’erano, ma dopo quelli africani, io non li vedevo più.
Una ragazza seduta accanto mi chiese: "Sierra Leone? E cosa facevi lì? Perché hai scelto quel posto? Quanto tempo ci sei stato?"
"Dovresti vederla, l’Africa", risposi, "e se riesci a passare con lo spirito intatto i primi tempi, te ne innamorerai, e vivrai le impressioni che credevi di conoscere, ripescate in una vita antica che non conoscevi. Imparerai ad essere amata ed amare un luogo come non pensavi di poter mai fare, e persino casa tua, al tuo ritorno, avrà un aspetto migliore. E dopo qualche tempo, la dimenticherai o proverai a reprimere il suo ricordo, perché troppo forte sarebbe la voglia di tornare, la voglia di mollare tutto e ripartire. Spaventosa questa voglia. Ti farebbe mentire a te stessa dicendoti che forse stai bene così, perché non c’è niente che ti manca, perché in fondo…l’uomo bianco mente.

Angelo Calianno 
 
Il racconto che segue è stato scritto da Angelo Calianno ed è stato pubblicato nel 2010 nel libro "Partire" edito da A. Vallardi.

sabato 16 ottobre 2010

Appello per la trasmissione Anno Zero ed il giornalista Michele Santoro


Ho ascoltato l'appello del giornalista Michele Santoro ed ho fatto la mia parte. Il giornalista Michele Santoro, che piaccia o meno è stato reintegrato in RAI dal giudice del lavoro, dopo l'editto Bulgaro di Silvio Berlusconi, proprietario dell'azienda concorrente, che aveva tolto schifosamente all'azienda pubblica un'altra grande firma Enzo Biagi. Questo tira e molla è il segnale che nel paese la democrazia è diventata una coperta tirata da tutte le parti, un segnale molto preoccupante.
Michele Santoro, che piaccia o meno (le trasmissioni di Santoro hanno avuto un largo share televisivo in RAI e rappresentano dati alla mano il programma di attualità più visto in televisione, valorizzando così anche le entrate pubblicitarie dell'azienda pubblica) è l'ultimo giornalista rimasto a dare voce con forza al paese reale e a mettere in luce molti aspetti torbidi del paese, facendo parlare le voci emergenti e minoritarie. I disoccupati e i precari, le persone sofferenti, vedono in lui, la rivincita di tanti appelli inascoltati. Michele Santoro riesce a bucare quel velo di ipocrisia e di gomma, quella cortina fumogena innalzata tra il paese reale e quello raccontato attraverso i mass media tradizionali e dai politici. Michele Santoro ha detto "vaffanbicchiere"; l'attuale premier canzonando una donna dell'opposizione ha alluso ad una bestemmia.  Preferisco Michele Santoro. I giovani si stanno svegliando.

Cari amici, vi ringrazio per le adesioni al mio appello che sono già migliaia, ma dobbiamo ottenere il massimo del risultato. Quindi vi chiedo di raccogliere anche le firme di chi non usa internet inviandole contemporaneamente a questi indirizzi:

Il primo indirizzo è molto importante per avere il quadro completo delle adesioni raccolte. Potete utilizzare la formula seguente o un'altra con le stesse caratteristiche:
"Gentile presidente Paolo Garimberti, i sottoscritti abbonati Rai chiedono di non essere puniti al posto di Santoro e che Annozero continui ad andare in onda regolarmente."
Vi prego di seguire queste semplici raccomandazioni e di far girare la nostra sottoscrizione usando la rete perché è l'unica opportunità che possiamo gestire con le nostre forze. Un abbraccio
Michele Santoro

martedì 18 maggio 2010

Jack London è Re

Video spot del blog "In esplorazione oltre lo stagno di rane"

Alberto Sciretti. Aprile 2010
"L'ultimo bagliore del tramonto si spegneva sulle deserte solitudini gelate e, contro l'indistinto colore del cielo, più viva spiccava la massa scura degli abeti che premevano e incalzavano il corso gelato del fiume.
Il vento che sino allora aveva impazzato, strappando dagli alberi la veste gelata che li aveva ricoperti, ora aveva tregua.
Nessun rumore, nessuna voce d'uomo rompeva quel silenzio, e la natura, sempre uguale da che è nato il mondo, dominava incontrastata." (Incipit di Zanna Bianca di Jack London)
Alberto Sciretti. Aprile 2010
"La mente... solo la mente sopravvive. La materia fluisce, si solidifica, fluisce di nuovo, le forme che essa assume sono sempre nuove. Poi si disintegrano in quel nulla eterno donde non vi è ritorno. La forma è un'apparizione, [...], ma il ricordo permane, rimarrà fino a quando lo spirito resiste, e lo spirito è indistruttibile." ("Il Vagabondo delle Stelle" di Jack London cap. XVI)
Ci sono delle traccie nella vita che portano a scoperte che mai avresti pensato di fare. Ho voluto intitolare questo post "Jack London è Re"  per citare Chris McCandless. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura.
Alberto Sciretti. Aprile 2010
È la vita a costituire l'unica realtà e il vero mistero. La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia. Lo so. Io sono la vita. Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi. Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato. ("Il Vagabondo delle Stelle" di Jack London cap. XII)

domenica 21 marzo 2010

Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima

Ieri sera sono andato al cinema a vedere Invictus - L'invincibile - film diretto da Clint Eastwood. Dopo aver visto lo splendito film "Gran Torino" sempre di Clint, non potevo perderlo. Infatti non ha tradito le aspettative. "Io sono il padrone del mio destino, Io sono il capitano della mia anima." questo è quanto ti rimane dentro dopo aver visto il film. Questo motto è tratto da una poesia "Invictus", di William Ernest Henley, che era stata la fonte di ispirazione per Nelson Mandela, durante i 28 anni trascorsi in prigione nella prigione di Robben Island, la più dura del Sud Africa.
Robben Island
INVICTUS "Dal profondo della notte che mi avvolge, buia come il pozzo che va da un polo all'altro, ringrazio tutti gli dei per la mia anima indomabile. Nella morsa delle circostanze, non ho indietreggiato, né ho pianto. Sotto i colpi d'ascia della sorte, il mio capo sanguina, ma non si china. Più in là, questo luogo di rabbia e lacrime incombe, ma l'orrore dell'ombra, e la minaccia degli anni non mi trova, e non mi troverà, spaventato. Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la pergamena, Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima" William Ernest Henley
Per Nelson Mandela poche parole. Lui è e rimarrà per sempre una delle persone a cui intendo ispirarmi per non cadere mai nell'oblio e buttare via attimi preziosi della mia vita. Rimane il dolore per i 28 anni durante i quali un'anima così pura è stata ingabbiata ingiustamente in pochi metri quadri. Quanti una volta usciti sarebbero riusciti a perdonare? Primo Presidente nero del Sudafrica dopo la fine dell'apartheid, e Premio Nobel per la Pace nel 1993, è un Uomo.

venerdì 21 novembre 2008

Mauro Corona: writer, sculptor and Italian climber.

"Mio nonno parlava con gli alberi, e li rispettava per l'uso che ne faceva. Mi chiedeva di tenere le mani attorno alla corteccia quando la incideva per fare innesti. Era convinto, e lo sono anch'io, che in quel momento l'albero provava paura, tremava e veniva assalito dalla febbre. Le mie mani strette a lui servivano a rassicurarlo, proteggerlo, aiutarlo a sopportare il dolore che il taglio gli procurava. Fino a pochi anni fa il rapporto tra i boscaioli e alberi era di reciproco rispetto". Tratto da Mauro Corona, Le voci del bosco, Edizioni Bilioteca dell'Immagine
Sciretti Alberto assieme a Mauro Corona sulla palestra per arrampicatori ad Erto il 09/11/2008
"Una betulla, innamorata di un maggiociondolo, attendeva che il vento la piegasse per andarlo a baciare, ma, per quanto il vento soffiasse forte, le mancavano sempre qui pochi centimetri per giungere al bacio agognato. Così, in attesa dell'evento impossibile, la betulla gli parlava senza speranza. Fu il Vajont che li unì. Strappati e trascinati via dall'acqua, si toccarono per un breve istante. Così, prima di morire, anche il maggiociondolo ebbe un po' d'amore, mentre dalla rive sparivano altri alberi e la gente, e la gioia di vivere, e tutto quello che ci aveva fatto sperare in un futuro migliore." Tratto da Mauro Corona, Le voci del bosco, Edizioni Bilioteca dell'Immagine

Primo piano di Mauro Corona , che dice "è sciocco cercare di mascherare il cammino degli anni. L'incidere del tempo cambia il colore alla pelle del maggiociondolo e la abbruttisce, ma lui non se ne rammarica [...] Cambiare la nostra identità per cercarne una di moda che ci appartiene, fa smarrire il senso della vita". Oltre quarant'ani di vita nei boschi e dialoghi con le piante e con la roccia. Durante questo lungo tempo, ha capito, sono parole sue, "che tutto in natura ha un proprio carattere, una personalità, un linguaggio, un destino" e "durante le scalate difficili cominciai a parlare anche alla roccia e le cose andarono meglio".
Sentite questa metafora: "il faggio è la folla, la massa, e la sua giornata è quelle del lavoratore laborioso. La fabbrica funziona perchè ci sono i faggi che avvitano bulloni e svolgono lavori di manovalanza. Senza di loro la catena di montaggio non andrebbe avanti. Nessuna società può vivere e produrre solo con il riservato maggiociondolo, o con l'elegante betulla, o con il duro ma fragile acero. Ci vogliono i tanti faggi che ogni mattina sono lì, a timbrare il cartellino. Certo lui non è un lettore, non va a teatro, il cinema impegnato non lo conosce, ma per il calcio, per la squadra del cuore, è disponibile a tutto. In fabbrica, il lunedì è felice se i suoi hanno vinto e poi un po' di osteria, le carte e la televisione sono il suo mondo. Dei faggi ho grande rispettoperchè, da semplici operai, devono mantenere la famiglia, pagare l'affitto, mandare i figli a scuola. Nella città del bosco sono i manovali che impastano la malta, portano i mattoni e costruiscono le case. Senza di loro i designer, gli ingegneri, i tenici ossia i frassini, i tassi, i maggiociondoli morirebbero di fame. Questi ultimi sono di famiglia privilegiata e quindi mancano di quella manualità che sola permette la sopravvivenza e che sta pericolosamente scomparendo anche nei ceti meno abbienti. Ma, prima o dopo, sarà di nuovo necessario avere manualità e il riappropriarsene costerà assai caro a coloro che allora popoleranno la terra." Mauro Corona in "Le Voci del Bosco"
Ecco i due video forse più belli che ben rappresentano l'alpinista, scultore e scrittore Mauro Corona ( http://www.dispersoneiboschi.it/ ).
Ho incontrato Mauro Corona pochi giorni fa'. Era sulla palestra naturale per arrampicatori di Erto, divenuta proprio famosa grazie allo scrittore, scultore ed alpinista. Quel giorno Mauro era li festante, nonostante la sbronza di vino della sera precedente e nonostante i quasi 60 anni si è arrampicato come un ventenne aprendo la strada ad un suo amico medico (scherzando mi ha detto che lo porta ad allenare perchè in cambio gli prescrive il viagra gratis eh eh che forte mauro). Ha dimostrato di essere l'autore dei suoi libri. Un saggio, temprato dalla montagna, che tanto avrebbe da insegnare ad un mondo di colletti bianchi senza identità che consumano 3 litri di carburante per acquistare un litro di latte e che vomitano cemento ed asfalto, banche e centri congressi, come se questi potessero sfamarci. La metropoli di New York cosa produce veramente? Cosa finisce sulla nostra tavola? Uova di gallina, mais, frumento?....
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Palestra naturale di arrampicata a qualche centinaio di metri dalla Diga del Vajont
Questo è il video che ho fatto su Mauro Corona: sicuramente vista anche la musica in sottofondo risulterà superficiale ai più ed un po' sacrilego ed in constrasto con lo spirito che emana nella valle del vajont; ho preferito un timbro allegro e spensierato perchè Mauro Corona nella sua saggezza e profondità d'animo è una persona che trasmette anche allegria, carisma, spensieratezza, oltre che a riflessioni profonde sulla nostra esistenza, ed è per questo che credo sia amato anche tanto dai giovani. Quindi alti i calici, non ci si piange addosso ma si combatte. La miglior prova di questo è andarlo a trovare a Erto, nella sua bottega..o andando a caso nei boschi limitrofi.
60 years everything is possible. Thanks to Mauro Coronahttp://www.dispersoneiboschi.it the gym Erto became one of the most prestigious for sport climbing in Italy. You can find him frequently to give advice to climbers experts and beginners. Mauro Corona was born in Italy near Trento from a couple of itinerant vendors and as such was born in a cart in 9 august del 1950. Corona is one of the most popular contemporary sculptors wood, known in Europe. Also devotes to climbing (Mauro Corona has opened over 300 climbing routes in the Dolomites) and writing. Many of his novels have been translated into several languages including Chinese. Mauro Corona has a particular relationship with the trees, and often embraces them with warmth and that he was taught since childhood when he went to cut the trees to make firewood. It was a way to reassure the tree and tell him not to worry. The passion for woodworking Mauro Corona has inherited in its valley, among its people. It carved the wood to need, the objects created are sold, will survive with the walking. Huge masses of chips, the unmistakable smell of wood that took shape as the baby Mauro Corona noted that his grandfather partnership with skilled manual created spoons, bowls and many other tools. Switch solitary moments of study and writing in conferences, meetings and events, continues to make wooden figures inspired by the shapes and things that affect thinking during walks in the woods of Val Vajont. It should be running in the mountains and brings children to climb. When set in the evening you can sometimes meet in the tavern that enjoy a good red with friends. Sometimes more than one. Mauro Corona said "The resin is the product of a pain, a tear that seeps from the wounded. Drops gold, yellow like honey, which does not flee away, not run away like water, do not leave the tree. Remain glued to the trunk, for give company, to help him resist, to continue growing. The memories are drops of resin that flow from the wounds of life
60 years everything is possible.

martedì 7 ottobre 2008

Dal Castello di San Pelagio, noi voliamo su Vienna

Sciretti Alberto in partenza dal Castello di San Pelagio, con un moderno velivolo della nuova flotta Alitalia (ehm in realtà è un idrovolante Grumman HU 16).
Ho visitato il Museo dell'aria che si trova al Castello di San Pelagio a Due Carrare in provincia di Padova; il museo per la verità non ha nessuna pretesa e mi sento di poter dire che è sicuramente più indicato per gite scolastiche e per bambini a cui andrebbe insegnato che la guerra non è bella; dal campo di aviazione di San Pelagio - una frazione dell'attuale comune - partì il 9 agosto 1918 lo storico volo su Vienna di Gabriele D'Annunzio ;
quest'ultimo che aveva partecipato già ad imprese spettacolari quali la "beffa di Buccari" e che parteciperà qualche anno dopo alla storica "presa di Fiume" , firmava le più gioiose imprese belliche dell'età moderna: in questo caso giungere sul cielo nemico della capitale imperiale e lanciare sulle sue strade e sui suoi tetti oltre due quintali di volantini tricolori.
Il testo del manifesto lanciato su Vienna:
"VIENNESI! Imparate a conoscere gli italiani.Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni. VIENNESI! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi.Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! LUNGA VITA ALLA LIBERTÀ! LUNGA VITA ALL'ITALIA! LUNGA VITA ALL'INTESA!"
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L'impresa si può riassumente leggendo un comunicato ufficiale del Comando Supremo dell'epoca: "Zona di guerra, 9 agosto 1918. Una pattuglia di otto apparecchi nazionali, un biposto e sette monoposti, al comando del maggiore D'Annunzio, ha eseguito stamane un brillante raid su Vienna, compiendo un percorso complessivo di circa 1.000 chilometri, dei quali oltre 800 su territorio nemico. I nostri aerei, partiti alle ore 5:50, dopo aver superato non lievi difficoltà atmosferiche, raggiungevano alle ore 9:20 la città di Vienna, su cui si abbassavano a quota inferiore agli 800 metri, lanciando parecchie migliaia di manifesti. Sulle vie della città era chiaramente visibile l'agglomeramento della popolazione. I nostri apparecchi, che non vennero fatti segno ad alcuna reazione da parte del nemico, al ritorno volarono su Wiener-Neustadt, Graz, Lubiana e Trieste. La pattuglia partì compatta, si mantenne in ordine serrato lungo tutto il percorso e rientrò al campo di aviazione alle 12:40.Manca un solo nostro apparecchio che, per un guasto al motore, sembra sia stato costretto ad atterrare nelle vicinanze di Wiener-Neustadt."

Il lancio dei manifesti su Vienna. In alto a destra è individuabile la cattedrale di santo Stefano

All’esterno, nei giardini, sono stati collocati 7 aerei (Republic RF 84F, Grumman HU-16A ALbatross, Aermacchi MB 308 e MB 326), 2 elicotteri Augusta Bell AB 204 e AB-47J, 5 alianti e motoalianti e 2 missili (Nike Hercules e Nike Ajax).

Subito dopo l'inizio del XX secolo vennero utilizzati dei piccioni con una macchina fotografica attaccata al petto per ottenere fotografie a distanze considerevoli. Questo sistema presentava ovvie imprecisioni e problemi. http://www.nasm.si.edu/exhibitions/lae/script/be_first2.htm#pigeon

Missile terra aria NiKE Hercules che svetta a 8 metri di altezza dalla sua rampa.

Sciretti Alberto inseguito da un'oca nel giardino del castello di San Pelagio (PD)

domenica 6 luglio 2008

Lawrence d'Arabia: la rivolta nel deserto

"La vita in comune ha un senso soltanto se vissuta e amata fino ai suoi estremi. Non esistono alberghi per chi fa la rivolta e neanche dividendi di piacere da saldare. Lo spirito è l'aggregazione, resistere fino alla fine e usare ogni avanzata come base per un'altra avventura, privazioni più forti e dolori più intensi. Appartenere al deserto comporta, l'essere destinati a sostenere una battaglia infinita che non è del mondo, della vita, nè di altro, ma solo della speranza; e il fallimento equivale alla libertà che Dio concede agli uomini" da La Rivolta nel Deserto, di Lawrence d'Arabia.

Petra (da πέτρα, roccia in greco) è una città trogloditica posta a circa 250 km a Sud di Amman, la capitale della Giordania. Le numerose costruzioni dalle facciate tagliate direttamente nella roccia ne fanno un monumento unico, che è stato dichiarato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO il 6 dicembre 1985. Anche la zona circostante è stata costituita dal 1993 parco nazionale archeologico. Nel 2007, inoltre, Petra è stata dichiarata una delle cosiddette sette meraviglie del mondo moderno.
Arche de pierre du Djebel Burdah à Wadi Rum, 11 km from Ramm, Al ‘Aqabah (Jordan) da Philippe Stoop
A Bird's Eye View of Hajarh.A beautiful village on the top of the mountains, Yemen.
Thomas E. Lawrence. Photo courtesy of the Imperial War Museum

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Recentemente ho letto di Thomas Edward Lawrence "La rivolta nel deserto" (Revolt in the desert) Newton Compton Editori. (costo 3,90 €), ed ho pensato di riportarne qui alcuni passaggi, se non altro per il fatto che il libro è stato scritto in prima persona proprio da colui che universalmente viene chiamato Lawrence d'Arabia, e cioè il tenente colonnello Thomas Edward Lawrence (Galles, 16 agosto 1888 – Dorset, 19 maggio 1935) che fu un agente segreto, un militare, un archeologo e uno scrittore inglese. Lawrence d'Arabia non volle ricavare diritti d'autore da questo libro che attribuì tutti ad una Fondazione di assitenza a favore degli orfani degli uomini della RAF, degli invalidi e dei mutilati di quest'arma.

Thomas E. Lawrence, che potremo chiamare volgarmente, il Garibaldi della rivolta araba.

Riporto qui di seguito alcuni passi interessanti del libro:

1) "l'immobilismo, in una guerra irregolare, prelude al disastro, ed io credevo che ciò che mancasse fosse una guida: per incendiare il deserto non serviva l'intelligenza, nè il buonsenso, nè la saggezza politica, ma solo la fiamma dell'entusiamo."

2) "Era facile sedersi sul dorso di un cammello senza cadere, ma molto difficile capire la bestia e trarne il massimo in lunghi viaggi senza affaticare nè il cammello nè il cavaliere"

3)"il calore delle pianure avevano aggravato la situazione riempiendomi di vesciche. Anche gli occhi mi facevano male per il bagliore che la sabbia argentea e i ciottoli sfavillanti riverberavano"

4)"gli arabi pensano che sia poco virile portarsi provviste di cibo in un viaggio di soli 160 km"

5)"La sorgente era di proprietà comune e ripartita tra i proprietari terrieri che ne usufruivano per alcuni minuti oppure ore durante la giornata o la settiman, secondo la tradizione. L'acqua era un po' salmastra, come richiedevano le palme più pregiate, ma era potabile nei pozzi privati all'interno dei boschetti dove fluiva con frequenza a un metro e mezzo circa di profondità"

6)"Questo gusto spietato dei turchi nel fare la guerra aveva inorridito gli arabi, per i quali la prima regola era l'inviolabilitàdelle donne, la seconda, che la vita e l'onore di un bambino troppo piccolo per combattere dovevano essere salvaguardati; la terza , che la proprietà troppo grande per essere trasportata non doveva essere danneggiata."

7)"Credevo nel movimento arabo e, prima ancora che arrivassi, ero fiducioso del fatto che attraverso questa rivolta potevamo fare a pezzi i turchi"

Lawrence at Akaba, 1917 © Imperial War Museum. Lawrence non ebbe comandi effettivi, la sua abilità politica e militare fu quella di essere capace di conquistarsi la stima e la fiducia dei suoi superiori e quella dei capi arabi. In verità anche coloro che combatterono con lui, regolari arabi, beduini e soldati britannici, lo ammirarono e lo giudicarono un buon ufficiale e un buon combattente. Divenne beduino tra i beduini, vivendo, mangiando, cavalcano il mehara, combattendo come loro. Egli coniugò il modo tradizionale di combattere delle tribù, a cavallo e sui mehara, con le armi moderne, gli esplosivi, le mitragliatrici, le autoblinde e gli aeroplani.

8)"Lo sheriffo nutriva non solo i soldati ma anche le loro famiglie, pagando due sterline al mese per ogni uomo e quattro per ogni cammello. Nient'altro avrebbe fatto il miracolo di tenere un esercito tribale accampato per cinque mesi interi [...] Uno su dieci degli ottomila uomini di Feisal era un soldato capace di combattere a cavallo di un cammello, gli altri erano uomini delle colline [...] i membri di una tribù stavano alla larga da quelli appartenenti da un'altra [...] La loro istintiva sete di possesso li rendeva particolarmente sensibili ai saccheggi e il depredare treni, assaltare carovane e rubare cammelli li stuzzicava moltissimo. Erano inoltre troppo liberi di tesa per sopportare gli ordini o per combattere in gruppo. Un uomo che sa combattere da solo, di solito, è un cattivo generale e questi uomini non mi sembravano adatti alla disciplina militare"

9)"L'unico aspetto inquitante era che i turchi potessero riuscire a terrorizzare gli arabi con l'artiglieria. Il suono di un cannone spingeva i soldati a cercare riparo. Equiparavano il potere distruttivo di un'arma al rumore che produceva. Non avevano paura dei proiettili e neppure di morire: ma la morte causata da un fuoco di proiettili gli sembrava insopportabile"

10)"All'improvviso Feisal mi chiese se avessi voluto indossare abiti arabi durante la mia permanenza nell'accampamento. Trovavo la cosa conveniente da parte mia, poichè era un abito comodo e adatto alla vita araba che conducevamo"

Lawrence of Arabia

11)"Una delle fatiche del deserto, era la compagnia coatta, in cui ognuno sentiva ciò che veniva detto o vedeva ciò che veniva fatto, giorno dopo giorno. [...] Mi insegnarono, però, che nessuno poteva diventare il loro capo a meno che non si nutrisse con le loro stesse razioni, indossasse i loro abiti, vivesse al loro livello e, nonostante questo, dimostrasse di possedere un contegno più elevato.

12)"Feisal aveva piantato le tende a circa un chilometro e mezzo dal mare [...] ma per noi, gente del nord, era un piacere, la sera, godere della brezza marina che portava con sè il mormorio delle onde, deboli e lontane, simile all'eco del traffico di una strada periferica di Londra"

13)"Poichè a Wejh eravamo soliti accamparci isolati, molto isolati, trascorrevo il mio tempo ad andare e venire dall'accampamento di Feisal alle tende inglesi, dal campo egiziano alla città, dal porto alla stazione radio, marciando tutto il giorno senza sosta su e giù per quei sentieri corallini con i sandali o a piedi nudi, incallendo i piedi e imparando, per gradi, a camminare senza dolore su un terreno tagliente e ardente, e temprando il corpo già ben addestrato, a sforzi maggiori. I poveri arabi si domandavano come mai non avessi un cavallo ed io mi dilungavo in discorsi incomprensibili su come desiderassi rinvigorire il mio corpo oppure confessando che preferivo camminare che cavalcare per risparmiare gli animali"

14)"Avvennero anche degli incidenti. Una volta un gruppo, scherzando dietro la nostra tenda, disinnescò una bomba di aeroplano. Nell'esplosione le loro membra furono sparpagliate in tutto l'accampamento, macchinado le tele con chiazze rosse che subito diventarono marrone scuro e poi scolorirono in beige pallido. Feisal ordinò di cambiare le tende e distruggere quelle macchiate di sangue"

15)"Feisal faceva giurare solennemente i nuovi accoliti sul Corano di aspettare quando lui avesse aspettato, di marciare quando avesse marciato, di non cedere ai turchi, di trattare bene chi parlava arabo e di mettere l'indipendenza al primo posto, prima ancora della vita, della famiglia e dei beni.

16)"Entrò una figura alta e robusta, con una faccia smunta, appassionata e tragica. Era Auda seguito da Mohammed, suo figlio, che aveva l'aspetto di un bambino e infatti aveva solo undici anni.. Feisal balzò in piedi. Auda gli prese la mano e la baciò ed essi si appartarono di un paio di passi e si guardarono: una coppia magnificamente disuguale, esempio di ciò che di meglio ci fosse in Arabia, Feisal il profeta e Auda il guerriero [...]

Auda Abu Tayi.
"Auda era vestito molto semplicemente, alla maniera del nord, con una tunica bianca e un copricapo di mussola rosso. Poteva avere più di cinquant'anni e i suoi capelli erano striati di bianco. Ma era ancora forte e alto, longilineo, asciutto e attivo come un uomo di molti anni più giovane. Il suo volto era magnifico seganto da rughe e cavità. Vi si leggeva il modo in cui la morte in battaglia di Annad, il suo figliolo prediletto, avesse gettato la tragedia su tutta la sua esistenza, ponendofine al sogno di tramandare alle generazioni future la grandezza del nome degli Abu Tayi. [...] Aveva ucciso settantacinque uomini in battaglia, tutti arabi, ma mai aveva provocato la morte fuori da un conflitto. [...] Stava attento a mantenere l'inimicizia con quasi tutte le tribù del deserto, affinchè potesse mantenere un buon motivo per assalirli. Come si conveniva al suo stile da predone, era testardo quanto irascibile [...] Quando si arrabbiava il suo viso si contraeva in una smorfia per poi scoppiare in un accesso di furia incontrollabile che si sedava solo dopo aver ucciso [...] Considerava la vita come una saga [...] Parlava di sè in terza persona ed era così sicuro della sua fama
17) In questo passaggio perdemmo due dei cammelli più deboli. Gli Howeitat li uccisero nel punto stesso in cui si erano accasciati, conficcando un pugnale affilato nella carotide, vicina al petto, mentre il collo veniva tenuto teso girando la testa dell'animale all'indietro, verso la sella. Furono subito fatti a pezzi e suddivisi come carne da mangiare.
18) Erano un esempio del sentimento orientale tra ragazzi che la segregazione delle donne rendeva inevitabile. Queste amicizie spesso portavano a passioni virili di una tale forza e profondità che andava al di là di qualsiasi nostro concetto di carnalità. Innocenti, restavano appassionati e senza vergogna; ma quando entrava l'aspetto sessuale, passavano in uno stato di dare e avere, un legame poco spirituale, simile al matrimonio.
19) Sentimmo il piacevole grido "Amici o nemici?", tipico del deserto quando si'incontrano gli estranei.
20)Facevano degli impacchi con il burro al mio cammello per lenire il prurito che la rogna, propagatasi di recente sul muso, gli procurava. Il massaggio con il burro fece molto bene al mio cammello.
Lawrence of Arabiafrom the archives of the Tank Museum at Bovington
21) A mezzogiorno iniziò a soffiare il khamsin con la forza di un fortunale, talmente arido che le nostre labbra raggrinzite si spaccarono e la pelle del viso si screpolò, mntre le palpebre, divenute granulose, sembravano doversi accorciare denudando i nostri occhi socchiusi. Gli arabi si portarono i turbanti sul naso e tirarono la piega sulla fronte in avanti, a mo' di visiera, lasciando soltanto una stretta e mobile fessura per vedere.
22) l'avara regola del deserto e cioè di essere ospitali per tre giorni 23) La vallata sembrava essere infestata da vipere cornute e vipere soffianti, cobra e serpenti neri. Muoversi di notte era particolarmente pericoloso e alla fine fummo costretti a procedere con i bastoni, battendo sui cespugli laterali ad ogni passo che facevamo a piedi nudi. L'abitudine del serpente, di sdraiarsi accanto a noi, durante la notte, era molto strana; forse cercava calore, sotto e sopra le coperte. Quando ce ne accorgemmo, iniziammo ad alzarci con grande cura e i primi che si mettevano in piedi andavano attorno ai propri compagni con un bastone fino a quando non constatavano l'assenza di pericolo. La nostra compagnia, formata da una cinquantina di uomini, uccideva almeno venti serpenti al giorno e alla fine ci innervosirono a tal punto che i più audaci tra di noi non osavano mettere piede a terra, mentre coloro che, come me, rabbrividivano alla sola vista dei rettili, desideravano con ardore che la nostra permanenza nel Sirhan finisse quanto prima...Sirhan, devoto ai serpenti, prolifico di acqua salata, palme brulle e cespugli che non servivano nè come foraggio nè come combustibile.

24) Faceva terribilmente caldo, molto più di quanto ne avessi soffert oin Arabia, e la preoccupazione e i continui spostamenti ci rendevano la cosa ancora più difficile. Persino alcuni degli umoni più robusti, tra le tribù, crollarono sotto la crudeltà del sole, e strisciarono e dovettero essere portati sotto le rocce per trovare riparo all'ombra. Le taglienti lastre di calcare che sporgevano dai crinali ci tagliavano i piedi e molto prima di sera i più energici tra noi lasciavano impronte rossastre sul terrenoad ogni passo.

Lawrence d'Arabia: un film di David Lean. Con Anthony Quinn, Anthony Quayle, José Ferrer, Peter O'Toole, Claude Rains, Jack Hawkins, Omar Sharif, Alec Guinness, Arthur Kennedy, Donald Wolfit, I.S. Johar, Gamil Ratib, Michel Ray, John Dimech, Zia Mohyeddin. Genere Storico, colore 222 (200) minuti. - Produzione Gran Bretagna 1962.
Il Film "Lawrence d'Arabia" è tra i miei preferiti. Un capolavoro che ancora tiene testa ai kolossal dell’era digitale. In questa scena si descrive una delle sue scene più epiche. Dal libro la Rivolta nel deserto ne riporto il passo: "Tallal aveva visto ciò che noi avevamo visto. Emise un gemito come un animale ferito, poi cavalcò sul terreno elevato e rimase lì da solo con la sua cavalla, rabbrividendo e guardando fisso in direzione dei turchi. Stavo per andargli incontro ma Auda afferrò le mie redini e mi fermò. Lentamente Tallal si tirò il turbante sul volto e a quel punto sembrò improvvisamente riprendere il controllo di se stesso, poichè conficcò gli speroni sui fianchi della cavalla e galoppò avanti, piegandosi e ondeggiando in sella, dritto verso l'unità principale nemica. Fu una lunga cavalcata giù per un declivio dolce che attraversava una cavità. Restammo seduti lì come pietre mentre lui sfrecciava avanti, con lo scalpitio dei suoi zoccoli artificiosamente assordante nelle nostre orecchie, poichè avevano smesso di sparare e i turchi si erano fermati. Entrambi gli eserciti si fermarono ad osservarlo ed egli corse nella sera silenziosa fino a quando non fu a pochi chilometri dal nemico. Poi si alzò sulla sella e gridò il suo urlo di guera Tallal Tallal, per ben due volte con una voce terrorizzante. Immediatamente i fucili e le mitragliatrici turche iniziardono a sparare e lui e la cavalla furono crivellati di colpi e caddero morti sulle lance...Diedi l'ordine di non fare alcun prigioniero, per la prima volta in tutta la guerra."
25) Una carica di cammelli alla velocità di quaranta chilometri all'ora diventava incontrollabile. Gli Howeitat furono impietosi, poichè il massacro delle loro donne il giorno precedente gli aveva improvvisamente rivelato un nuovo terribile aspetto della guerra. Perciò vi furono soltanto sentossanta prigionieri, molti dei quali feriti, e trecento tra vittime e moribondi sparsi per l'aperta vallata.
26) Per un arabo una parte essenziale del trionfo consisteva nell'indossare i vestiti del nemico sconfitto e infatti, il giorno successivo, vedemmo i nostri uomini trasformati, almeno dalla cintola in su, in soldati turchi, ognuno con la divisa militare, poichè si era trattato di un battaglione proveniente dalla madrepatria, molto ben equipaggiato e con uniformi nuove
27) Un proverbio arabo che dice che tutti i pidocchi pensano di essere gazzelle

(Photo by Hulton Archive/Getty Images). Durante gli spostamenti come ebbe a scrivere nel suo libro "La rivolta nel deserto", Lawrence d'Arabia teneva "il turbante sistemandolo anche sotto, a mo' di barba, per respingere il calore che si sollevava a ondate lucenti dal terreno e mi colpiva il volto"

28) All'ombra dei palmeti della costa di 'Aqabah, il termometro aveva segnato cinquanta gradi.
29) Strisciò accanto a me e mi disse, con una voce angosciata: "Signore, sono diventato cieco." Lo feci distendere e vidi che tremava dal freddo, ma tutto ciò che fu in grado di dirmi era che durante la notte, svegliandosi, aveva sentito un forte dolore agli occhi e non aveva visto più. Il riververo del sole li aveva bruciati.
30) Gli arabi mi spiegarono che i turchi avevano gettato i cammelli morti nel laghetto per inquinare l'acqua ma che ormai era passato tanto tempo e l'effetto si era indebolito. Tuttavia eral'unica acqua che potevamo bere prima di Mudowaara, se mai l'avessimo presa, e quindi iniziammo a riempire le nostre ghirbe.
31) I Turchi non facevano prigionieri. Al contrario uccidevano i nemici in maniera atroce e quindi, per pietà finimmo coloro che erano gravemente feriti e che sarebbero stati lasciati sul suolo abbandonato.
32) Ogni volta che passava una pattuglia dovevamo controllare le bestie con molta delicatezza, poichè se una di loro avesse muggito o rantolato avrebbe attirato l'attenzione del nemico.
33) Far saltare i treni era una scienza esatta che richiedeva una preparazione apposita, con un numero sufficiente di persone, con mitragliatrici in posizione.
34) Affamare gli arabi non era una cosa crudele; non sarebbero morti per pochi giorni di digiuno e sapevano lottare bene anche a stomaco vuoto; inoltre, quando le cose si mettevano male, c'erano sempre i cammelli da uccidere e mangiare; gli indiani però, sebbene musulmani, rifiutavano la carne di cammello per principio.
35) Dopo la conquista di 'Aqabah la somma diventò rispettabile: valevo ventimila sterline vivo e diecimila morto.
36) L'azione singola più coraggiosa di tutta la querra araba appartiene a uno degli Ageyl, che per ben due volte, nuotò lungo i condotti d'acqua sotterranei fino a Medina da dove tornò con un rapporto completo della città occupata.
37) Pagavo i miei uomini sei sterline al mese, la paga base dell'esercito per un uomo e il suo cammello. Tutti orgogliosi di stare al mio servizio, dove si sviluppava un professionismo di grande effetto. Si vestivano come un prato di tulipani, con tutti i colori ad eccezione del bianco; poichè quello era il colore che io indossavo abitualmente ed essi non volevano sembrare presuntuosi. Quasi una sessantina morirono al mio serivizo.
38) Tenevo nella bisaccia della sella Morte d'Arthur. Mi sollevava un po' dal disgusto
39) Quando i cammelli maschi tentennavano così significava che sarebbero morti in quel punto, dopo pochi giorni;
40) Come ufficiale inglese, potevo condividere il suo punto di vista, ma la parte araba in me considerava ugualmente importante sia l'agitazione che la battaglia, una per contribuire al successo alleato, l'altra per fondare il rispetto dell'arabo per se stesso, incompleto senza la vittoria.

Il Corpo imperiale a cammello.

The Imperial Camel Corps

was a brigade-sized military formation which fought for the Allies in the Sinai and Palestine Campaign in World War I. Its personnel were infantry mounted on camels for movement across desert.The Corps was founded in January, 1916. It attained its full strength in December that year. In May, 1918 it was reduced in strength to a single battalion. The Corps was formally disbanded in May, 1919. 346 of its personnel were killed in action.

41) Ero famoso per essere l'unico senza barba e io mi distinguevo ancora di più indossando sempre seta pura del tipo più bianco (almeno all'esterno) con un laccio da turbante dorato e rosso della Mecca e un pugnale d'oro.

42) Abdullah restò colpito dal fatto che gli inglesi uccidessero le loro bestie abbandonate, ma io gli feci notare che noi arabi ci uccidevamo a vicenda se feriti mortalmente in battaglia, e Abdullah mi rispose che ci caricavano di tale vergogna per evitare ai feriti altre torture. Credeva che non ci fosse essere vivente che non preferisse una morte lenta nel deserto piuttosto che una fine rapida; infatti, secondo lui, la morte lenta era la più misericordiosa di tutte, poichè l'assenza di speranza evitava l'amarezza di una lotta perduta lasciando la natura dell'uomo libera di comporre se stessa di fronte alla misericordia di Dio.

43) Me ne andai lungo la vallata nel lontano Ain el Essad restando lì, nel mio vecchio nascondiglio sotto le tamerici, dove il vento tra i verdi rami polverosi suonava le stesse melodie generate dagli alberi inglesi.

44) Erano chiari i segni di mentalità rozze in queste città romane di frontiera, Um el Jemal, Um el Surab, Umtayie. Tali edifici incongruenti, in ciò che è, e era stato sempre un deserto, dimostrava la poca intelligenza di chi li costruì, quasi un' affermazione volgare del diritto dell'uomo, del diritto romano, a non cambiare abitudini di vita ovunque si trovasse. Gli edifici all'italiana, pagati tassando le province assoggettate, in questi margini del mondo, rivelavano una cecità prosaica di fronte al carattere fugace della politica.

A proposito dell'affermazione volgare del diritto romano...L’Arco dei Fileni, fatto erigere da Mussolini tra la Tripolitania e la Cirenaica. Per la sua altezza spiccava in lontananza nel deserto. In alto spiccava la scritta “Alme Sol, possis nihil urbe Roma visere maius” “Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma”.A fine guerra il re della Libia l’aveva fatta tradurre in arabo. Gheddafi, al potere dopo il colpo di Stato, lo fece radere al suolo.
45) Una Rolls nel deserto valeva più dei rubini e sebbene le guidavamo ormai da più di diciotto mesi, certo non sulle strade liscie intese da chi le aveva fabbricate, ma attraverso i terreni più impervi, a velocità inaudita, giorno e notte, caricate con una tonnellata di merci e quattro o cinque uomini, si trattava del primo cedimento strutturale, su un totale di nove automobili. Grande uomo Rolls e grande anche Royce! Valevano nel deserto centinaia di uomini.
46) L'essenza del deserto è l'individuo che si sposta da solo, figlio della strada, isolato dal mondo come in una tomba.
47) La pesante, permanente ferma acidità del sudore seccato nel cotone, aleggiante su tutto l'esercito arabo e l'odore selvaggio dei soldati inglesi, quell'atmosfera calda d'urina, di uomini ammassati in indumenti di lana: un'acredine pungente, ta togliere il respiro, un odore incessante e fermentato di ammoniaca e nafta.

1919 Painting by Augustus John

Gertrude Margaret Lowthian Bell (il terzo figurante da sinistra) con a fianco (alla sua destra) Winston Churchill, e T. E. Lawrence a Giza durante la Conferenza del Cairo 1921

Gertrude Margaret Lowthian Bell (Washington Hall, 14 luglio 1868 – Baghdad, 12 luglio 1926) è stata un'archeologa, politica, scrittrice e agente segreto britannica. Ebbe un ruolo primario nella creazione dello stato moderno dell'Iraq. Essa svolse un attività segreta di supporto alla rivolta araba durante la prima guerra mondiale - per la quale si è soliti riconoscere principalmente il ruolo di Lawrence d'Arabia - ed al termine del conflitto mondiale contribuì a tracciare i confini del moderno stato iracheno raggruppando i tre vilayet ottomani preesistenti della regione mesopotamica.

Above, Thomas E. Lawrence accompanies Churchill on a mission regarding the creation of new countries in the Middle East after the First World War.

Leonard Woolley (sulla destra) e Thomas E. Lawrence (piú noto come «Lawrence d’Arabia»), posano ai lati di un rilievo a Carchemish (Siria), nel 1912. Lawrence fu un promettente archeologo e la sua tesi di laurea del 1910 (che meritò la lode) la dedicò all'architettura militare medievale, in particolare i castelli dei crociati.

Lawrence, early 1935 © Mrs Hilda Sims. Egli comprende che combattere una guerra tra eserciti regolari, arabi contro turchi, è una scelta perdente e prospetta una guerra di guerriglia nella quale il nemico è più vulnerabile, al fine di sottoporlo ad uno stillicidio di perdite in uomini e materiali, e inchiodare su quel fronte una parte considerevole dell'esercito turco per impedire che queste forze, o a parte di esse, possano essere impiegate congiuntamente con l'armata turca impegnata a contrastare l'offensiva di Allenby.
T E Lawrence, 1931, by Howard Coster © National Portrait Gallery, London
Lawrence of Arabia, otherwise known as Colonel T.E. Lawrence, is seen entering Damascus in an unarmoured wood-body Rolls-Royce 'tender'. During World War I, Lawrence used a fleet of nine Rolls-Royce amoured cars and tenders specially adapted for desert warfare. He claimed "A Rolls in the desert is above rubies".
Lawrence of Arabia, Emir Feisal, Feisal's bodyguards and Arab officials together in 1918. (Australian War Memorial). Di Emir Feisal, Lawrence d'Arabia ebbe a dire sempre nel "La rivolta del deserto": "Filtrando pazientemente il giusto e l'ingiusto, grazie al tatto, alla sua fantastica memoria, guadagnò l'autorità sui nomadi da Medina a Damasco e oltre. Fu riconosciuto come una forza trascendente le tribù, al di là dei diritti di sangue, più grande di tutte le gelosie. Il movimento arabo diventò nazionalistico nel senso più bello del termine, poichè al suo interno tutti gli arabi mirarono ad un unico scopo mettendo da parte gli interessi privati."

Nel 1935 Lawrence viene congedato definitivamente e si ritira a Clouds Hill, presso Bovington, nella contea del Dorset. Già da tempo si incrociano voci e indiscrezioni sulla sua vita privata, sulle sue presunte tendenze omosessuali e masochiste, per lo più collegate a quello che lui stesso evocò nei Sette pilastri come l'"incidente di Deraa" (quando, prigioniero dei turchi, sarebbe rimasto vittima di violenze sessuali). Questo e altri episodi sarebbero avvalorati - anche se i biografi non sempre concordano - da documenti solo di recente resi pubblici dal Public Record Office britannico; fra essi un carteggio composto da diari e lettere consegnato dopo la sua morte alla Bodleaian Library di Oxford dal fratello Arnold. Si è saputo così di rimesse di denaro che Lawrence, per il tramite della RAF, fece a più riprese dal 1924 fino alla morte a favore di diverse persone, fra cui due signore, con una delle quali, un'insegnante di nome Ruby Bryant, si dice avesse contratto matrimonio. Il 13 maggio di quello stesso anno, mentre percorre sulla sua motocicletta Brough Superior una piccola strada di campagna, Lawrence rimane vittima di un incidente, secondo molti non del tutto casuale. Ne uscirà in coma e morirà pochi giorni dopo, il 19 maggio, nella casa di campagna dove abitava.

Lapide commemorativa nel luogo in cui Lawrence ebbe l'incidente mortale sulla sua motocicletta.

T. E. Lawrence in sella alla sua motocicletta

L'allora Emiro Faysal, comandante delle truppe arabe, a un ricevimento da lui organizzato a Versailles durante la Conferenza di Pace di Parigi del 1919. Al centro, da sinistra a destra: Rustem Haydar, Nuri Al Said, l'Emiro, il Capitano Pisani (dietro Faysal) T.E. Lawrence (Lawrence d'Arabia), un ignoto servitore di Faysal e il Capitano Tahsin Qadri. Dell'Emiro Faysal, Lawrence ebbe a scrivere nel suo "La rivolta del Deserto": "La sua natura non era incline alla riflessione poichè opprimeva la sua velocità d'azione. [...] Il suo fascino personale, l'imprudenza, il toccante accenno alla propria fragilità come solo riserbo di un carattere orgoglioso lo facevano un idolo per i suoi seguaci. [...] I suoi uomini mi raccontarono che, dopo un lungo periodo di combattimento, durante il quale dovette sia coprirsi le spalle che comandare la carica, incitandoe controllando i suoi uomini, ebbe un crollo fisico e fu trasportato via dal luogo della vittoria, senza conoscenza e con la bava alla bocca" . "Feisal si sedeva nella tende delle udienze fino a quando aveva ascoltato tutti coloro che chiedevano un incontro. Non vidi mai un arabo andarsene insoddisfatto o ferito: un tributo al suo tatto e alla sua memoria, poichè non lo vidi mai in imbarazzo per aver dimenticato un fatto o per aver confuso una parentela"

La tomba T.E.LAWRENCE con il seguente epitaffio: To the dear memory of T.E.LAWRENCE Fellow of All Souls College OxfordBorn: 16 August 1888Died: 19 May 1935 "The hour is coming, and now is,when the dead shall hear the voice of the SON OF GOD and they that hear shall live."

Yanbu served as a supply and operational base for Arab and British forces fighting the Ottoman Empire during the World War I

Per approfondimenti: 1) http://telawrence.info/telawrenceinfo/index.htm 2) http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=43

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